Musulmani russi e ucraini divisi dalla guerra

Il Gran Mufti Russo Rawil Gaynutdin e quello ucraino Said Ismagilov
Il Gran Mufti Russo Rawil Gaynutdin e quello ucraino Said Ismagilov

L’attuale conflitto in Ucraina ( conseguenza di una guerra civile che si trascina da ben 8 anni) seguito all’invasione russa vede contrapporsi anche le posizioni delle comunità e dei sapienti musulmani nella regione. 

Si consuma in tal modo l’ennesima guerra fratricida, dove una delle parti agisce spinta da un nazionalismo estremista e funzionale alla geopolitica della Nato, mentre l’altra agisce per difendere il proprio spazio vitale nella convinzione che la minaccia militare e politica avversaria sia inevitabile.

A Mosca il Gran Mufti si dedica in questi giorni al dialogo inter-religioso con gli esponenti del Patriarcato ortodosso ed ha ricevuto la visita del premier pachistano Imran Khan, il quale ha mantenuto una posizione molto tiepida nei confronti del sostegno all’Ucraina ed ha deciso di non applicare alcun embargo contro Mosca.

In realtà la comunità  musulmana, divisa dalla caduta del califfato ottomano, è oggi incapace di offrire interpretazioni e punti di vista originali, basati sulla legge islamica e sulle tradizioni della civiltà che i popoli musulmani hanno creato nel corso di molti secoli. Questo perché i popoli musulmani sono stati da lungo tempo esautorati del proprio dominio politico e della relativa cultura di gestione degli affari pubblici e delle relazioni diplomatiche internazionali. 

Da questo punto di vista i musulmani russi sono in una posizione relativamente migliore rispetto a quelli di tanti paesi a maggioranza islamica, ma anche di quelli che vivono nel resto d’Europa. Il grado di libertà ed indipendenza dei musulmani russi e di altri popoli che vivono nella federazione russa è senza dubbio maggiore, avendo la possibilità di relativa autodeterminazione e potendo così contribuire alla creazione di una società che contrasta l’immoralità e la blasfemia, dove l’uso del velo islamico è consentito, dove moschee e scuole islamiche godono di pieno riconoscimento, dove il cittadino musulmano si sente a pieno titolo cittadino della propria nazione.

Di contro, i musulmani della Federazione russa non sono affatto liberi di aspirare ad un governo autonomo ed alcune correnti islamiche sono duramente represse (come il wahhabismo). In Cecenia, secondo testimonianze locali, la polizia reprime brutalmente l’uso del velo integrale (niqab) perché ritenuto simbolo di adesione a pericolose frange estremiste.

La rivendicazione al Califfato (pur in una visione assai discutibile), sul finire degli anni Novanta del secolo passato, fu repressa in un bagno di sangue. Al contempo la posizione di appoggio all’intervento in Ucraina da parte del presidente ceceno Ramzan Kadyrov è  stata avvallata da una dichiarazione del Gran Mufti Salah Mezhev che ha descritto l’intervento militare russo alla stregua del jihad, perché finalizzato alla difesa degli spazi vitali per la sopravvivenza della Patria. Ma anche perché  i valori tradizionali e l’etica delle comunità islamiche sarebbero totalmente sovvertite nel caso di una occidentalizzazione forzata della Russia.  

Anche dalla parte opposta della barricata non manca un forte attivismo. Il Mufti dell’Ucraina, Said Ismagilov, a capo di una comunità di circa 500 mila musulmani, ha partecipato ad Euromaidan ed è uno strenuo sostenitore del governo nazionalista di Kiev, ragion per cui è molto malvisto nel Donbass.

Sostiene apertamente la resistenza ucraina adducendo motivazioni religiose ed affermando la necessità di difendere il proprio popolo attaccato dai russi e a sostegno dell’autodeterminazione. Tataro, laureato all Università islamica di Mosca, è anche presedente del Centro Culturale Islamico di Ķiev e dell’associazione Umma di Donesk.

Gli hanno fatto eco altri rappresentanti religiosi musulmani come il Gran Mufti della Bosnia, il quale  ha paragonato l’attuale conflitto col martirio della sua Sarajevo e dell’intera Bosnia negli anni Novanta del secolo scorso. C’è anche chi agita lo spettro della Siria quale esempio di una guerra fratricida ma etero-diretta dai soliti noti.