The Fate of Abraham III: Oborne e l’inquadramento della spietata Franco-Laïcité

Dopo due tappe, spero interessanti, negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, con questo nuovo articolo il focus si sposta sulla  Francia, ovvero sul rapporto che ha costruito, storicamente, con l’Islam. Continuiamo il nostro viaggio guidati, ancora una  volta, da Peter Oborne e dal suo ottimo testo The Fate of Abraham, Why the West is Wrong about Islam. 

«I francesi, rispetto agli inglesi e agli americani, sono stati più profondamente coinvolti nei loro, formali  ed informali, imperi musulmani. Sono anche giunti ad assorbire la loro principale colonia, l’Algeria, come  distaccamento della stessa madrepatria. La Francia è, a tutt’oggi, ancora coinvolta: economicamente,  politicamente, militarmente e culturalmente nella vita delle ex colonie». Peter Oborne, The Fate of Abraham; Why the West is Wrong about Islam, p. 211, trad. Mia. 

In altre parole: paese che vai, sistema di controllo sociale che trovi!  

Quello francese si rivela, rispetto a quello inglese, caratterizzato da una maggiore — formale — discrezione, come piuttosto pressante! Basti pensare (riguardo il coinvolgimento economico cui  accennava Oborne) al Franco CFA (l’acronimo sta per: Comunità Finanziaria Africana) che comprende due  valute utilizzate da 14 paesi africani (12 dei quali ex colonie francesi) legate, in passato, al franco francese e, oggi, all’euro da un sistema di parità fissa garantita dal Trésor français

La questione è stata a lungo e continua a essere al centro di arroventate polemiche internazionali (non ha  mancato di attirare, qualche anno fa, gli strali televisivi della stessa Giorgia Meloni) che individuano nel  Franco CFA uno strumento di oppressione economica e di sfruttamento post-coloniale. Meriterebbe,  dunque, un articolo a sé, realizzato da qualcuno più ferrato di me in economia (del resto, ci vuole poco!). 

Nel frattempo, Google è a disposizione di chiunque abbia una connessione decente. Franco CFA; buona  navigazione! 

Qui iniziamo dilettandoci un po’ di Storia, partendo da alcuni dati attuali per poi fare un rapido percorso  a ritroso toccando diversi secoli, senza trascurare una preliminare considerazione di ordine geografico: come vedremo le colonie francesi sono state, in molti casi, geograficamente più vicine alla madrepatria di  quanto lo siano state le colonie inglesi al Regno Unito. 

In conseguenza di questo e del profondo e, aggiungerei, non poco cruento coinvolgimento coloniale cui  accennava Oborne, la Francia ha la più alta percentuale di musulmani di qualunque altro paese europeo. Stando a un dato, del 2016, del Pew Research Center, la presenza musulmana in Francia si aggirava intorno all’8,8% (la media per i paesi dell’Unione Europea insieme a Norvegia e Svizzera è del 4,9%). Del resto, riporta ancora Oborne, stando a uno studio realizzato, nel 2005, dall’Istituto francese di studi  demografici, circa tre milioni e mezzo di francesi avevano legami con l’Algeria, il Marocco e la Tunisia, rappresentando approssimativamente il 5,8% del totale della popolazione francese e i due terzi della  minoranza musulmana. 

Passeggiando, come promesso, nella storia 

Tours (o Poitiers), 732: il nonno di Carlo Magno, Carlo Martello (quello che in una dissacratoria canzone  di Fabrizio De André “tornava dalla guerra” e “più che del corpo le ferite” sentiva “le bramosie d’amor”,  ragion per cui si trovò a fuggire, poco eroicamente, da una prostituta per non pagarle il dovuto) riporta  una decisiva vittoria militare, fermando un’avanzata che sembrava inesorabile dell’esercito arabo-berbero  dalla vicina al-Andalus: la Spagna islamica. Non mancano personaggi illustri — ad esempio il primo  statista indiano Jawaharlal Nehru, autore di diversi libri tra cui Glimpses of world history, pubblicato nel 1934  e scritto mentre era detenuto nelle carceri, coloniali, inglesi — che sostengono che se nella battaglia di Tours (o Poitiers) avessero vinto gli arabi-berberi, l’Europa sarebbe oggi, con buona probabilità, una terra  musulmana. 

In ogni caso, possiamo dire che, sin dall’ottavo secolo, i rapporti tra la Francia e l’Islam si siano macchiati  di sangue, laddove in Inghilterra, negli stessi anni, l’ostilità anti-islamica rimaneva fondamentalmente  circoscritta nelle mura dell’abbazia benedettina di Monkwearmouth–Jarrow dove viveva l’islamofobo (ma  non per questo meno straordinario) Beda il Venerabile, cui abbiamo accennato nel secondo articolo di  questa trilogia. 

Nel Medio Evo e nel Rinascimento i francesi, al pari degli inglesi, instaurarono rapporti commerciali ed  alleanze occasionali con governatori musulmani, tuttavia, a differenza dei loro vicini d’oltre-Manica, i  francesi erano attivi difensori del chiesa di Roma nel Vicino Oriente. E non solo a parole… Del resto lo stato assolutista francese precedente la rivoluzione del 1789 era fortemente identificato con  la chiesa cattolica da cui, invece — come abbiamo visto — “divorziò” Enrico VIII, il quale si sarebbe  poi macchiato di uno degli atti più abietti, a mio parere, della storia d’Inghilterra: la dissoluzione dei  monasteri. 

In reazione alla monarchia assoluta di stampo cattolico, esemplificata dal principio L’État, c’est moi di Luigi  XIV, si imposero, sull’onda lunga della Rivoluzione Francese, i concetti cardine di République e laïcité. E  siamo improvvisamente, avendo lasciato Carlo Martello ancora in fuga cialtronesca dalla prostituta  incontrata al suo rientro dalla battaglia di Poitiers, nella Francia contemporanea. 

Laïcité sans pitié 

Il concetto di laïcité, scrive Oborne, ha un ruolo cruciale per la situazione difficile che vivono oggi i  musulmani in Francia. È un concetto politico che delinea, in termini legali, il ruolo della religione nella  sfera pubblica. Paradossalmente la laïcité, continua Oborne, è quanto di più vicino vi sia oggi, in Francia,  a una religione di Stato, avendo per certi aspetti assunto il ruolo che era proprio della chiesa cattolica  prima del 1789. 

Nel 1905 vede la luce la legge che separa formalmente, in Francia, le chiese dallo stato, proibendo a quest’ultimo di riconoscere qualunque religione per proteggere la libertà di coscienza. Poco più di mezzo secolo dopo, nel 1958, la Costituzione della Quinta Repubblica francese, promossa  da Charles De Gaulle e ancora oggi in vigore pur avendo subito qualche modifica, ribadisce l’asserzione  della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 secondo cui “nessuno dovrebbe preoccuparsi  per le proprie opinioni, incluse quelle religiose, fatto salvo che la loro manifestazione non disturbi l’ordine  pubblico stabilito dalla legge”. 

Il concetto di laïcité viene da anni invocato, in Francia, tanto dai conservatori (a difesa dei valori cristiani  o giudaico-cristiani del paese) quanto dagli ambienti “sinistrorsi”, a difesa dei valori dell’illuminismo. In entrambi i casi in funzione anti-islamica, al punto che la legge n. 228/2004 che vieta  indiscriminatamente l’esposizione o la manifestazione di simboli religiosi o di tenute manifestanti  un’appartenenza religiosa nelle scuole, collegi e licei pubblici è maggiormente nota come “legge sul velo  islamico” perché questo non poteva che essere il principale target dei legislatori. Dopo gli attentati di Nizza, nel 2016, una trentina di comuni francesi, in assenza di una legge nazionale, hanno vietato alle donne musulmane di indossare il burkini nei luoghi pubblici, comprese le spiagge e le  piscine. 

Nel maggio 2022 ha fatto un certo scalpore il caso del Consiglio municipale di Grenoble che ha  approvato (con soli due voti di scarto) la modifica del regolamento che impediva l’accesso alle donne  musulmane alle piscine, andando sostanzialmente controcorrente rispetto alla generale laïcité a oltranza. Del caso ha scritto Sabri Ben Rommane su laluce.news con l’articolo: Sì al burkini in piscina: la vittoria delle  musulmane di Grenoble di cui credo meriti riportare il seguente commento: 

“Dall’inizio del secolo la Francia ha reso la comunità islamica il target principale di politiche restrittive in  nome di una interpretazione estrema del laicismo. Queste politiche sono state denunciate da molti attivisti  per i diritti ma anche da organizzazioni della società civile e dall’ONU stessa. L’Unione Europea, da parte sua, ha gradualmente ridotto la sua attenzione rispetto all’islamofobia anche  a causa dell’aumento del peso politico francese causato dalla Brexit. 

La politica francese ha reso difficile o ha, di fatto, bloccato l’accesso allo studio ed al lavoro da parte dei  musulmani e, soprattutto, alle musulmane che sono state le più danneggiate.  

Recentemente la Francia ha anche realizzato una serie di blitz contro le organizzazioni della società civile  che lavorano nel contesto dell’islamofobia, portando ad arresti preventivi e a danni contro la proprietà.  Molte ONG sono state bandite e hanno dovuto spostare la propria attività all’estero”. 

La guerra “sporca” 

Passeggiando nuovamente nella Storia, l’impero coloniale francese, in Africa, ha inizio nel 1830 e finisce, formalmente, con l’indipendenza dell’Algeria nel 1962. A differenza di quanto facessero gli inglesi, nelle loro lontane colonie, un numero rilevante di francesi  frequentava abitualmente (spesso trascorrendovi l’inverno) le colonie nordafricane, in particolare  l’Algeria. 

L’ordine dall’alto era: chi ostacolava la mission civilisatrice della Francia non doveva essere assolutamente  tollerato!  

La Francia più dell’Inghilterra, ci spiega Oborne, tentò di fare delle proprie colonie una sorta di replica della madrepatria, diffondendo a piene mani i valori della République in scuole appositamente laiche. In cambio di un atteggiamento di soggezione veniva garantito un più facile accesso alla società francese  (avendo sempre come termine di paragone l’Inghilterra). 

La religione islamica, cui aderiva la stragrande  maggioranza dei colonizzati (almeno nelle aree del nord Africa), non veniva ostacolata a patto di rimanere confinata alla vita privata. Del resto, marocchini, tunisini e algerini diedero un enorme tributo di sangue  alla Francia; Oborne riporta una stima di circa 600.000 musulmani che avrebbero combattuto nell’esercito  francese nel corso della Grande Guerra e, con numeri simili, i nord-africani non si sarebbero risparmiati  nel corso della seconda guerra mondiale, senza ricevere, in entrambi i casi, il trattamento adeguato. Non manca, difatti, chi ha coniato l’espressione “eroi musulmani dimenticati” che può essere applicata  indifferentemente a coloro che combatterono nelle file dell’esercito francese come in quelle dell’esercito  inglese, in entrambe le guerre. 

Il 1954 è un anno cruciale per la Francia coloniale. Tra il 13 marzo e il 7 maggio si dipanano le vicende  della storica battaglia di Dien Bien Phu, nel nord del Vietnam e poco distante dal confine con il Laos, che  vede vittoriose le truppe comuniste del Viet Minh e che comporta, con gli accordi di Ginevra firmati lo  stesso anno, il ritiro della Francia dalle proprie colonie d’Indocina. L’impero coloniale francese, al pari di  quello inglese con la perdita dell’India, inizia inesorabilmente a sfaldarsi. 

Nel 1956 la Francia riconosce l’indipendenza del Marocco e della Tunisia ma non vuole “mollare”  l’Algeria dove però si combatte già da due anni. La guerra d’indipendenza algerina… 

“è stata una guerra sporca, combattuta soprattutto in segreto, dallo Stato francese, lontano da un pubblico  scrutinio. La resistenza all’indipendenza algerina da parte dei coloni francesi — e dei loro simpatizzanti  nelle forze armate e in organizzazioni paramilitari — ha distrutto la Quarta Repubblica e ha quasi segnato  il termine della Quinta. Coloro che hanno combattuto in Algeria, come il politico nazionalista francese  Jean-Marie Le Pen, si sono formati in un odio anti-islamico che può essere considerato più velenoso di  quello (proverbiale) dell’estrema destra britannica”.

Peter Oborne, The Fate of Abraham; Why the West is Wrong about Islam, p. 219

Per avere una pur vaga idea di cosa sia stata la guerra d’indipendenza algerina credo sia d’obbligo vedere  o rivedere il capolavoro di Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri (1966). 

Nel 1962 anche l’Algeria (oggi il più esteso paese dell’Africa) diviene uno stato indipendente ma, come si  scriveva in apertura, la Francia è rimasta profondamente coinvolta nelle vicende delle sue ex colonie africane (con governi clientelari ed élites privilegiate), in particolare quelle ubicate nel nord del continente,  quella macro-regione conosciuta anche come Maghreb. 

Un’ostinata incomprensione  

Stando a quanto scrive Oborne, come è del resto abbastanza risaputo, il sistema di integrazione degli  immigrati, soprattutto maghrebini, in Francia non ha dato, sino ad oggi, un gran prova di sé. Se nel Regno Unito, ci spiega Oborne, ogni musulmano immigrato era automaticamente un cittadino,  come suddito della Regina, potendo dunque votare e prendere parte alla vita del paese dopo 6 mesi di  residenza regolare, in Francia i musulmani immigrati non potevano conseguire lo status di cittadini,  nemmeno coloro nati in Algeria prima che divenisse indipendente, quando veniva legalmente considerata  parte della Francia metropolitana. 

Lo stesso accesso all’acquisto di immobili, da parte degli immigrati, era  ridotto rispetto al Regno Unito e ancora oggi, riguardo i figli degli stessi, nati su suolo francese, c’è chi  parla di “cittadinanza incompleta”. 

Con l’aumento della domanda di lavoro, in Francia, negli anni ’60 e ’70, le migrazioni si intensificarono  assieme allo sviluppo delle famigerate banlieue: aree periferiche ai margini delle grandi città cui erano legate  da rapporti di pendolarismo quotidiano. 

Il risentimento degli abitanti delle banlieue (molti dei quali, soprattutto nelle fasce giovanili, finivano e  finiscono facilmente nelle spirali di gangs, droga e comportamenti anti-sociali), non di rado teatro di  rivolte — celebri i casi di Vaulx-en-Velin e Vénissieux, ai margini di Lione — ha ispirato un film, uscito  nel 1995, il cui titolo non potrebbe essere più esplicito: La Haine (L’odio). 

Con l’inizio del nuovo millennio l’ostinata incomprensione francese nei confronti del variegato mondo  islamico e la politica di deliberata marginalizzazione dei maghrebini naturalizzati francesi, si sono  progressivamente configurate nell’attuale paradigma per cui la cittadinanza francese equivale  all’abbandono dell’identità musulmana e all’accettazione acritica dei valori secolari (laïcité) della République,  avendo costantemente sullo sfondo la narrazione dello scontro di civiltà che unisce nell’islamofobia  Emmanuel Macron e Marine Le Pen. 

Sembra proprio che il paese con il più alto numero di musulmani in Europa (quasi il 10%) e con una  lunga storia di scambi culturali con il mondo arabo e berbero del Maghreb, si stia chiudendo a riccio su  un’identità asettica e “orfana di sacro”. 

Forse molti francesi (per fortuna abbondano le eccezioni) sono  rimasti trionfalisticamente ancorati all’impresa di Carlo Martello e il loro unico scopo, nella vita, è rimasto  quello di soddisfare “le bramosie d’amor”, indifferenti alla ricchezza culturale e spirituale di una sana  società plurale. Che peccato!