Niente bandiera russa: Ding campione di scacchi, la FIDE di ipocrisia

Ad Astana in Kazakistan, un timidissimo Ding Liren è stato incoronato campione del mondo di scacchi dopo aver vinto lo spareggio con Ian Nepomniachtchi.

Ding è cinese mentre Ian è russo. Durante la cerimonia di chiusura, come per tutto l’evento, la bandiera russa è stata rigorosamente censurata; la FIDE, l’equivalente della FIFA per gli scacchi, ha voluto seguire le discutibili raccomandazioni del CIO, Comitato Internazionale Olimpico, di far competere gli atleti russi in maniera neutra e individuale.

Il match consisteva in 14 partite con tempo di riflessione regolare e, in caso di parità, successivi spareggi rapidi. Gli sfidanti avrebbero guadagnato un punto per ogni partita vinta, nessun punto in caso di sconfitta e mezzo punto per ogni partita pareggiata. 

Quest’anno lo scontro è stato particolarmente entusiasmante, come in ogni thriller che si rispetti, i due sfidanti hanno tenuto gli appassionati col fiato sospeso fino all’ultima partita dello spareggio. A rendere il tutto più scoppiettante sono stati i continui alti e bassi, la fase con tempo di riflessione regolare ha visto alternarsi vittorie e sconfitte, vantaggi precari e recuperi inattesi. Una finale di mondiale così movimentata non è per nulla scontata, a questi livelli i pareggi sono molto frequenti, infatti, nel 2018, tutte le partite a cadenza regolare furono pareggi e si dovette attendere gli spareggi per assistere alla rottura dell’equilibrio.

Se gli scacchi sono noti per essere un gioco equo, i giocatori hanno a disposizione esattamente gli stessi pezzi, non si può dire che il trattamento degli atleti da parte della FIDE sia altrettanto equo. La decisione di vietare bandiera, inno e squadre russe a causa dell’invasione dell’Ucraina sembra un gesto di solidarietà, e lo sarebbe, se questa solidarietà non fosse selettiva. Se il trattamento fosse equo, avremmo visto vietare la bandiera americana e quella dei paesi che invasero l’Iraq per esempio, invece, mai la FIDE, o il CIO, si sono azzardati a proporre qualcosa del genere. 

Per quanto sospetti un atteggiamento ipocrita, non credo che la FIDE consideri giusta la guerra in Iraq, immagino che si giustifichi ricorrendo al fattore tempo, ovvero che all’epoca non era chiaro che l’invasione dell’Iraq fosse un “errore”.

In ogni caso, non c’è scusa che tenga quando dall’altra parte della scacchiera la FIDE ha posto la bandiera cinese, quando non ha trovato un motivo valido per censurare anche quella, e dire che tra occupazione del Tibet, persecuzione degli uiguri e la crisi con Taiwan aveva l’imbarazzo della scelta.

Se punire gli atleti per gli errori dei loro governi, questione molto discutibile, fosse anche corretto, questi provvedimenti punitivi andrebbero comminati in maniera equa, cioè applicati a tutti gli atleti i cui governi si sono resi responsabili di ingiustificati atti di aggressione o di comportamenti criminali e ingiusti, ma così facendo pochi atleti si salverebbero.