La teoria omeopatica dei miasmi spiegava secoli fa ciò che l’epigenetica ci dice oggi

Secondo la teoria dei miasmi esiste una forza dinamica con caratteristiche non solo quantitative ma anche qualitative, che caratterizza la tendenza di ciascuno ad ammalarsi. Questa forza “miasmatica” quindi, avrebbe la caratteristica di declinarsi in ciascun uomo secondo specifici vettori.

La medicina omeopatica è una medicina pratica, nata da osservazioni empiriche, il cui corpus teorico è stato il frutto del contributo di moltissimi medici le cui intuizioni, susseguitesi nel corso dei secoli, si sono stratificate a partire dalla medicina ippocratica ad oggi.

La teoria dei miasmi è stata una di queste intuizioni, nata dall’osservazione della natura, cioè della clinica. Secondo questa teoria, esiste in ciascun uomo una spinta verso il disequilibrio, in altre parole una forza dinamica con caratteristiche non solo quantitative ma anche qualitative, che caratterizza la tendenza di ciascuno ad ammalarsi. Questa forza “miasmatica” quindi, avrebbe la caratteristica di declinarsi in ciascun uomo secondo specifici vettori.

Di conseguenza i sintomi delle malattie che noi vediamo, sarebbero l’espressione di questa spinta individuale al disequilibrio, come il fumo sarebbe il sintomo dell’acqua che bolle nella pentola, mentre la spinta miasmatica sarebbe il fuoco sotto la pentola stessa.

Sempre secondo questa teoria, che come tale quindi rimane solamente un modello che i nostri antenati si sono dati per spiegare determinate osservazione cliniche, questa forza dinamica avrebbe determinate caratteristiche generali: in primis sarebbe calmierabile tramite delle cure che sappiano “abbassare il fuoco sotto la pentola” di cui sopra.

Una soppressione dei sintomi invece, sarebbe di contro, come mettere il coperchio sulla pentola fumante senza abbassare il fuoco, questo porterebbe a mettere sotto pressione il sistema/organismo che dovrebbe, come è logico, in qualche modo sfogare in altro modo la propria energia soppressa.

Ma questa teoria ha anche un’altro aspetto peculiare: la carica miasmatica dei genitori verrebbe trasferita alla prole. Tanto che curare i genitori significherebbe curare le generazioni successive, viceversa, una carica miasmatica aggravata da condizioni di vita poco igieniche, ma soprattutto secondaria alla soppressione dei sintomi tramite cure allopatiche, aumenterebbe il fardello miasmatico delle generazioni successive.

La Teoria dei miasmi è oggi qualcosa di difficilmente digeribile per una mente moderna. Per le generazioni cresciute all’epoca del DNA, tutto ciò è pura stregoneria, gettando cosi un colpo di spugna sul lavoro di menti profonde ed eccelse del passato, le quali sono a ben pensarci, i nostri padri nel percorso che ci ha portato fin qua.

In tal maniera stiamo screditando uomini che hanno dato contribuiti importantissimi al nostro patrimonio culturale. Cosi quando proprio non se ne può fare a meno, prendiamo quello che possiamo accettare e condanniamo come bizzarria le idee che non riusciamo a fare nostre. Addirittura all’interno della medicina omeopatica ci sono correnti in preda ad una sorta di revisionismo, che cercano di scotomizzare le parti di quel pensiero che non riescono a fare proprio, invece di cercare di penetrarne il senso.

Oggi parlare della teoria dei miasmi non è accettabile, se non forse all’interno di qualche circolo di neoplatonici alchemici o tra gli esoterici di turno.

E se io vi dicessi che il concetto di miasma è del tutto assimilabile e comprensibile tramite quella fantastica branca della biochimica, che ha e avrà un peso sempre più grande nella nostra comprensione del mondo e della malattia, che si chiama epigenetica?

L’epigenetica ci sta facendo capire che il DNA è una sorta di banca dati la cui espressione mutabilissima è frutto del suo interagire con il mondo. Il DNA quindi, non è il programma statico che tutto dirige, e in cui l’immaginario collettivo crede risieda il destino di ciascuno, bensì esso è un sistema che interagisce dinamicamente con il mondo esterno. Con buona pace dei fautori delle famose analisi genetiche o delle famigerate e costosissime terapie geniche, i quali dovranno accettare che il loro fallimento non è la fase preliminare di un successo imminente, ma il capolinea di un male intendimento di cosa sia il DNA e di come funzioni.

Abbiamo capito che ciascuna malattia non è il frutto dell’attivazione di un singolo gene, ma è invece associata ad un determinato pattern di attivazione genica specifico per quella determinata condizione, in quel determinato individuo, e per di più differente per ciascuna popolazione cellulare del medesimo individuo.

Una realtà complessissima che però non potrà che rispondere a qualsiasi tipo di trattamento allopatico, cioè soppressivo, che con un ulteriore cambiamento di pattern, ovvero verosimilmente con un peggioramento in termini patologici dello stato di malattia: come dire con un aumento della pressione miasmatica!

Figuratamente, è come se gli adattamenti dell’espressione genica agli input ambientali, i quali sono alla radice delle malattie o meglio dei sintomi, ad ogni soppressione allopatica del sintomo, si trovassero a dover rispondere al rimbalzo all’indietro del loro output con un ulteriore adattamento.

L’epigenetica inoltre ci ha oramai spiegato come i caratteri acquisiti durante la vita di un individuo si trasmettano alla generazione successiva, facendo piazza pulita dei vecchi postulati secondo cui l’informazione gametica sarebbe un patrimonio immutato dell’individuo che viene trasmesso immutato alla generazione successiva.

Tale osservazione va a spiegare numerose osservazioni epidemiologiche, come quella secondo cui i figli di genitori che abbiano tenuto abitudini igienicamente scadenti come fumo, utilizzo di droghe d’abuso e alcool durante la gioventù, siano tendenzialmente meno sani e più soggetti ad ammalarsi.

Insomma sembra proprio che la vecchia teoria dei miasmi, nata da osservazioni cliniche, trovi riscontro e un substrato teorico nelle recenti acquisizioni dell’epigenetica moderna.

E cosi pure, la concezione della molecola del DNA, non più vista come una struttura bidimensionale lineare ma tridimensionale e con un proprio stato vibrazionale, capace di risponde più a stimoli elettromagnetici che chimici. Tutto ciò apre la strada ad una biologia capace finalmente di fare propri gli assunti della fisica moderna, invece di rimanere legata ad una visione esclusivamente chimica, il cui modello di riferimento teorico risulta sempre più insufficiente.

L’ampiezza del discorso con i suoi possibili sviluppi è enorme, da una parte inaspettati filoni di ricerca si profilano all’orizzonte, dall’altra siamo venuti in possesso della chiave di comprensione di una mole di informazioni pratiche, cliniche, di cui l’omeopatia si è fatta custode, e che altrimenti avrebbero rischiato di andare perdute a causa della incapacità moderna di apprezzarne il valore. L’epigenetica ci sta aprendo la porta per accedere alla sapienza del passato.

Chiaramente la transizione non sarà facile, le acquisizioni dell’epigenetica, nonostante la loro forza, stentano a trovare spazio nella mente e nella pratica medica. A questo proposito le parole di M. Planck, uno dei fondatori della fisica quantistica, risultano quanto mai attuali: “Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono e vedono la luce, quanto piuttosto perché alla fine muoiono, e nasce una nuova generazione a cui i nuovi concetti diventano familiari !”

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