Sul fine vita la scienza latita ancor più della politica, serve un cambio di paradigma

Se chiedi ad un esperto nel trattamento del trauma cranico cosa sia cambiato negli ultimi 20 anni, ti sentirai rispondere sconsolatamente: “nulla”. La tecnica permette di ricavare sempre più informazioni la cui quantità assume sempre più le sembianze di un fardello ma che comportano nessun avanzamento utile nella comprensione delle malattie e della loro possibile cura. Siamo sempre ad un passo, ci siamo sempre vicini, ma si ha la sensazione di aspettare la cura definitiva come si aspetta un Godot che non arriva mai. 
Enormi risorse umane ed economiche continuano ad essere spese inutilmente, tanto più visto che sembra che la scienza non riesca ad imparare dai propri errori. Si fanno ancora esperimenti iniettando  le sostanze più disparate sui topi da laboratorio nonostante l’inutilità pratica oramai manifesta di questo tipo di prove. Per non parlare della cosiddetta “Medicina Basata sull’Evidenza”, idea tanto lontana dalla realtà da divenire più un problema da risolvere che punto di riferimento per le buone pratiche mediche.  Un ossimoro forse, ma la scienza brancola nel buio.
L’aumento delle cosi dette malattie croniche, come lo sono gli stati vegetativi o le disabilità permanenti, non sono altro che un effetto collaterale di questa tecnologia che dilaga negli ospedali e sempre più fuori da essi, riusciamo a vicariare le funzioni di sempre più organi ed apparati,  ma di cure vere non se ne parla o se ne parla sempre meno. Conosco troppi medici e scienziati onesti per pensare che tutto ciò sia dovuto solo alla spinta economica, che di certo c’è, e non ad una scienza che non riesce ad avanzare nella propria comprensione delle cose.
Abbiamo bisogno di un cambio di paradigma che però l’umanità in generale e la scienza in particolare non sono pronti a fare: si continua a cercare le cause delle cose ma non il loro senso. Il materialismo imperante ci rende ciechi, non si può vedere ciò che non si può concepire, eppure quantomeno che la natura abbia una sua saggezza maggiore della nostra e che l’imitazione delle soluzioni che troviamo ogni giorno nel mondo naturale sia la migliore delle ispirazioni per tutti gli scienziati è difficilmente contestabile.
Per capire cosa intendo invito a leggere qualche commento della partita a scacchi giocata da Alpha Zero, l’algoritmo ideato da Google contro Stockfish, il programma campione del mondo di scacchi. Tra le molte considerazioni possibili c’è anche quella che una volta esaurite tutte le possibilità tattiche quella da cambiare è la strategia se si vogliono risolvere problemi che sembrano impossibili.
Scienziati come questuanti davanti al “big data” sperano che l’intelligenza artificiale risolva l’equazione che a noi sembra impossibile. Ma se la domanda è sbagliata la risposta è impossibile e soprattutto la scienza sarà destinata all’ennesimo fallimento finché non saprà accettare e quindi comprendere le risposte che un verosimile prossimo “AlphaZero” della medicina sfornerà.
Insomma, la Consulta ha fatto quello che ha potuto, la politica, per il momento, no e la scienza medica che sola, a mio avviso, potrebbe e dovrebbe risolvere il problema sembra in un vicolo cieco. Continuiamo a riporre tutte le nostre migliori speranze in questa scienza nonostante sforni spesso una medicina poco sensata, incapace di percepirne l’avaria in cui stagna da tempo. Siamo impressionati e illusi come allocchi dalle luci luminose della tecnologia.

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