Ora il governo è donna, alla faccia del femminismo

Infine la prima donna capo del governo. Idealizzata a Sinistra, fuoriuscita a Destra. L’incubo peggiore per il PD, proprio a pochi giorni dalla scelta della Treccani di ratificare nel dizionario delle professioni la declinazione al femminile.

La prima Presidentessa del Consiglio, che occasione persa! Da anni la Sinistra inneggia alle pari opportunità ma il potere è dispari. Fanno finta di non saperlo e al comando bisogna pur lasciare sempre gli stessi, i pallidi re di sezione. Così il simbolo più alto sul cammino della parità di genere è regalato agli altri. E non a persone qualunque. Si tratta proprio dei retrogradi, dei bifolchi, dei conservatori che di colpo si fanno pionieri. La democrazia progredisce e basterà rimboccarsi le maniche e tornare ad inseguire.

Magari il prossimo segretario sarà coniugato al femminile. Oppure optare per un leader dalla pelle scura e transgender? Il Pd il progresso lo protegge e mai lo vede, perché sa di avere le spalle coperte e, alla prima crisi di governo, ci sarà pur sempre una mano invisibile a riportarlo a galla nei centri del potere. D’altronde ce lo dice l’Europa, ce lo impone la Nato, lo afferma la Scienza. Ma voi cosa dite? Nulla.

Rovesciando la prospettiva, troviamo l’uomo senza identità a capo di un partito che era stato fondato proprio per legare l’identità a un territorio. Una terra piana e volta alla produzione che man mano si è estesa fino a voler raggiungere il consenso dei loro nemici; il frastagliato e improduttivo sud, un tempo così funzionale a rafforzare la propria padana unicità. Il terreno si è riassunto infine in un unico volto dalle mille facce, che nessuno tra qualche anno si stupirebbe di veder girare col Corano sotto il braccio per evangelizzare i tanto odiati clandestini, i futuri donatori di consenso.

Visioni da libero mercato. Le stesse che avevano sancito l’ultima parodia di carisma declinata al maschile, che ora si ritrova mummificata insieme al suo volto, cristallizzato nell’incerata del suo elettorato residuo. Più morto che vivo, sarà proprio lui il paradossale ago della bilancia governativa, la probabile miccia buona a far implodere il potere per richiamare sulla scena i tecnici lasciati per il momento in disparte. 

Più d’ogni altra cosa, le elezioni certificano un dato di fatto: la caduta degli uomini mediocri. Barbuti, occhialuti, logorroici oppure dai lineamenti democristiani, tutti uniti da un’unica mancanza: il carisma. Sì, proprio quella dote che forse si pensava lasciata sulle spalle delle vecchie dittature. I nuovi leader oscillano tra invadenza e grigiore, rispettando il loro segnaposto alla tavola dell’irrilevanza. Incapaci di dialettica, inetti nella seduzione, impreparati alla prassi, si lasciano trascinare dai mezzi di comunicazione pur di sentirsi vivi. Tutti tranne uno, caduto in piedi durante la sciagura pandemica, dal fare lento e garbato, guidato dalla pigra fedeltà al suo Movimento, senza il cui peso, avrebbe raggiunto cifre da primo partito. 

E tra i tanti resti del declino occidentale declinato al maschile, l’impotenza deve accettare una buona volta d’essere rimpiazzata dalla coerenza che, senza dover scomodare la Treccani, già vien detta al femminile. Proprio come democrazia e soprattutto identità, il bene più raro in tempi orfani di ideologie. So chi sono, cosa voglio e non mi mischio cogli altri: tanto basta oggi per ricevere la fiducia di uomini confusi. D’altronde, come biasimarli… Nella biologia femminile è scritta un’identità che gli uomini a fatica devono conquistarsi, persi fra trucchi, messe in scena e vecchi sembianti di potere.

Il tempo a venire dirà quanto l’identità detta e rivenduta riuscirà ad accoppiarsi a coerenza risoluta e agita. Doti tutte da verificare e chissà, forse temere, una volta trapiantate nei centri del governo; parola quest’ultima, che pur sempre al maschile si lascia dire.