Nelle foto: come il Senegal ha mantenuto le distanze durante la preghiera dell’Eid

Le moschee di tutto il mondo sono rimaste chiuse agli musulmani che desideravano festeggiare la fine del Ramadan. Il Senegal è stato uno dei pochi paesi a riaprirle.

Dakar, Senegal – A otto mesi dall’inaugurazione ufficiale, l’iconica Moschea Massalikul Jinan a Dakar, in Senegal, ha celebrato la sua prima grande festa islamica – Eid al Fitr, la festa della fine del Ramadan 2020

Mentre in tutto il mondo, a causa del lockdown, la festa dell’Eid di quest’anno in moschea non ha potuto svolgersi, la più grande moschea dell’Africa occidentale ha deciso di ritrovarsi per le preghiere congregazionali dell’Eid nonostante i festeggiamenti sono stati diversi dai tradizionali raduni religiosi in Senegal, paese a maggioranza musulmana.

Flussi di fedeli si sono allineati alle porte multiple della moschea nelle prime ore del mattino e hanno riempito 6 ettari di cortile con un mare di boubous colorati. Uomini e donne recitavano con il Tasbih in mano la preghiera.

I venditori ambulanti vendevano poster incorniciati dei venerati marabout del paese (maestri religiosi) del paese e la voce dell’Imam, un diretto discendente del fondatore del movimento spirituale Mouride (Cheikh Ahmadou Bamba), si propagava per le strade di Dakar.

Nonostante le tante persone, è stato diverso rispetto gli anni scorsi. Sotto le pressioni per allentare le restrizioni del lockdown, le moschee nell’Africa occidentale avevano iniziato a riaprire solo una settimana prima, ma a condizione di attuare rigorose misure di distanziamento sociale.

Pertanto, le mascherine dovevano essere indossate obbligatoriamente, non si poteva pregare stando troppo ravvicinati e le mani dovevano essere disinfettate all’ingresso.

Sulla spianata della moschea Massalikul Jinan, i segni per terra indicavano ai musulmani le distanze da mantenere per pregare, si evitava il classico saluto della fratellanza Mouride e si potevano ammirare i veli delle donne dai colori vivaci.

Mentre nei paesi africani il virus è apparso in forma lieve rispetto al resto del mondo, doverlo affrontare è stata un’enorme preoccupazione sia per le autorità locali sia per gli esperti internazionali che temevano per le precarie condizioni dei sistemi sanitari del continente, l’insicurezza alimentare e  l’insostenibilità di un prolungato stop della forza lavoro.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha avvertito che a causa del Coronavirus potrebbero morire fino a 190.000 africani durante il primo anno di pandemia e innumerevoli altri per ulteriori malattie.

Il divieto del Senegal di raduni pubblici attuato chiudendo spiagge, scuole, ristoranti e luoghi di culto ha favorito di contenere il virus con successo e la decisione del governo dell’11 maggio di allentare il lockdown è stata accolta con polemiche.

In particolare, il ritorno alla preghiera è considerato da molti uno dei rischi maggiori che potrebbe portare ad un aumento di contagi e alcuni leader della moschea hanno preso posizione  contro la riapertura e continuano ad insistere sul far restare i musulmani a casa.

Lo stesso giorno di Eid al Fitr , il Senegal ha superato 3.000 contagi COVID-19 (con un totale di 35 decessi) registrati nel paese.

Durante un recente discorso alla nazione, il presidente del Senegal Macky Sall ha sottolineato che “ora si deve imparare a vivere in presenza del virus, adattando il nostro comportamento individuale e collettivo secondo l’evoluzione della pandemia”.

Quando fu costruita, la moschea che batté il record come la più grande dell’Africa occidentale avrebbe dovuto ospitare ben 30.000 persone.

Ma per il momento, Massalikul Jinan si sta proiettando su una nuova realtà – accettando che quel momento è lontano al fine di mantenere le misure precauzionali finchè il pericolo del coronavirus persiste.

Le foto all’interno dell’articolo sono dell’autrice fotografa documentarista Maya Hautefeuille.

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