Le radici del rancore: Tantura e l’eredità di 75 anni di terrore israeliano contro i Palestinesi

Nel cuore della notte della Palestina del 1948, Tantura, un antico villaggio che affaccia sul Mediterraneo, avrebbe assistito a uno degli episodi più tragici della storia della brutale oppressione israeliana nei confronti dei palestinesi. I dettagli contenuti in questo estratto narrano la feroce realtà di ciò che accadde quel fatidico giorno, quando i destini di centinaia di palestinesi furono cambiati per sempre. Questa relazione dettagliata, basata sulle ricerche dello storico Ilan Pappe, getta luce sulla tragedia di Tantura, evidenziando la brutalità dell’occupazione, le decisioni inumane prese, e l’indescrivibile orrore vissuto dai suoi abitanti.

Nella sua ricostruzione, Pappe narra di un villaggio che, nonostante le avversità ed il clima incerto, sperava in un futuro pacifico, un futuro che fu bruscamente interrotto da una notte di terrore. L’attacco inaspettato, i separati destini degli uomini e delle donne, le esecuzioni di massa, e la pura e sadica crudeltà mostrata dai soldati ebrei verso i prigionieri palestinesi sono eventi descritti con minuziosa precisione.

Dalle testimonianze scritte ai resoconti dei testimoni oculari, il ritratto che emerge è quello di una violenza inimmaginabile. La spietatezza e l’assoluta mancanza di umanità sono descritti con una drammaticità palpabile. Questo episodio, per molto tempo tenuto nascosto, è uno dei tanti che dalla metà del secolo scorso ad oggi sono stati perpetrati nel silenzio omertoso della comunità internazionale. Questo racconto serve come doloroso promemoria del prezzo pagato dai palestinesi e del prezzo che essi sono pronti a pagare oggi per avere giustizia.

La ricerca di Pappe, accurata e imparziale, dà voce ai sopravvissuti, permettendo loro di raccontare le loro storie e rivelando l’atroce verità su ciò che accadde a Tantura e sullo spirito che muove l’occupazione sionista da allora. Ogni dettaglio, ogni testimonianza, ogni confessione risveglia la memoria di una notte che rimarrà per sempre impressa nella storia della Palestina.

Tantura era uno dei più grandi villaggi della costa e veniva considerato come una spina nel fianco dalla brigata di occupazione, come riporta il registro ufficiale di guerra dell’Alexandroni. Il giorno di Tantura giunse il 22 maggio.

Antico villaggio palestinese sulla costa del Mediterraneo, Tantura era a quel tempo un importante centro, con una popolazione di circa 1500 persone che viveva di agricoltura, pesca e lavori di manovalanza nella vicina città di Haifa. Il 15 maggio 1948, un piccolo gruppo di notabili di Tantura, tra cui il mukhtar del villaggio, incontrò gli ufficiali dei servizi segreti ebraici, i quali offrirono loro le condizioni di resa. I notabili, sospettando che alla resa sarebbe comunque seguita l’espulsione degli abitanti, rifiutarono.

Una settimana dopo, il 22 maggio 1948, il villaggio fu attaccato di notte. Dapprima il comandante ebreo che coordinava le operazioni voleva mandare nel villaggio un furgone munito di altoparlante per invitare gli abitanti alla resa, cosa che però poi non fu fatta. L’offensiva partì da quattro lati, seguendo una tattica insolita; di solito infatti la brigata circondava il villaggio su tre lati, lasciando libero il quarto in modo da consentire alla gente di fuggire. La mancata coordinazione fece sì che le truppe ebraiche accerchiarono completamente il villaggio e si trovarono quindi con un numero molto elevato di abitanti nelle loro mani.

Gli abitanti di Tantura furono condotti in massa alla spiaggia sotto minaccia delle armi. Lì le truppe ebraiche separarono gli uomini dalle donne e dai bambini, che furono trasferiti nella vicina Furaydis, dove alcuni degli uomini le raggiunsero dopo un anno e mezzo. Nel frattempo centinaia di uomini erano stati radunati sulla spiaggia e fu ordinato loro di sedersi e aspettare l’arrivo di un ufficiale dei servizi segreti israeliani, Shimshon Mashvitz, che abitava nell’insediamento di Givat Ada, poco distante, e nel cui “distretto” si trovava il villaggio di Tantura.

Mashvitz arrivò insieme a un collaboratore locale, incappucciato come ad Ayn al-Zaytun, e selezionò alcuni uomini tra quelli radunati – per l’esercito israeliano, “uomini” significava maschi dai dieci ai cinquant’anni –, che vennero poi condotti a gruppi in un luogo poco distante e giustiziati. La selezione avvenne secondo un elenco preparato in precedenza e tratto dall’archivio di Tantura, ed erano coloro che avevano partecipato all’insurrezione del 1936 e ad attacchi contro le attività commerciali degli ebrei, coloro che avevano contatti con il Mufti e chiunque avesse “commesso” uno dei “crimini” che comportassero automaticamente una condanna. Questi però non furono gli unici uomini a essere giustiziati. Prima di procedere alla selezione e alle esecuzioni sulla costa, l’unità occupante si era lasciata andare a uccisioni sfrenate nelle case e nelle strade. Joel Skolnik, geniere nel
battaglione, era stato ferito in questo attacco, ma durante il ricovero in ospedale sentì dire da altri soldati che questa era
stata «una delle più vergognose battaglie dell’esercito israeliano». Secondo la sua testimonianza, spari provenienti dai cecchini del villaggio contro i soldati avevano provocato un fuggi fuggi tra le truppe ebraiche subito dopo l’occupazione e prima di quanto era accaduto sulla spiaggia. L’attacco ebbe luogo dopo che gli abitanti avevano dato un segno di resa sventolando bandiera bianca.

Skolnik sentì dire che due soldati in particolare si erano scatenati e che avrebbero continuato a uccidere se non fossero arrivati a fermarli alcuni ebrei dal vicino insediamento di Zikhron Yaacov. Fu il capo dell’insediamento, Yaacov Epstein, che riuscì a porre fine all’orgia di uccisioni a Tantura, ma arrivò «troppo tardi», come ebbe a commentare amaramente un sopravvissuto.

La maggior parte delle uccisioni furono eseguite a sangue freddo sulla spiaggia. Alcune vittime furono dapprima interrogate sulla presunta esistenza di un «enorme deposito» di armi, nascosto da qualche parte nel villaggio. Poiché non ne sapevano niente – tale deposito non esisteva – furono giustiziati all’istante. Oggi molti dei sopravvissuti a questi episodi orrendi vivono nel campo profughi di Yarmuk, in Siria, e cercano di superare con grande difficoltà il trauma subito per aver assistito a quelle esecuzioni.

Ecco come un ufficiale ebreo descrisse le esecuzioni a Tantura:

I prigionieri venivano condotti in gruppi 200 metri più in là e poi fucilati. I soldati andavano dal comandante supremo e gli dicevano:
«Mio cugino è stato ucciso in uno degli scontri». Il comandante ordinava alla truppa di prendere un gruppo di cinque, sette persone,
condurle da parte e ucciderle. Poi arrivava un altro soldato e diceva che suo fratello era morto in una battaglia. Per un fratello, la punizione era maggiore. Il comandante ordinava alle truppe di prendere un gruppo più numeroso e fucilarlo, e così via. In altre parole, ciò che ebbe luogo a Tantura fu la sistematica esecuzione di palestinesi giovani e forti per mano di soldati ebrei e di ufficiali dei servizi segreti. Un testimone oculare, Abu Mashaykh, si trovava a Tantura presso un amico; proveniva da Qisarya, un villaggio già evacuato e distrutto dalle truppe ebraiche nel febbraio del 1948. Egli vide con i propri occhi la fucilazione di 85 giovani di Tantura, portati via in gruppi di 10 e poi giustiziati nel cimitero e nella vicina
moschea. Secondo lui, anche altri furono fucilati, ne calcolò in totale circa 110. Vide Shimshon Mashvitz che coordinava l’intera operazione: «Aveva uno “Sten” [mitra], li metteva faccia al muro e poi sparava loro dietro alla testa, uno a uno». Abu Mashayck riferì pure che gli altri soldati ebrei assistevano alle fucilazioni con evidente piacere.

Anche Fawzi Muhammad Tanj, Abu Khalid, fu testimone oculare delle fucilazioni. Secondo il suo resoconto, gli uomini del villaggio venivano separati dalle donne, poi condotti all’esecuzione a gruppi di sette, dieci. Egli vide fucilare 97 persone. Mahmud Abu Salih di Tantura riferì della fucilazione di 90 persone. Aveva allora 17 anni e il suo ricordo più vivo è quello di un padre fucilato davanti ai suoi figli. Abu Salih è ancora in contatto con uno di loro, che impazzì alla vista del padre ucciso e non si è mai più ripreso. Abu Salih vide fucilare anche 7 uomini della propria famiglia.

Mustafa Abu Masri, chiamato anche Abu Jamil, aveva allora 13 anni ma probabilmente ne dimostrava solo 10 quando passarono a selezionare le vittime e fu quindi mandato nel gruppo di donne e bambini, la qualcosa lo salvò. Una dozzina di uomini tra 10 e 30 anni della sua famiglia furono meno fortunati, ed egli li vide fucilare. Il suo resoconto dei fatti è agghiacciante. Suo padre si imbatté in un ufficiale ebreo che la famiglia conosceva e di cui si fidava, quindi mandò via la famiglia con quell’ufficiale: il padre fu poi fucilato. Abu Jamil ricorda l’esecuzione sommaria di 125 persone. Vide
Shimshon Mashvitz camminare tra la gente radunata sulla spiaggia con in mano una frusta con la quale menava colpi «per divertirsi». Anis Ali Jarban racconta su Mashvitz simili episodi atroci. Egli proveniva dal vicino villaggio di Jisr al- Zarqa, da cui era fuggito con la famiglia, rifugiandosi a Tantura nella speranza che il villaggio più grande avrebbe offerto una migliore protezione.

Placatasi la furia distruttrice e finite le fucilazioni, fu ordinato a due palestinesi di scavare delle fosse comuni sotto la supervisione di Mordechai Sokoler, di Zikhron Yaacov, proprietario dei trattori portati lì per quel lavoro raccapricciante. Nel 1999, egli dichiarò che ricordava di aver fatto seppellire 230 corpi; si ricordava il numero esatto: «li ho posti l’uno accanto all’altro nella fossa».

Anche altri palestinesi che dovettero scavare le fosse comuni ricordano il tremendo momento in cui si resero conto che di lì a poco sarebbero stati fucilati anche loro. Si salvarono solo perché Yaacov Epstein, che era già intervenuto per placare la violenza nel villaggio, arrivò e fece fermare le uccisioni sulla spiaggia. Abu Fihmi, uno dei più anziani e rispettati uomini del villaggio, fu reclutato per identificare i corpi e poi per aiutare a trasportarli nelle fosse: Shimshon Mashvitz gli ordinò di fare un elenco dei corpi e ne contò 95. Jamila Ihsan Shura Khalil vide i corpi caricati su carretti che gli abitanti spinsero fino alla fossa.

La maggior parte delle interviste ai sopravvissuti furono fatte nel 1999 da un giovane ricercatore israeliano, Teddy Katz, che “scoprì per caso” il massacro mentre preparava la sua tesi per un master presso l’università di Haifa. Quando la tesi fu pubblicata, l’università la considerò nulla, in maniera retroattiva, e i veterani dell’Alexandroni gli fecero causa, citandolo per diffamazione. L’intervistato più anziano tra quelli contattati da Katz fu Shlomo Ambar, che divenne poi generale dell’IDF. Ambar si rifiutò di raccontare i dettagli di ciò che aveva visto, dicendo: «Voglio dimenticare quello che è successo là». Alle insistenze di Katz, egli disse solo: «Posso collegare questo episodio al fatto che avevo combattuto contro i tedeschi [aveva combattuto nella brigata ebraica nella seconda guerra mondiale]. I tedeschi sono stati il peggior nemico del popolo ebreo, ma noi combattevamo secondo leggi di guerra dettate dalla comunità internazionale. I tedeschi non uccidevano i prigionieri di guerra, uccidevano i prigionieri slavi ma non gli
inglesi, nemmeno se [erano] ebrei.»

Ambar ammise di aver tenuto nascosto certi episodi: «Non ho parlato allora, perché dovrei parlare ora?». E si capisce, dato il tipo di immagini che gli venivano in mente quando Katz gli chiese cosa avevano fatto i suoi compagni a Tantura. In realtà, si era già parlato di Tantura fin dal 1950, ma allora non aveva attirato la stessa attenzione del massacro di Deir Yassin. Tantura compare nelle memorie di un notabile di Haifa, Muhammad Nimr al-Khatib, il quale, pochi giorni dopo la battaglia, aveva trascritto quanto narratogli da un testimone palestinese che confermava le esecuzioni sommarie
di palestinesi sulla spiaggia. Ecco quanto scrisse allora:

«La notte del 22-23 maggio gli ebrei attaccarono da tre lati e arrivarono su imbarcazioni dal mare. Noi cercammo di resistere nelle strade e nelle case e al mattino c’erano cadaveri ovunque. Mai finché vivrò dimenticherò quel giorno. Gli ebrei riunirono tutte le donne e i bambini in un luogo dove poi furono depositati tutti i corpi affinché vedessero i propri mariti, padri, figli morti, per terrorizzarli, ma loro rimasero calmi. […] Radunarono gli uomini in un altro luogo, li presero a gruppi e li fucilarono. Quando le donne udirono gli spari, chiesero alla loro guardia ebraica cosa stava succedendo. Egli rispose: «Ci stiamo vendicando dei nostri morti». Un ufficiale selezionò 40 uomini e li condusse alla piazza del villaggio dove furono divisi in gruppi di quattro, di cui uno fu fucilato e agli altri tre fu ordinato di portare il corpo in una grande fossa. Poi fu fucilato un altro e gli altri due portarono via il
corpo, e così via.

Terminate le operazioni di pulizia lungo la costa, l’Alexandroni ricevette istruzioni di spostarsi verso l’alta Galilea: Dovete occupare Qadas, Mayrun, Nabi Yehoshua e Malkiyye; Qadas dovrà essere distrutta; gli altri due saranno affidati alla brigata Volani e il suo comandante deciderà cosa farne. Mayrun dovrà essere occupata e consegnata alla Golani. La distanza geografica tra le varie località è notevole, il che conferma ancora una volta l’avidità con cui le truppe proseguivano nel loro viaggio di distruzione.

RIFERIMENTI:

Ilan Pappe (2008), La pulizia etnica della Palestina,pp. 60-61, Fazi Editore, Roma