Perché Gaza è immersa nell’oscurità mentre la sua costa è piena di gas?

Dopo il lancio dell’operazione “Al-Aqsa Flood”, condotta dalla resistenza palestinese sotto la guida delle Brigate Al-Qassam (l’ala militare del movimento Hamas) il 7 ottobre 2023, l’occupazione israeliana ha tagliato elettricità, carburante e cibo e ha imposto un assedio assoluto alla Striscia di Gaza, che secondo la legge è classificato come crimine di guerra.
La Striscia di Gaza dipende fortemente dall’esterno per importazione di elettricità e carburante oltre a molti beni e bisogni derivanti dalla superficie limitata della Striscia e dalla densità della sua popolazione. soggetta da anni ad un assedio totale da parte di Israele, che circonda la Striscia da tutti i lati tranne un lato a sud che la collega all’Egitto attraverso il valico di Rafah, che è soggetto alla gestione internazionale e al controllo israeliano in conformità con gli accordi internazionali.
 
Centrale elettrica palestinese
 
Nel tentativo di fare affidamento su se stessi nella produzione di elettricità, i palestinesi di Gaza hanno deciso di costruire una centrale elettrica dall’inizio dell’attuale millennio.
Nel 1999, il miliardario palestinese presidente della United Contractors Company, Saeed Khoury, ha stipulato una partnership con la compagnia energetica americana Enron per costruire la prima centrale di generazione di elettricità a Gaza con una capacità di 136 megawatt.
Enron purtroppo  dichiarò bancarotta alla fine del 2001, cosa che spinse la Consolidated Contractors Company ad acquistare la quota di Enron e continuare i lavori per costruire l’impianto di Gaza, che iniziò a funzionare nel 2003, un anno e mezzo dopo il previsto.
Il piano prevedeva che la centrale funzionasse inizialmente con carburante, per poi essere modificata per funzionare con gas naturale. Considerando che il gas naturale è più efficiente, meno inquinante e più economico di quello che la stazione importa dalla società israeliana “Or Alon”, che lo fornisce ai territori palestinesi a prezzi altissimi dal 1994.
Dall’inizio del progetto dell’impianto, la Consolidated Contractors Company ha contattato British Gas, che operava nella vicina penisola egiziana del Sinai, per acquistare gas egiziano.
In seguito la società britannica ha informato i palestinesi che, in base a suoi studi, le coste di Gaza erano ricche di gas naturale, quindi nel novembre 1999 l’Autorità Palestinese ha concluso un contratto di esplorazione del gas con la società britannica per un periodo di 25 anni.
L’accordo prevede che la compagnia britannica effettui ricerche di gas al largo di Gaza entro un raggio di 20 miglia dalla costa e secondo gli accordi di Oslo conclusi dall’Autorità Palestinese con Israele, su questa zona marittima i palestinesi avevano giurisdizione.
 
Ostruzionismo israeliano
 
Da parte sua, Israele cercò di interrompere il processo di esplorazione e nel 2000 l’alleanza israeliana Yam Thetis (composta da Noble Energy e Delek Group) presentò una petizione alla Corte Suprema israeliana chiedendo che alla British Gas fosse impedito di esplorare al largo della costa di di Gaza, con il pretesto che l’Autorità Palestinese non è un governo, non è sovrana e non ha il diritto di contrattare con la società britannica, ma la corte ha respinto la richiesta.
Nel settembre del 2000, la British Gas raggiunse un pozzo esplorativo chiamato “Gaza Marine 1” a una profondità di 603 metri sott’acqua, 36 chilometri a ovest della città di Gaza. In seguito è stato individuato un altro pozzo esplorativo, che hanno chiamato “Gaza Marine 2”, situato a circa 5 chilometri a ovest di “Gaza Marine 1” a una profondità di 535 metri. Le riserve sono state stimate a più di un trilione di piedi cubi di gas naturale di alta qualità.
British Gas ha confermato che la qualità del gas è buona (dal 98 al 99% di metano puro) e in quantità sufficiente a soddisfare la domanda palestinese e fornire altre quantità per l’esportazione.
Secondo le stime prudenti dell’epoca, “Gaza Marine 1” avrebbe soddisfatto il previsto fabbisogno energetico palestinese per 20 anni. Il 28 settembre 2000 scoppiò l’Intifada di Al-Aqsa, interrompendo il progetto fino al 2005.
La British Gas si trovava ad affrontare il problema che, sebbene i giacimenti di gas scoperti al largo di Gaza fossero economicamente sfruttabili, cercava qualcuno che li acquistasse, poiché il mercato palestinese era limitato e aveva poco bisogno di gas. L’opzione migliore era venderlo a Israele, data la vicinanza e i bassi costi di trasporto, ma il primo ministro israeliano Ariel Sharon nel 2001 rifiutò qualsiasi acquisto di gas palestinese.
Nel maggio 2002, sotto la pressione dell’ex primo ministro britannico Tony Blair, Sharon riprese i negoziati con la British Gas, ma nel 2003 cambio idea e rifiutò di proseguire i negoziati con la motivazione che il denaro ricavato dalla vendita del gas, che Israele avrebbe pagato, sarebbe potuto andare a attività “terroristiche”, anche se avrebbe dovuto essere depositato su un conto speciale sotto supervisione internazionale per essere utilizzato per i bisogni primari. Alla luce dell’intransigenza israeliana, la British Gas tentò di negoziare con l’Egitto, ma la trattativa non ebbe successo.
Nell’aprile 2007, l’allora primo ministro israeliano Ehud Olmert decise di riprendere i negoziati con la società britannica, sulla base dell’acquisto da parte di Israele di 50 miliardi di metri cubi di gas per 4 miliardi di dollari all’anno, a partire dal 2009. Secondo ciò, i ricavi sarebbero stati stimati a circa 2 miliardi di dollari, 1 miliardo dei quali sarebbe andato al Tesoro palestinese. Secondo il progetto, il gas avrebbe dovuto essere pompato sotto il mare attraverso un gasdotto dalla costa di Gaza ad Ashkelon (nel sud di Israele), e dopo che Israele avrà preso la sua parte, rimanderà il resto a Gaza.
Ma i negoziati fallirono dopo che Hamas prese il controllo della Striscia di Gaza nel giugno 2007. Alla luce di queste circostanze e ostacoli, British Gas ha deciso di ritirarsi dalle trattative.
 
Le fonti elettriche di Gaza
 
Prima del 7 ottobre 2023, l’elettricità arrivava a Gaza da due fonti: la prima era la centrale di Gaza, che dipendeva dal carburante, e la sua capacità è scesa fino a raggiungere tra i 65 e i 70 megawatt. La seconda fonte è rappresentata da 10 linee elettriche provenienti da Israele con una capacità di 120 megawatt, ed esistono fonti energetiche alternative, soprattutto energia solare, che producono  tra i 15 e i 20 megawatt.
 
La capacità elettrica totale disponibile a Gaza era di circa 200 megawatt, ovvero meno della metà del fabbisogno elettrico della Striscia, stimato a circa 500 megawatt. La Gaza Electricity Distribution Company stava deliberatamente lavorando ad un programma di emergenza per distribuirlo alla città e i suoi dintorni con priorità data agli ospedali, ai pozzi d’acqua e agli impianti di trattamento delle acque reflue e ad altre installazioni vitali.  Per il resto l’elettricità che raggiunge le case solo per 4-6 ore al giorno.
Quando il 7 ottobre scoppiò la guerra, Israele interruppe l’elettricità a Gaza, e lo stesso giorno la Gaza Electricity Company annunciò che la compagnia dipendeva solo dalla stazione di Gaza, che il deficit elettrico nella Striscia raggiungeva circa l’80% e che pertanto le forniture di elettricità sarebbero diminuite in modo significativo Successivamente, la situazione è gravemente peggiorata dopo che le scorte di carburante che alimentavano la centrale  si sono esaurite e Israele ha impedito il passaggio di ulteriori rifornimenti che passavano attraverso il valico di Kerem Shalom, provocando il totale black out.
 
Fonte: Al Jazeera- Shaher Al-Ahmad- 31/10/2023