Halloween, la festa di una cultura morta

Gruppi di bambini corrono lungo corridoi e scale dei palazzi con la mano tesa a chiedere dolci. File di anziani camminano lente nei viali dei cimiteri con le mani tese a porgere fiori o accendere un lumino. Sotto un cielo d’autunno poco incline alla vita, da secoli si è scelto di santificare la morte.

Nella liturgia cristiana il primo novembre è la festa di Ognissanti, nella prassi della società contemporanea però sta diventando il giorno di Halloween

Un vociare di bambini impastato alle note di musica da discoteca mi spinge ad affacciarmi dal balcone. Una gabbia gonfiabile è presa d’assalto da bambini con la faccia dipinta, giocano e urlano intorno al proprietario di una pasticceria, che frigge dolci e li distribuisce a genitori ridenti, felici di lasciare l’intrattenimento ad alcuni ragazzi vestiti da animatori. Rianimano i vivi con divertimenti artificiali mentre l’anima dei morti cade nell’oblio. Ecco la festa di Halloween trapiantata in una città italiana, dove divertimento e consumismo brindano al surrogato di un carnevale, alimentato da sfumature che ricordano il capodanno.

I genitori spesso ignari dell’origine e del significato di tale festa, assecondano svogliati i desideri dei figli, che a loro volta rispondono inconsapevoli ai bisogni inculcati dalla società consumistica.

I bambini allora si travestono, indossano maschere e reclamano dolci, divertendosi mentre adulti annoiati assistono a questa caricatura del carnevale. Nel frattempo i cimiteri si svuotano della presenza dei vivi. Solo chi è prossimo alla morte continua a percorrerne i viali silenziosi.

È quel che sta accadendo da qualche anno nella nostra società e forse non è un caso che una festività religiosa venga gradualmente sostituita da una festa pagana.

Ma da dove deriva la festa di Halloween? L’origine risale alle antiche civiltà celtiche, che celebravano il culto del Samhain, un rito di passaggio tra l’estate e l’inverno. Tale culto consisteva nella credenza che in quel giorno tutti gli spiriti dei morti potessero unirsi al mondo dei viventi. Era quindi un modo per esorcizzare la paura della morte e anche la paura dell’inverno, che in una società basata sulla pastorizia, era percepita come una stagione d’attesa e di privazione. Quel giorno stabiliva quindi il punto di contatto tra la vita, rappresentata dall’estate, e la morte, raffigurata dall’inverno.

Col tempo si è perduto il significato cosmologico e antropologico per arrivare poi con graduali trasformazioni all’attuale festa di Halloween, che negli Stati Uniti ha finito con l’assumere una valenza sempre più edonistica e commerciale.

La parabola compiuta nel corso della storia dal giorno di Ognissanti è un’ulteriore testimonianza di come il sacro stia scomparendo dalla nostra vita quotidiana per esser sostituito da semplici simboli di consumo. Così come i diversi riti che fondano l’identità di qualunque gruppo culturale, stanno prendendo la forma di semplici abitudini che non hanno alcuna radice e pertanto alcun significato a cui rinviare.

La festa di Ognissanti è da tempo un modo per ricordare i defunti e allo stesso tempo celebrare le proprie radici e la continuità generazionale. La festa di Halloween non è altro che un’ulteriore occasione edonistica, di divertimento fine a sé stesso, che consente di spettacolarizzare la morte, prendendo in prestito maschere e simboli propri dell’immaginario horror. Lo stesso immaginario da decenni costruito, coltivato ed esportato dal cinema americano secondo la logica di una globalizzazione culturale, che è sotto gli occhi di tutti.

È normale allora che i bambini cresciuti con film, cartoni animati e serie televisive provenienti dagli Stati Uniti, desiderino trasporre nella loro realtà immagini, personaggi e comportamenti visti e mitizzati. I genitori li assecondano e gli anziani, di ritorno dal cimitero, vanno al supermercato ad acquistare caramelle e cioccolatini per comprarsi un sorriso infantile.

Intanto l’esperienza della morte è sempre di più un’assenza, un tabù in una società che prova a fare igiene di qualsiasi aspetto contrario all’utilità e alla funzionalità. Dapprima relegata negli ospedali, negli ospizi, affidata a badanti o ad altre figure specializzate, ora anche espulsa dal ricordo e dalla celebrazione.

Ogni cosa deve esser immanente nel tempo del consumo e del digitale, perché la vita deve fuggire qualsiasi forma di intralcio e qualunque aspetto in grado a rinviare ad altro da sé stessa. Nulla di più immanente del cibo, unico elemento che accomuna Halloween con le altre festività tradizionali, d’origine religiosa come il Natale o la Pasqua. Il cibo infatti è divenuta oggi l’unica concreta forma di comunicazione.

Itanto stasera il campanello suonerà e dietro una maschera si sentirà una voce dire: dolcetto o scherzetto? Mentre lontano il suono di una campana scandisce il tempo di una cultura morta.

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