Distanze e halal laico nella nuova normalità del Coronavirus

La fine del ramadan ha coinciso con la ripresa, la riapertura, la fase due o come la si voglia chiamare. Qualcosa che i musulmani hanno notato, soprattutto a Milano e in Lombadia – i non musulmani assai di meno, ovviamente.

E’ un sapere condiviso sottotraccia tra fratelli e sorelle. Essi stessi ancora alle prese con l’elaborazione della condizione sorprendente in cui “ciò che è halal diventa normal” come ha espresso perfettamente tal Idriss Sihamedy (Barakacity) citato con deplorazione da tale Sophie de Peyret (“Il paragone tra la mascherina e il velo fa il gioco del salafismo”, Il Foglio, 25-5-2020, pag. III).

Coprirsi interamente il volto – per le donne che finora indossavano il hijab. Niente baci, abbracci, strette di mano – che sollievo! Soprattutto per le donne della mia generazione, cresciute in tempi in cui l’onnipresente bise non esisteva proprio: le bambine facevano l’inchino o la più elaborata riverenza agli adulti e ogni manuale di galateo accreditato spiegava che il baciamano ancora in uso doveva essere fatto dall’uomo sostenendo appena la mano della donna, inchinandosi su di essa e senza che le labbra neppure la sfiorassero. 

Niente più tavolini e sgabelloni a trespolo, nei bar, fatti apposta per tenere a distanza un pubblico più anziano e attirare solo giovani per l’apericena: sobri tavolini debitamente distanziati, invece, una benedizione per gli anziani pensionati o le donne sole che desiderano ogni tanto mangiare fuori casa, sentire intorno a sé la compagnia dei propri simili ma con le debite distanze e una protezione del grado di riservatezza da ciascuno e ciascuna desiderato. Del resto saper mantenere “la giusta distanza” era la quintessenza della civiltà urbana, secondo la grande urbanista Jane Jacobs e chissà che non si riscopra quest’arte.

Sarà una mia impressione ma nel bar dei cinesi di fronte alla mia edicola di quartiere, che ha riaperto da poco, vedo molte più donne e ragazze sole di quanto non ne vedessi prima e nella pizzeria di fronte alla parrocchia del quartiere molti più anziani uomini soli pranzano a mezzogiorno.  

Il halal laico, peraltro, come tutte le norme sociali imposte dalle autorità sulla base di motivazioni che si vogliono esclusivamente razionali e scientifiche rischia facilmente di scivolare in un autoritarismo tra il faceto e il vessatorio, soprattutto in contesti dove fino adesso l’individualismo era dogma e il libertarismo confuso con il libertinaggio.

L’opinione pubblica avvertita, quella di una sinistra ragionevolmente non credente, si era certo accorta subito del terreno scivoloso sul quale si inoltravano decreti che assumevano i vincoli parentali come condizione permissiva di certi comportamenti nello spazio sia pubblico sia privato ma ciò non ha impedito di multare l’abbraccio di una coppia di fidanzati regolarmente muniti di mascherina.

Né ha impedito al ministro degli Affari Regionali Boccia di suggerire l’istituzione di un corpo di assistenti civici incaricati di far rispettare le norme di distanziamento sociale nello spazio pubblico – proposta che ha immediatamente fatto tornare alla mente, alle generazioni post-fasciste, milizie e capicaseggiato del regime. A me invece – e probabilmente ad altri fratelli e sorelle – ha invece ricordato quei corpi speciali di polizia (muttawa) che in Arabia Saudita sono incaricati di andare in giro per caffè e ristoranti alla ricerca di “coppie che hanno l’aria troppo felici per essere parenti” come raccontava anni fa una saudita nel suo ironico blog Saudiwoman

Accenni all’ineludibilità di un nuovo ordine – o patto – sociale si colgono insistentemente in media non particolarmente rivoluzionari – il Financial Times  che parla di “frizioni di classe”  (stupendo eufemismo), “diseguaglianze sociali”  e di “come l’economia reale si basi su lavoratori mal pagati”, il Giorno che si chiede perché i lavori più utili, quelli che non si sono mai fermati – infermieri, tranvieri, operai e netturbini, poliziotti e rider, per dirne solo alcuni – sono anche quelli peggio pagati (un po’ quello che diceva Marx con un linguaggio più complicato da professore tedesco), l’Avvenire che reclama “l’ecologia integrale” e “una nuova visione di economia e sviluppo” allorché da decenni ormai l’espressione “nuovo modello di sviluppo” era diventata tabù tanto nei media quanto nelle aule universitarie quale residuo di utopismo luddista o oscurantismo autoritario.

In questo nuovo ordine il rapporto tra l’uomo e la natura verrà necessariamente rimesso in questione e non sarà cosa semplice districarsi tra i fautori del “tutto ciò che corrisponde all’ordine naturale è lecito all’uomo” e quelli del  “ogni superamento dell’ordine naturale è una vittoria dell’uomo”.

Ancora meno tenendo conto del fatto che spesso la prima tesi e la seconda sono sostenute dai medesimi soggetti. Un bel compitino post-ramadan anche per i musulmani. 

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