Andiamo in guerra con Speranza

E se l’Italia dovesse malauguratamente entrare in guerra? Saremmo pronti?

Vediamo un po’… Un Presidente più morto che vivo è bel un segnale di vittoria nella battaglia contro il tempo; un Premier abituato a far girare e amministrare soldi è pur sempre utile, se è vero che i migliori affari si possono fare proprio in tempi di guerra.

I problemi iniziano a venire dopo: tra gli eminenti Generali il più popolare e conosciuto è uno che, con la sua piumetta sul berretto, sembra parlare dall’ultimo banchetto alcolico di una festa degli Alpini.

Il Ministro degli Esteri è l’uomo qualunque, uno dalla fine strategia e dalla loquela avvolgente che, se si trovasse a trattare a Marrakech, tornerebbe a casa senza soldi e con ogni sorta di inutile bene.

Come soldati avremmo una schiera di valorosi giovani, pronti ad imbracciare joystick, a farsi le sopracciglia e avere l’affanno dopo due passi. Le cose sembrano mettersi male… Però una carta ce l’abbiamo e di quelle importanti: il ministro Speranza! Conosce a memoria tutto il lessico della guerra, da due anni per addormentarsi e addormentarci, invece delle pecorelle, conta a memoria morti, contagiati e tamponi; ha il volto triste, smunto e austero di chi ha visto la morte nell’infanzia e non se l’è mai scrollata di dosso; è lo stratega della burocrazia e della paura. Insomma il ritratto perfetto di un esemplare Ministro della guerra

Immaginatelo al fronte, avvolto nella penombra del fumo delle armi, che sbuca davanti a truppe di aitanti, vigorosi e impassibili slavi. Col suo passo pallido e trafelato scatenerebbe il panico nell’avversario. Chi è mai costui? Il demonio? La morte? O semplicemente il malaugurio che ci dice che stiamo per morire. I soldati, si sa, sono feroci e ben addestrati ma peccano pur sempre di superstizione e religione; trovarsi un nemico così, stravolgerebbe tutti i loro piani. Come l’Angelo dell’Apocalisse avanzerebbe lui che è l’eroe della mediocrità burocratica.

La conta e il quotidiano bollettino riprenderebbe con i feriti e gli invalidi, il linguaggio patriottico rifulgerebbe in tutto il suo vivido splendore: italiani, è venuto il momento di essere uniti, sacrificarci e tutto andrà bene. Al fronte ci sono gli eroi che ci salveranno, mentre noi resistiamo con coprifuoco, distanziamento e mascherine ed elmi!

La paura tra i nemici e l’entusiasmo tra gli alleati sarebbero assicurati. E poi noi abbiamo l’asso nella manica: il nostro esercito è tutto vaccinato, i nemici no. Vuoi mettere la differenza! Al primo freddo loro saranno sterminati, mentre noi potremo camminare nudi tra la neve.   

E lui Speranza ne sarebbe felice, commosso. Finalmente promosso dal raffreddore alla malattia, dallo scontro parlamentare alla guerra. Proprio ora che sta diventando sempre più solo nel difendere la più prestigiosa delle sue creazioni: il Super Green Pass. Un documento dal nome così bello, il lasciapassare per i supereroi del quotidiano: come poterlo fare decadere e sparire? Sarebbe un delitto linguistico, un attentato contro l’ingegno politico.

E lui lo sa, perciò sta lottando alacremente per conservarlo in una qualunque manifestazione. Almeno una partita di calcio, una fiera. Basta che sia un avvenimento di massa, basta che non sparisca. Che in fondo, quando tanta gente s’incontra e si scontra, ci dev’essere pure un pericolo, è una cosa che fa così spavento. 

Ma se la guerra ha bisogno di Speranza, non ci si può negare. E poi sai che meraviglia svegliarsi al mattino e leggere: la Salute è andata in guerra, mentre noi c’eravamo abituati a vivere la Pace come un’infinita malattia.