“Dal fiume al mare”: Cosa significa veramente lo slogan palestinese?


I critici ne hanno accusato l’utilizzo in funzione antisemita nel contesto della guerra di Israele contro Gaza. Ma secondo gli analisti lo slogan ha radici ben più complesse. Uno slogan che invoca la libertà dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo ha suscitato l’attenzione in tutto il mondo occidentale dopo che qui i governanti hanno cercato di limitarne l’uso da parte dei dimostranti pro-palestinesi.

Da Beirut a Londra, da Tunisi a Roma, gli appelli per un cessate il fuoco che ponga fine agli incessanti bombardamenti di Israele su Gaza sono stati intervallati dallo slogan “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”. Per le folle che sventolano le bandiere palestinesi, il canto che risuona in tutto il mondo esprime il desiderio di libertà dall’oppressione nella terra storica della Palestina. Ma per Israele e i suoi sostenitori, che etichettano la frase come pro-Hamas, si tratta di un velato appello alla violenza che porta con sé un’accusa di antisemitismo.

Lunedì scorso il partito laburista del Regno Unito ha sospeso il deputato Andy McDonald per aver usato l’espressione “tra il fiume e il mare” in un discorso pronunciato ad una manifestazione pro-palestinese.

All’inizio del mese, il ministro dell’interno inglese, Suella Braverman, aveva definito le manifestazioni pro-palestinesi come “marce dell’odio” aggiungendo che lo slogan dovrebbe essere interpretato come un’indicazione di un desiderio di eliminazione violenta di Israele. Nel Regno Unito, la Football Association ha vietato ai giocatori di utilizzare lo slogan sui loro account privati sui social media. La polizia austriaca ha assunto una posizione simile, vietando una protesta pro-Palestina sulla base di quanto si afferma in questo slogan e sostenendo che esso, originariamente formulato dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), è stato in seguito adottato dal gruppo armato di Hamas. Le autorità tedesche hanno anch’esse vietato lo slogan, addirittura perseguibile per legge, e hanno invitato le scuole di Berlino a vietare l’uso della kefiah, la sciarpa palestinese. Ecco cosa c’è da sapere a proposito di questa diatriba:

Quali sono le origini dello slogan?
Al momento della sua fondazione, nel 1964, da parte dei palestinesi della diaspora, sotto la guida di Yasser Arafat, l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina chiese la creazione di un unico stato che si estendesse dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo e comprendesse i suoi territori storici.

Il dibattito sulla spartizione è precedente alla formazione dello stato di Israele, avvenuta nel 1948. Il piano proposto un anno prima dalle Nazioni Unite per suddividere il territorio tra uno stato ebraico – che avrebbe occupato il 62% dell’ex mandato britannico – e uno stato palestinese separato venne respinto dai leader arabi dell’epoca.

Più di 750.000 palestinesi furono cacciati dalle loro case in quella che divenne nota come la Nakba o “catastrofe”.

In seguito la leadership dell’OLP accettò la prospettiva di una soluzione a due stati, ma il fallimento del processo di pace di Oslo nel 1993 e i tentativi degli Stati Uniti di mediare un accordo finale a Camp David nel 2000, che provocarono una seconda Intifada (la rivolta di massa dei palestinesi), hanno portato ad un irrigidimento delle posizioni.

Che cosa significa?

Sia per gli osservatori palestinesi che per quelli israeliani, le diverse interpretazioni sul significato dello slogan sono legate al termine “libero”.

Nimer Sultany, docente di diritto presso la School of Oriental and African Studies (SOAS) di Londra, ha affermato che l’aggettivo esprime “la necessità di uguaglianza per tutti gli abitanti della Palestina storica”.

“Chi sostiene l’apartheid e la supremazia ebraica troverà censurabile il canto che parla di uguaglianza”, ha dichiarato Sultany, cittadino palestinese di Israele, ad Al Jazeera.

La libertà si riferisce al fatto che ai palestinesi è stata negata la realizzazione del loro diritto all’autodeterminazione da quando la Gran Bretagna ha concesso agli ebrei il diritto di stabilire una patria nazionale in Palestina con la Dichiarazione Balfour del 1917.

“Questo continua ad essere il nocciolo del problema: la continua negazione ai palestinesi di vivere in uguaglianza, libertà e dignità come tutti gli altri”, ha aggiunto Sultany.

Decine di migliaia di manifestanti pro-palestinesi continuano a marciare ogni sabato a Londra, accompagnati da diversi gruppi ebraici, il che, secondo il docente della SOAS, è un segno che lo slogan non può essere interpretato come antisemita.”È fondamentale ricordare che questo canto è in inglese, mentre in arabo non fa la rima, ed è usato nelle manifestazioni nei paesi occidentali”, ha detto. “La polemica è stata inventata per impedire in occidente la solidarietà coi palestinesi”.Gli osservatori pro-Israele, tuttavia, sostengono che lo slogan abbia un effetto intimidatorio. “Secondo gli ebrei israeliani questa frase afferma che tra il fiume Giordano e il Mediterraneo ci sarà un’unica entità, che si chiamerà Palestina – non ci sarà uno stato ebraico – e lo status degli ebrei in qualsiasi entità sorgerà, non sarà molto chiaro”, ha dichiarato Yehudah Mirsky, rabbino di Gerusalemme e professore di Studi Giudaici e del Vicino Oriente alla Brandeis University.

“Sembra più una minaccia che una promessa di liberazione. Non fa presagire un futuro in cui gli ebrei possano avere una vita normale ed essere loro stessi”, ha detto aggiungendo che lo slogan ha reso più difficile per gli israeliani di sinistra sostenere il dialogo. Mirsky ritiene che coloro che scandiscono lo slogan sono “sostenitori di Hamas”, mentre Sultany afferma che coloro che sventolano la bandiera verde del movimento armato sono l’eccezione durante le proteste nelle quali sono presenti migliaia di persone. La polemica lunedì scorso è arrivata fino al parlamento britannico, dove il Partito Laburista ha rimosso McDonald dal suo incarico per aver detto che “Non ci fermeremo finché non avremo giustizia. Finché tutti i popoli, israeliani e palestinesi, tra il fiume e il mare, non potranno vivere in pacifica libertà”.

Il partito ha affermato che il deputato britannico ha pronunciato commenti “profondamente offensivi” relativi alla guerra tra Israele e Gaza. McDonald ha respinto le accuse, affermando che le sue parole erano intese come “un accorato appello per la fine delle uccisioni” nella regione, secondo quanto riportato dai media locali.

Sultany considera la dinamica in gioco come “un tentativo dei sionisti e dei propagandisti pro-israeliani di far crollare la distinzione tra l’esistenza di Israele come stato e l’apparato ideologico della supremazia ebraica”. Attraverso queste lenti distorte, “un appello all’egualitarismo e allo smantellamento del sistema di apartheid diventa una minaccia esistenziale”.

L’uso dello slogan “dal fiume al mare” da parte di Israele

Il partito Likud di Benjamin Netanyahu, che si definisce conservatore e nazionalista, è stato un convinto promotore del concetto di “Eretz Israel”, ovvero del diritto del popolo ebraico, sancito dalla Bibbia, alla terra di Israele.

Secondo la Jewish Virtual Library, il manifesto originale del partito nel 1977 affermava che “tra il mare e il Giordano ci sarà solo la sovranità israeliana”. Sosteneva inoltre che l’istituzione di uno stato palestinese avrebbe messo “a rischio la sicurezza della popolazione ebraica” e “in pericolo l’esistenza dello Stato di Israele”. L’ambasciatrice di Israele nel Regno Unito, Tzipi Hotovely, è stata tra i promotori del riconoscimento internazionale della rivendicazione storica ebraica delle terre dal fiume al mare.

L’espansione degli insediamenti nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est da parte dei governi israeliani che si sono succeduti è vista come un tentativo di Israele di controllare la terra dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo, negando l’aspirazione dei palestinesi a uno stato indipendente.

Mirsky ha affermato che, mentre le figure pubbliche israeliane utilizzano il concetto biblico per rivendicare l’autorità politica su tutti i territori contesi, la questione è “fortemente dibattuta” all’interno dell’Israele moderno.

Piuttosto che concentrarsi su ciò che semina divisione, Mirsky ha detto che “gli sforzi dovrebbero invece essere diretti a trovare soluzioni”.”Sediamoci e cerchiamo di trovare idee che in pratica migliorino la vita di ebrei e arabi”, ha detto, tra cui un nuovo slogan che superi l’attuale divisione.”Per quanto possa sembrare impensabile adesso, ritengo che alla fine di questa guerra ci sarà una nuova opportunità per parlare della creazione di un futuro migliore”.

Traduzione di Aisha Tiziana Bravi da originale pubblicato da Al-Jazeera