Ramadan a Istanbul è il più gradito degli ospiti

Il sultano degli 11 mesi, – è così che si suole chiamare il Ramadan in Turchia – arriva come il più gradito e nobile degli ospiti, a sollievo e ristoro dei credenti che fremono e gioiscono per il bagaglio di spiritualità e di tradizioni che trascina con sé, custode e vivificatore di valori, attitudini e memorie collettive della comunità di ieri e di oggi. 

I preparativi a Istanbul iniziano con l’avvento dei 3 mesi sacri  – Üç aylar –, le moschee, i luoghi di raduno come le dergah e gli spazi dedicati agli incontri religiosi vengono puliti a fondo, rivoluzionati e decorati. Lo stesso accade nelle case: ci si prepara al meglio per accogliere questo sacro ospite benevolo che porterà gioia e rinnovata speranza nei cuori di tutti, grandi e piccini. 

Le istituzioni iniziano a programmare gli eventi che intratterranno le notti di veglia dall’iftar al sahur. 

Vetrine e scaffali si riempiono a poco a poco di  pietanze e bevande tipiche, utili all’ottimizzazione dei benefici fisici del digiuno. Si moltiplicano gli atti caritatevoli – quelli che compie la mano destra all’insaputa della sinistra con la distribuzione dei pacchi di beneficienza – Ramazan paketleri – da destinare in dono. E’ un’atmosfera che esteticamente richiama molto quella natalizia dei paesi cristiani, con mercatini e luminarie che ravvivano le piazze e le strade, i parchi e i luoghi di ritrovo di ogni singolo quartiere.

Anche le case si vestono di lanterne e lucine, è consuetudine allestire degli angoli dedicati con un mihrab– la nicchia che indica la direzione della preghiera –    di polistirolo o cartone dipinto per pregare le salah in famiglia e attirare l’attenzione dei bambini.

Non esiste altra città dove si potrebbe voler trascorrere questo mese: Il Ramadan qui è una civiltà in sé, patrimonio  universale di quella squisita identità “turca”, che aggiunge un tassello prezioso alla cultura cittadina unica di Istanbul.

In una perfetta mescolanza di spiritualità e socialità, Il Ramadan a Istanbul avvolge sia il cuore sia i cinque sensi: l’olfatto, quando poco prima del Maghrib ogni vicolo si intride dell’aroma del Pide appena sfornato,  il pane rotondo cosparso di semi di cumino nero, protagonista delle tavole imbandite per l’iftar. Il gusto, con i sapori delle pietanze dedicate a questo mese, incarnate dal Güllaç il dolce a base di latte con amido e frutta secca e lo şerbet, bevanda rinfrescante a base di infusi di fiori, frutta e spezie, eredi della raffinata cultura culinaria di Palazzo.

L’udito, con  i folkloristici e instancabili tamburini, che a suon di grancassa e canzoni rimate annunciano l’entrata del tempo del Sahur – il pasto che precede l’inizio del nuovo giorno di digiuno. Ma è la vista a giocare il ruolo più importante, allietata dalle la più bella delle tradizioni, cioè l’arte delle luminarie artistiche sospese tra i minareti delle moschee maggiori, con frasi che richiamano versi coranici, inviti alla fratellanza, alla fede, alle buone maniere.

L’arte del Mahya – parola di origine persiana che significa “mensile” – è un complicatissimo lavoro affidato ai cosiddetti mastri della luce, che intrecciano sapientemente le lampadine ai fili che saranno tesi tra i minareti. L’usanza di illuminare gli spazi sacri durante i mesi del digiuno e del pellegrinaggio affonda le radici nell’Arabia Saudita dei primi secoli dell’Islam. Tuttavia a trasformarla in una vera e propria arte dell’impero ottomano fu il Sultano Ahmed I, che nel 1616  incaricò il famoso calligrafo Hafiz Kefevi di adornare i minareti delll’omonima moschea – oggi più nota come Moschea Blu – con versi coranici scritti tramite lampade ad olio sospese tra gli imponenti minareti.

Di fatto, l’unica diversità tra le luminarie del passato e del presente è il passaggio dalle lampade ad olio a quelle elettriche. Le frasi sono scelte con grande attenzione: tra quelle che ho letto in tutti questi anni di permanenza, quelle che di più ho amato sono state: “Ey oruç, bizi tut!” “Oh digiuno, sostienici! – in turco digiunare si dice letterlamente “oruç tutmak”, ossia sostenere il digiuno. In questo caso è il digiuno che deve sostenere il credente nel raggiungimento della soddisfazione di Dio l’Altissimo. Ancora “ kimse kimsesiz kalmasin!” – “Nessuno resti senza nessuno!” Ancora, “vakit paylaşmak vaktidir!” Il tempo è quello della condivisione.  

All’imbrunire, mentre dai templi di Dio si dipana una forza ancor più vigorosa che nessuno può omettere di percepire, le luminarie che si stagliano contro il cielo accentuano la bellezza mutevole di Istanbul e tutti ne sono ammaliati. 

L’impatto visivo del Ramadan a Istanbul è caratterizzato anche dalle cosiddette sokak iftarı,  le mense caritatevoli allestite in tende, oppure direttamente apparecchiate su grandi tavolate all’aperto che offrono pasti gratuiti. Una staffetta di fondazioni, enti e società, associazioni e cittadini individuali che investono tempo e risorse per vivificare l’usanza della mensa condivisa: nessuno rimane a stomaco vuoto, nessuno rimane senza qualcuno con cui scambiare parole amichevoli in occasione della rottura del digiuno.

I cortili delle moschee, le piazze con aiuole verdi –  emblematica è la Piazza del’Ippodromo, a Sultanahmet oppure la Piazza del sacro quartiere di Eyüp – si riempiono di famiglie che organizzano pic nic per l’iftar, per poi accorrere in moschea in tempo per la preghiera del Tarawih. La presenza massiccia di persone, la carica emotiva e frizzante, il trambusto cittadino amplificato sono oggetto di grande attenzione e interesse soprattutto da parte dei turisti, che quasi increduli si lasciano il più delle volte coinvolgere nella rottura del digiuno. 

All’ora dell’iftar, nelle case private, le donne si affrettano a completare la tavola, ogni sera allargata a graditi ospiti: famigliari, vicini, colleghi, amici e conoscenti, a volte perfino sconosciuti.  Datteri olive e sale della Sunna del profeta Muhammad SAW, ciotole ricolme di zuppe fumanti che aiutano a ribilanciare i liquidi mancati nelle ore diurne, composte di frutta e piatti principali a base di verdure e carne accompagnati dagli immancabili pilaf  di riso o bulgur. I Börek di pasta fillo ripiena di formaggio e erbe aromatiche, che accompagneranno il the, si abbronzano in forno mentre il pasto viene consumato.

Le TV sono sintonizzate sui numerosissimi canali che trasmettono programmi in diretta dalle moschee più significative delle città, dove dentro spazi allestiti ad hoc i sapienti, gli sheykh e i teologi dibattono le più disparate tematiche religiose, alternando con performance musicali e canore di ispirazione sacra. Nelle case dell’alta borghesia, nelle mense offerte dalle istituzioni i commensali riceveranno il dono per il diritto del dente, il cosiddetto “diş hakki”, una consuetudine diffusa nella nobiltà ottomana di offrire doni di valore agli ospiti a fronte dello sforzo sopportato dai denti per aver masticato il cibo offerto.

La notte prosegue poi in festa per le strade di ogni quartiere. I  teatrini delle ombre di Karagöz e Hacivat perpetuano valori morali ed etico-sociali del mondo turco e turcofono attraverso le storie delle marionette di pelle colorata; un folklore che lega culturalmente la Cina al Mediterraneo. Si mangia Tarihi Osmanlı Macunu (Caramelle tradizionali Ottomane): un lecca-lecca artigianale con cinque qualità differenti di zucchero caramellato avvolte a spirale su di una bacchetta di legno con un po’ di limone sopra.

Ho cercato di raccontare come il Ramadan in Turchia, a Istanbul in particolar modo, rappresenti un tesoro di nobili attitudini che si  tramanda dal passato al presente. 

Questo del 2022 è tuttavia un Ramadan davvero speciale, costellato da iniziative volte a riportare in auge attitudini che sembravano essere state sepolte definitivamente nell’oscurità secolarista del passato recente di questa nazione (ci basti ricordare che tra i capi d’accusa che nel 1997 portarono alla destituzione del Primo Ministro N. Erbakan, vi fu quello di aver ospitato un iftar ad Ankara).

Ad addolcire il sapore amaro del ricordo della repressione religiosa, delle notti del Ramadan scure e silenti, tre iniziative gloriose:

1 – La ripresa della preghiera di Tarawih presso la Moschea di Aya Sofya dopo 88 anni. Non è stata una tarawih come le altre: ma una  Enderun Teravihi, la Tarawih in stile Enderun, caratterizzata da canti sacri – Ilahi – ogni due raka, con lo scopo di elevare lo spirito e aumentare la concentrazione e la connessione con l’Altissimo. L’Enderun era la scuola all’interno del Palazzo del Topkapi, ospitata nella terza corte dell’edificio imperiale e dedicata alla formazione sapienziale e militare dei futuri amministratori dell’Impero Ottomano e degli alti ranghi del corpo dei Giannizzeri. Eravamo presenti, in mezzo ad una fiumana di fedeli accorsi da ogni angolo del mondo. La bellezza del Corano salmodiato dagli hafiz del Diyanet turco era amplificata dalla perfetta acustica della Santa Sofia. Le file erano serrate, i credenti ritti e fieri  verso il Mihrab – la nicchia monumentale che simboleggia la Qaba. Quando le Migliaia di braccia si sono aperte al Tekbir, un dhikr silente si è diffuso come un  anelito  vitale tra i marmi antichi e gli schiamazzi dei bimbi che si rincorrevano sui tappeti turchesi. Allahu Akbar!

2 – La ri-costruzione e apertura della “Aya Sofya Fatih Medresesi”  – la prima madrasa che Fatih Mehmet II fece costruire tra Il Palazzo del Topkapi e la Moschea di Ayasofya all’indomani della conquista ndi Costantinopoli del 1453 funzionante fino al 1928 e demolita nel 1934, quando la Moschea fu convertita a museo.  Oggi, completamente ricostruita con 38 sale, sarà un importantissimo centro di ricerca e applicazione in ambito di arti e discipline umanistiche dell’Islam, Diritto musulmano,  comunicazione visiva e design.

3 – L’inaugurazione del nuovo Museo delle Civiltà Islamiche nella Büyük Çamlıca Camii – la più grande moschea di Turchia sull’omonima collina del quartiere di Üskudar. Ospita una collezione inedita e ricchissima di manufatti, reliquie ed opere allestite in uno spazio di diecimila metri quadri. Presentare la civiltà islamica al pubblico internazionale,  rilanciando il valore culturale della Moschea intesa non solo come luogo di preghiera ma anche e soprattutto come centro di formazione e di trasmissione del sapere.  

A Istanbul anche la maggior parte dei musulmani non praticanti, osserva il digiuno rituale durante tutto il mese di Ramadan. Rispetto a questa tendenza non mancano le polemiche dei più “ortodossi”, che considerano infatti riprovevole relegare gli obblighi – fard – religiosi al solo digiuno nel mese di Ramadan, bisognerebbe al contrario guardare a questa attitudine con empatia, facendo leva sul potenziale espresso tramite l’osservanza del digiuno per invitare benevolmente il credente ad adempiere agli altri obblighi religiosi.

Purtroppo, esistono forme di fanatismo religioso che contraddistinguono quei musulmani che, a motivo della loro radicalità, mostrano intolleranza, assumono posizioni rigide, talvolta atteggiamenti violenti. Tutto ciò contribuisce alla diffusione del pregiudizio e dell’astio nei confronti dell’Islam,  già storicamente vilipeso e mal giudicato, così come allontana le nuove generazioni, specie quelle di estrazione alto borghese orientate verso uno stile di vita più occidentale, lontano dal Tawhid – la certezza dell’Unicità di Dio, dal Suo ricordo dalla Sua adorazione.