Il silenzio e le complicità dei paesi del Golfo sulla persecuzione degli uiguri. Un milione nei campi di concentramento ma gli affari valgono di più

Anche se non è una vicenda che inizia oggi, solo recentemente la difficile situazione dei musulmani uiguri in Cina è stata svelata al mondo.

Come minoranza, gli uiguri sono stati a lungo perseguitati nel paese, rinchiusi in campi di concentramento, uccisi e sottoposti alle peggiori violazioni dei diritti umani, ma solo ora tutto questo viene alla luce.

La risposta del mondo è consistita sostanzialmente in una pronta condanna, con numerose nazioni che hanno unanimemente biasimato il trattamento della popolazione uigura e turbato la rete di influenze che la Cina aveva pazientemente creato.

Non è stato però così per gli alleati, almeno in apparenza naturali, dei perseguitati. Nonostante i legami religiosi tra Uiguri e le popolazioni musulmane del Golfo, paesi come il Qatar, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti sono rimasti in silenzio.

Sono persino arrivati ​​al punto di appoggiare le politiche cinesi. Questa risposta paradossale fa capire quanto sia reale e spaventoso il potere e l’influenza economica che la Cina ha a lungo esercitato. Mentre gli Uiguri continuano a soffrire, il silenzio del Golfo sconcerta.

D’altra parte, ci sono profonde divisioni nelle relazioni tra gli stati del Golfo, divisioni che tendono ad amplificarsi quando si tratta di politica internazionale, come testimonia l’embargo al Qatar guidato dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Ma la recente protesta per il trattamento da parte della Cina degli uiguri turchi ha almeno in apparenza trovato gli stati del Golfo uniti sotto un unico stendardo: quello cinese.

A luglio, in seguito a una lettera di un gruppo di nazioni prevalentemente europee che condannava i campi di “rieducazione” in cui gli uiguri sono costretti, è stata redatta una lettera di sostegno alla Cina. Comprendeva firme di 37 nazioni, tra cui Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Qatar, Oman e Kuwait.

La Cina rimane uno dei mercati più importanti per il petrolio e il gas naturale nel mondo, e la superpotenza asiatica ha molto investito nelle sue relazioni con gli stati del Golfo. Ma non si tratta solo di un commercio energetico, la Cina fa anche affidamento sui paesi del Golfo per trovare uno sbocco alle sue eccedenze di acciaio e di cemento.

La Cina ha a lungo basato la sua politica sulla creazione di un potere “morbido” per raggiungere i suoi obiettivi, preferendo, quando tratta sul piano economico con altri paesi, la politica della carota a quella del bastone.

Tuttavia, la sempre maggiore evidenza delle carenze di questo paese in materia di diritti umani ha costretto numerose nazioni ad assumere una posizione meno accondiscendente nei suoi confronti. Il governo cinese ha reagito adottando un approccio del tipo “o con noi o contro di noi” e ha fatto, ove possibile, forza sulla leva economica per tenere a bada l’opposizione sulla scena mondiale.

Da questo punto di vista, il silenzio dei paesi del Golfo sulla condizione degli Uiguri è facile da comprendere, ma non è facile da accettare, è probabile che queste nazioni vogliano evitare di portare l’attenzione sulle loro politiche relative ai diritti umani.

Alcuni paesi sono andati oltre alla semplice tacita approvazione delle azioni della Cina. La lettera inviata alle Nazioni Unite in realtà includeva elogi alla Cina per la sua “assistenza ai suoi cittadini musulmani”. In risposta alle domande sui campi di rieducazione degli Uiguri, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman è arrivato al punto di difendere il diritto della Cina a ” adottare misure antiterrorismo e a difendersi dall’estremismo per salvaguardare la sicurezza nazionale “.

Solo il Qatar ha rotto con i suoi vicini regionali, ma con grande difficoltà; e infine ha annullato il suo sostegno alla lettera alle Nazioni Unite dopo che era stata resa pubblica, esprimendo il desiderio di “mantenere una posizione neutrale”.

Sebbene il paese non abbia specificato la vera ragione del suo ritiro, lo ha fatto nello stesso periodo in cui alcuni dei suoi cittadini stavano combattendo per impedire l’estradizione di un attivista uiguro in Cina. Questo improvviso, seppur lieve, cambiamento di atteggiamento potrebbe anche essere stato ispirato dal forte disappunto per una precedente pubblica dichiarazione cinese in cui si esprimeva preoccupazione per i legami del Qatar con noti gruppi islamisti ed estremisti, dichiarazione che ha inasprito la relazione tra le due parti. La mancata approvazione da parte del Qatar della lettera ottiene ben pochi risultati, ma almeno può costituire un esempio per altri paesi nel far separare discretamente la loro politica da quella cinese.

Il silenzio sulla difficile situazione degli Uiguri mette in evidenza una politica scandalosa da parte dei paesi del Golfo per quanto riguarda la difesa dei loro fratelli musulmani nel mondo.

All’inizio del 2019, l’insieme di questi paesi ha reagito sostanzialmente con apatia dopo che l’India si è mossa per annullare lo statuto speciale del Kashmir, mettendo potenzialmente in pericolo la vita di migliaia di musulmani. Nonostante le richieste del Pakistan per ricevere sostegno politico, i paesi del Golfo si sono schierati dalla parte dell’India, uno dei principali partner commerciali della regione, preferendola al loro omologo religioso, in una evidente affermazione di priorità.

La triste conclusione è che, quando si tratta di difendere i musulmani di tutto il mondo, anche le parole dei paesi del Golfo, più generose delle loro azioni, scarseggiano.

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