No, la guerra non inizia oggi, il ricordo di mio figlio Giuliano caduto in Siria sei anni fa.

La notizia che sta monopolizzando i titoli principali dei telegiornali e degli organi di stampa e di tutti i media in questi giorni è l’attacco turco nel nord della Siria. Come ha giustamente scritto Davide Piccardo su questo giornale, ad ascoltare i media italiani, sembra che gli otto anni della guerra siriana siano passati senza che qualcuno se ne sia accorto. Come marziani che piombano improvvisamente sulla terra, i nostri media si accorgono che esiste la Siria e la sua tragica guerra, solo adesso che i tank di Ankara hanno varcato la frontiera al nord del paese.

Passato il grande interesse iniziale, quando apparve evidente che la favola bella della primavera siriana che avrebbe dovuto sfociare in una Siria avviata a divenire un paese democratico con magnifiche sorti e progressive incluse, era appunto solo una favola che la realtà si sarebbe incaricata di demolire, i fatti siriani sono comparsi sporadicamente nei principali titoli delle testate giornalistiche televisive e della carta stampata. Anni e anni combattimenti, di bombardamenti devastanti, di stragi di civili, di crudeltà inenarrabili hanno trovato spesso solo una sporadica e distratta eco sui nostri media.

I giornali e i telegiornali se ne occupavano specialmente in occasione di fatti che era davvero impossibile ignorare, come ad esempio la lunga e sanguinosa battaglia per Aleppo.

Invece la Siria per me, anche se vi sono stato per una missione lavorativa solo qualche giorno una ventina d’anni fa, in questi anni è diventata una patria adottiva dolorosa e crudele, dove Giuliano, mio figlio, è andato a morire.

Alla Siria ho pensato in questi anni ogni giorno. Penso ovviamente alla Siria perché legata a lui, a questo mio figlio che nel novembre del 2012 mi disse un giorno che sarebbe partito per la Turchia. “Come in Turchia, Giuliano, che vai a fare in Turchia?”, “ma niente papà, non ti preoccupare, sai sono cose legate alla mia religione, poi ti spiegherò”, “e allora non ci vediamo mercoledì per pranzare insieme?” “No, te l’ho detto, non posso.” “Va beh, però torna presto, e non farmi mancare tue notizie, mi raccomando.”

Giuliano andò in Turchia, e questo me l’aveva detto, quello che però aveva tenuto per sé, era il fatto che dalla Turchia aveva intenzione di passare il confine e di andare ad arruolarsi nelle file dei ribelli al regime di Assad.

Giuliano si era fatto musulmano qualche anno prima assumendo il nome islamico di Ibrahim. Avevo accolto questa sua conversione come una follia giovanile, una cosa che, grazie a Dio, sarebbe passata prima o poi. Pensavo che questo ragazzo sarebbe maturato, avrebbe trovato una sua strada, si sarebbe magari sposato e perché no, mi avrebbe dato dei nipotini.

Penso a un versetto della Bibbia, di Isaia 55, 8…perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie …

Quando il mio ragazzo varcò la frontiera, l’Isis non esisteva. Giuliano sopravvisse alla nascita di questo raggruppamento, che allora era ancora lontano dal farsi conoscere dal mondo intero per quella sua ferocia e per quel suo insensato fanatismo, neppure un paio di mesi. Cadde infatti in uno scontro con le milizie sciite libanesi di Hezbollah; milizie sciite che erano massicciamente intervenute in Siria e che avrebbero salvato Assad dal disastro finale. L’opera di salvataggio di Assad sarebbe stata poi completata, come ben sappiamo, in maniera definitiva dall’intervento di Russia e Iran; interventi che hanno comportato feroci bombardamenti e sofferenze inaudite per il popolo siriano ma che qui in Italia, a differenza di quanto sta avvenendo in questi giorni per l’intervento turco, non hanno provocato grandi turbamenti.

I mesi che Giuliano, divenuto Ibrahim trascorse in Siria, furono, inutile dirlo, un periodo tremendo per me. Grazie a Skype riuscivo spesso a parlare con lui, e in quei colloqui cercavo di non fargli pesare la terribile preoccupazione che inevitabilmente causava a me e a tutti i suoi cari. A volte riuscivamo a tenere la linea a lungo; parlavamo di tutto un po’, di quello che succedeva e che faceva in Siria ovviamente, ma anche dei fatti italiani e della nostra vita. C’erano giorni in cui la sua voce mi arrivava forte e chiara, come se mi stesse chiamando da poco lontano con una chiamata urbana.

All’alba del 12 giugno di quel 2013 per me tremendo, nel tentativo di portare in salvo un compagno ferito dal fuoco dei miliziani di Hezbollah, Giuliano cadde ed in seguito, per l’avanzata dei nemici, non fu neppure possibile recuperarne il corpo. Un paio di giorni dopo, la notizia della sua morte mi fu comunicata da Zamza, un suo compagno. Zamza parlava un inglese non perfetto, certo, ma comprensibilissimo. “Tuo figlio, prima di andare ad affrontare il nemico, mi ha chiesto di dirti che se entrerai nell’Islam, sarete sempre insieme.”

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