Di questi giorni è la notizia, da tempo era nell’aria, che la Corte Costituzionale ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che gli attribuisce automaticamente il cognome del padre.
In altre parole sta per finire il tempo, tempo immemorabile, in cui i figli prendevano, senza che per la verità, almeno fino a non molto tempo fa ci fosse su questo nulla da ridire, il cognome paterno.
D’ora in poi i coniugi dovranno accordarsi tra loro se attribuire ai figli il cognome di entrambi, o solo quello della madre, oppure come da tradizione, quello del padre.
Questa innovazione introduce, e di questo sicuramente non c’era alcun bisogno, un ulteriore potenziale elemento di conflitto nelle famiglie e nelle coppie. La famiglia, la cellula di base di ogni società umana, è in Italia sotto attacco, e non da oggi.
Nei decenni successivi al secondo dopoguerra ha subito i colpi di maglio del divorzio, di una morale sessuale sempre più permissiva e orientata al puro e solipsistico soddisfacimento dei propri istinti, di un’omosessualità non semplicemente normalizzata, ma veicolata e promossa, e conseguentemente sempre più diffusa col conseguente riconoscimento delle unioni omosessuali, di fatto se non ancora pienamente di diritto, poste sullo stesso piano della famiglia tradizionale.
Di questa crisi recano testimonianza inconfutabile i dati riguardanti i matrimoni che nel 1981 sono stati 320.000, e nel 2020, solo circa 96.000. I divorzi invece sono stati nel 1971, primo anno dopo la promulgazione della legge, che quindi regolarizzavano situazioni già compromesse da tempo, meno di 20.000, e nel 2016, circa 96.000.
Ma oltre ad essere un ulteriore elemento di squilibrio nella dinamica famigliare, questa legge, facendo proprie le istanze di un femminismo sempre più aggressivo, costituisce un ultimo, forse definitivo affronto alla figura paterna, al suo ruolo, alla sua identità.
Si afferma che in certe epoche Siva danzi sul mondo, abolendo le forme. Ciò che oggi danza sul mondo è la stupidità, la violenza e l’avidità dell’uomo.
Marguerite Yourcenar, Gli archivi del Nord
Come insegna la psicologia, il padre nella dinamica famigliare ha una funzione fondamentale; il padre prende per mano i figli, specie i maschi, sottraendoli alla protezione materna e li introduce al mondo, e alla vita. Egli costituisce un punto di riferimento importantissimo nella crescita della prole, un modello, che dovrebbe essere amato e rispettato, al quale, se la situazione è sana e fisiologica, soprattutto i figli maschi tenderanno ad assomigliare.
Al centro di questa crisi della famiglia tradizionale, cioè formata da un uomo, da una donna e dalla prole frutto di questa unione, c’è indiscutibilmente la crisi del padre.
In nome di uno dei dogmi fondanti della modernità, cioè il dogma quasi metafisico dell’ uguaglianza, e di quel femminismo esasperato ed aggressivo che ne è figlio diretto e conseguente, la figura paterna, e più in generale l’essere umano di sesso maschile, è stato oggetto nel tempo, e negli ultimi decenni in modo violento e accelerato, di una demolizione metodica, sistematica.
Prodotti evidenti di questa situazione sono i padri separati, ai quali, anche quando non sono oggetto di accuse quasi sempre calunniose su presunti abusi sessuali, quasi in automatico viene loro sottratta la prole, negato il diritto a restare nell’abitazione coniugale, e viene loro imposto l’obbligo di provvedere al mantenimento della ormai ex moglie con una parte cospicua della propria retribuzione. Come conseguenza inevitabile, essi sono costretti spesso a dormire nella propria auto, e a rivolgersi alle mense della Caritas per poter mangiare.
Forse non è del tutto casuale che il suicidio sia un fenomeno quasi esclusivamente maschile. Su dieci suicidi quasi otto sono uomini.
L’uguaglianza, il moderno diritto all’uguaglianza, non l’eguaglianza economica, perché la storia ha dimostrato trattarsi di una chimera inattuabile, ma quella inerente ai sessi, e soprattutto ai desideri, nel nostro mondo è diventata più che un dogma; è diventata un idolo, un totem a cui tutto sacrificare, dimenticando che rendere uguale, vuol dire quasi sempre distruggere e appiattire.
Il cognome paterno dava identità alla famiglia e ai suoi membri, legava le generazioni. Con la sua sparizione non ci vorrà molto perché un ulteriore elemento di sradicamento si aggiunga a quelli già presenti nella vita delle persone.
E poi, come si potrà dimenticare che i cognomi, anche se trasmessi dalle donne alla prole, saranno sempre e inevitabilmente cognomi almeno in origine maschili, prodotto anch’essi dell’odiato dominio patriarcale.
Per risolvere il problema, una soluzione ci sarebbe. Aboliamoli i cognomi, sostituiamoli con una sigla, come si fa con le automobili, oppure, perché no, col codice fiscale. Ci sbarazzeremmo di colpo della nostra storia, delle nostre radici, dei nostri legami; di quella cosa che si sta facendo di giorno in giorno sempre più pesante e insopportabile, e che per i seguaci della decostruzione umana deve essere eliminata, relegata nel museo del tempo che fu, in altre parole, della nostra umanità.