Mandir Wapsi il movimento nazionalista indù che rivendica il Taj Mahal

L’India è stata a lungo famosa per essere la culla della spiritualità, il paese del più importante movimento non violento, il “paese della religione”, per usare la definizione di Alberto Moravia, ovvero della “religione come stato esistenziale”. Il paese dove diverse religioni potevano, pacificamente, convivere.

Questi erano, in parte, dei facili stereotipi ma, avendo vissuto buona parte del mio tempo in India per molti anni, posso dire che fossero almeno parzialmente confermati dalla realtà. Io ho vissuto a lungo a Varanasi, la città santa degli hindu, la “città della buona morte” dove, come scrissi, “gli hindu sperano di morire per l’ultima volta” (dato che morire a Varanasi, secondo antiche credenze, porterebbe alla liberazione dal ciclo di nascite, morti e rinascite).

Ricordo che, nel corso delle mie lunghe permanenze in città, una delle cose che spesso mi colpiva positivamente era vedere come, all’altezza del suo principale quartiere musulmano (Madanpura), hindu e musulmani sedevano pacificamente sulle stesse panchine a sorseggiare il loro chai. Si sentiva lo scampanio dei templi hindu e l’adhan dalle moschee e si aveva la netta sensazione fosse stato sempre così.

Qualcosa, purtroppo, sta cambiando.

Prime drammatiche avvisaglie ci sono state ad Ayodhya (un’altra città santa degli hindu) dove la moschea di Babri Masjid venne attaccata e demolita da hindu nazionalisti nel 1992. Questi ritenevano sorgesse sul luogo di nascita di Rama (re virtuoso, protagonista dell’opera epica Ramayana e ritenuto un’avatara — un’incarnazione — del dio Vishnu). La demolizione di Babri Masjid ha innescato un tremendo effetto domino e determinato, in breve tempo, la morte di circa 2000 persone.

Ed ecco che i luoghi comuni e gli stereotipi di cui sopra, solo parzialmente confortati dalla realtà, iniziavano a scricchiolare. Nel 2014 ha vinto le elezioni nazionali (meglio sarebbe dire: subcontinentali) Narendra Modi, a capo del BJP, il partito nazionalista hindu. Il Partito del Congresso — che aveva tenuto quasi ininterrottamente l’India dal 1947 (anno della sua indipendenza dalla Gran Bretagna) — era dilaniato dalla corruzione ed era fisiologico un ricambio. Nel 2014 la gente celebrava la vittoria di Modi suonando e danzando nelle strade torride e congestionate.

Negli anni successivi si sono registrati, in diversi ambiti, significativi progressi ma la convivenza tra hindu e musulmani (che a me è sembrata sempre del tutto naturale nei miei anni di vita in India, malgrado non mancassero frizioni anche di una certa rilevanza) non ha fatto che peggiorare. Non si può dire i responsabili siano stati, sino ad oggi, i musulmani che, pur con qualche fisiologica eccezione, hanno tentato di mantenere un profilo relativamente basso. È piuttosto la forte vocazione identitarista del BJP ad aver innescato una spirale di violenze dove, come abbiamo in parte documentato in altri articoli, a rimetterci sono fondamentalmente i musulmani in quanto minoranza con una modestissima rappresentanza istituzionale.

Ultimamente l’aggressività di un paio di membri importanti del BJP — Nupur Sharma e Kumar Jindal (che hanno pesantemente insultato il Profeta Muhammad) — ha scatenato l’indignazione e diverse forme di boicottaggio da parte di moltissimi paesi musulmani, arrivando a unire nella protesta l’Iran e l’Arabia Saudita. Il governo del BJP ha dovuto fare marcia indietro, l’ordine dall’alto è ora quello di essere estremamente cauti quando si parla, pubblicamente, di religione ma il paese continua a essere scosso da gravi tensioni e le condizioni di vita dei musulmani sono sempre più critiche. 

Il Movimento Mandir Wapsi è composto da frange ultra-nazionaliste e identitariste del BJP e del Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS): un’organizzazione paramilitare di volontari hindu, fondata nel 1925, che nel 2014 contava circa 5-6 milioni di membri ed è oggi una delle maggiori espressioni dell’attuale governo nell’ambito della società civile.

Il Movimento Mandir Wapsi ritiene che molte moschee, in diverse città sante degli hindu (Varanasi, un tempo conosciuta come Kashi e Mathura sono gli esempi più calzanti), siano state edificate, in periodo Moghul, sulle macerie di antichissimi templi hindu, demoliti all’uopo.

In virtù di questo, per una sorta di legge del contrappasso, le stesse moschee dovrebbero essere “riconvertite”, diventando — nuovamente — templi hindu. Un esempio su tutti è quello del tempio di Vishweshvara, la cui demolizione venne ordinata da Aurangazeb nel 1669. Sulle sue vestigia è stata costruita la celebre moschea Gyanvapi, oggi al centro di gravi controversie revivaliste.

Uno dei protagonisti del Movimento Mandir Wapsi è l’avvocato Hari Shankar Jain che dichiarava, un paio di settimane fa, a India Today: “il nostro obiettivo è quello di riprenderci i templi distrutti nel passato. È un voto che ho fatto quando ero bambino dopo aver ascoltato, da mia madre, molti racconti in merito alle terribili atrocità commesse dagli invasori. Mi hanno ispirato a contrastare, una volta adulto, la tirannia della storia”.

I tribunali, in India, rigurgitano petizioni e contropetizioni, team di archeologi sono al lavoro. Lo stesso, celeberrimo, Taj Mahal — viene contestato da diversi ultranazionalisti hindu — sarebbe stato un tempio shivaita il cui nome era Tejo Mahalaya. India Today (13 giugno 2022) ha dedicato un lungo, preoccupato dossier al Movimento Mandir Wapsi.

È presto per trarre conclusioni di rilievo, bisogna tenere vigile l’attenzione su quanto sta succedendo in India e seguire lo svolgersi dei fatti. Sarebbe necessario riflettere perchè studiando pur molto in generale l’affascinante storia del subcontinente indiano, emerge chiaramente che ci sono stati imperatori Moghul illuminati (un esempio su tutti: Akbar) e altri che hanno dato prova d’intolleranza religiosa come Aurangazeb.

Si dice che il tempo sia galantuomo ma, in questo caso, sembrerebbe proprio di no! Le conseguenze di certi atti (la demolizione di templi hindu che, effettivamente, ha avuto luogo in epoca Moghul) riemergono oggi dai recessi della Storia, creando pericolosi presupposti di scontri interreligiosi in un paese che, vi posso assicurare, non è affatto non violento come alcuni possono credere o far credere.

L’importante lezione che si può trarre è che l’intolleranza religiosa, da qualunque parte la si pratichi, produce frutti avvelenati.

Una visione suprematista della religione può avere, fisiologicamente, esiti tragici mentre oggi, in un mondo oramai globalizzato, multi-etnico e pluriconfessionale, la parola chiave da rendere ogni giorno più effettiva è convivenza e, a livello di prassi, dimostrare quotidianamente di essere all’altezza della grande sfida della società plurale.

L’incontro storico di Papa Francesco con il Grande Imam Ahmed Al-Tayeb ad Abu Dhabi (4 febbraio 2019) e la seguente enciclica Fratelli Tutti invitano a muovere, esattamente, in questa direzione. Imparare a convivere è, probabilmente, più difficile che tentare di esercitare una pressione suprematista sulla minoranza religiosa di turno.

Spero davvero a Varanasi hindu e musulmani tornino a presto a sorseggiare ciascuno il proprio chai sedendo sulla stessa panchina senza risentimenti di sorta, avendo tutti la stessa tranquillità di frequentare i rispettivi luoghi di culto. Stando a quello che sta succedendo negli ultimi anni in India sembra davvero un sogno (che ho potuto a suo tempo toccare con mano) ogni giorno più difficile da realizzare. Non mancano del resto, come si può leggere nel dossier di India Today, persone di buon senso, con importanti responsabilità istituzionali, in India, che stanno lavorando seriamente nella direzione di un’auspicabile distensione. Preghiamo affinché i loro sforzi non siano vani!