Perchè anche il Black Lives Matter va fuori bersaglio

In cinque anni di vita il movimento Black Lives Matter è riuscito a fare solo qualche piccolo passo avanti per il miglioramento delle condizioni degli afroamericani, da una parte a causa della versione USA dei black block, dall’altra da chi lo voleva per forza trasformare in partito politico.

Come ha affermato lo storico Alessandro Barbero in un’intervista apparsa rilasciata al Fatto Quotidiano, distruggere statue può essere controproducente, ma può anche essere una strategia di distrazione di massa che devia il movimento dai suoi legittimi obbiettivi.

Il movimento Black Lives Matter è inoltre diventato la bestia nera dell’amministrazione Trump.

Sempre più movimenti che si scatenano a partire dalle campagne sui social, si focalizzano su obbiettivi secondari: ieri Me Too, oggi Black Lives Matter: veri sfogatoi di massa che non vanno mai a colpire i responsabili dei problemi.

Con Me Too tutto si è risolto in una enorme campagna di gossip contro i VIP, ampiamente sfruttata dai media per solleticare il lato guardone e sadico dell’opinione pubblica, senza scalfire in alcun modo il fenomeno trasversale della violenza in famiglia.

Nessuna lotta efficace è stata portata avanti contro le mafie dello sfruttamento sessuale, ma si è arrivati a chiedere addirittura la legalizzazione della prostituzione e dell’utero in affitto trasformando l’essere umano in merce nella più bieca logica neoliberista.

Oggi invece BLM sfoga tutto il suo livore sulle statue dei grandi, o presunti tali del passato, in un tentativo abbastanza totalitario di riscrivere la Storia umana a partire dalla nuova religione di immaginati diritti umani universali, teorizzando riforme normative o addirittura una società senza Stato e senza polizia.

Non è possibile giudicare la Storia degli uomini di ieri con gli occhiali di oggi, a meno che non si voglia costruire “l’uomo nuovo” come tentò il dittatore cambogiano Pol Pot, sradicando una civiltà millenaria su cumuli di scheletri.

La lotta antifascista

La battuta di Ennio Flaiano secondo cui i fascisti si dividono in due categorie: fascisti ed antifascisti, si applica bene anche all’antirazzismo fighetto da salotto letterario, che viviamo come pseudo rivoluzione del XXI secolo, ma che è  comunque ottone fatto passare per oro a 24 carati.

La lotta antifascista vive in uno spazio temporale preciso più o meno fino agli anni ‘80, dopo diventa un fenomeno d’antiquariato.

Oggi il fascismo delle camicie nere e dell’olio di ricino non esiste più, a meno che non si chiami fascisti tutti coloro che non sono comunisti, socialisti o anarchici.

Viene etichettato come fascista chiunque difenda la propria tradizione, anche in modo pacifico (persino il Mahatma Gandhi è stato dichiarato tale perché secondo alcuni non avrebbe difeso i neri), o chiunque difenda l’istituzione familiare, o la bigenitorialità, opponendosi al concetto di gender e all’ideologia omosessualista o ancora all’aborto, o semplicemente affermi che qualcuno deve difendere i cittadini contro la microcriminalità dilagante, bianca o nera che sia.

La ricostruzione della Storia secondo i dogmi del politicamente corretto continua fino al limite del ridicolo.

Anche Socrate possedette schiavi, vogliamo crocifiggerlo? Thomas Jefferson ebbe diversi figli neri da una schiava, dopo la morte di sua moglie: era uno stupratore? E che dire di Caravaggio o di Pasolini?

L’equità sociale dell’etnie

Non che manchino le ragioni per ribellarsi, in un’inchiesta del 2016, citata da “Jacobin Italia”, la polizia locale concluse un’ispezione a Chicago confermando l’esistenza di un’enorme spaccatura tra bianchi da una parte e afroamericani e latinoamericani dall’altra, determinata da continui episodi di discriminazione, di razzismo e di violenza estrema della polizia, che ha colpito neri e latini uccidendo innocenti, comprese donne e bambini, anche per futili motivi. In una società dove tutti sono armati, la polizia è portata all’uso delle maniere forti, ma questo colpisce in particolare i non bianchi e/o i poveri.

Si pensa ancora che sia possibile l’equità sociale tra le etnie o tra i generi attraverso mezzi che sfruttano il desiderio di arricchirsi o di fare politica nel sistema?

Oppure si pensa che la riforma delle istituzioni preposte alla pubblica sicurezza risolva di per sé il problema della violenza? O ancora, che l’assenza di potere non favorisca l’ascesa di un nuovo potere peggiore di quello che ci lasciamo alle spalle perché composto da gente raccogliticcia e senza alcuna esperienza di gestione della cosa pubblica?

La leadership del movimento BLM è divisa tra un’ala istituzionale vicina ai progressisti, che potrà cambiare molto poco, ed un’ala radicale che ha mostrato i propri limiti a Seattle. Qui, gli anarchici hanno preso una piccola parte della città trasformandola in territorio libero dalla polizia dove ascoltare musica, fare teatro e mangiare gratis. Ma per garantire la sicurezza di questo piccolo territorio, assediato dai suprematisti bianchi, gli organizzatori hanno dovuto chiedere aiuto ad un rapper locale ed ai suoi uomini armati, che sono diventati di fatto la nuova polizia. Per non parlare delle infiltrazioni della mafia nera di vandali di periferia.

Anche non volendo credere alle accuse dei sostenitori di Trump, che ribadiscono che BLM ed Antifa sono stati finanziati da George Soros o addirittura di non sapere chi paga 200 dollari al giorno i disoccupati americani per far finta di essere anarchici, ogni volta che l’opinione pubblica inizia a simpatizzare con i rivoltosi, scoppiano violenze e saccheggi messi in atto da criminali diversamente colorati.

La false flag dei diritti umani di Obama

Gli americani hanno avuto un presidente metà africano e di discendenza musulmana, ma questo ha cambiato molto poco la situazione dei neri e dei musulmani in America ed altrove. Barack Obama è stato invece l’ennesimo campione della dottrina della superiorità yankee sul resto del mondo attraverso la “false flag” dei diritti umani. Una dottrina che noi musulmani abbiamo vissuto e viviamo tutti i giorni sulla nostra pelle, ogni qualvolta che qualche femminista ci vuole liberare dal nostro presunto oscurantismo religioso o un giornalista comincia a parlar male di un certo paese musulmano facendone il centro di ogni male nel mondo.

Come musulmani viviamo da decenni il totalitarismo dei diritti umani che non cambia di una virgola la situazione dei paesi poveri, ha condotto a due secoli di colonialismo, e in alcuni periodi ha portato la riduzione in schiavitù o le persecuzioni come quelle che subiscono oggi gli Uiguri.

Il caso dei francesi in Algeria

Ne abbiamo avuto un esempio in Algeria, come ricorda il grande psichiatra antillano Frantz Fanon: i francesi fecero di tutto per distruggere la personalità dei musulmani algerini entrando fin dentro le case dell’élite algerina francofona per togliere il velo a mogli e figlie. Sostenevano di farlo per il nostro bene e per portarci la civiltà, cosi dicevano; ma in realtà lo facevano per arricchirsi e dominare.

Peccato che i francesi hanno fatto di tutto nei secoli precedenti per dividere e distruggere i musulmani impegnati ad uccidersi tra turchi e persiani o tra sultani andalusi, anche se la prima colpa dell’inserimento del colonialismo nelle società islamiche in decadenza fu piuttosto delle nostre élites musulmane che si erano allontanate dal culto puro delle origini.

In tutto il mondo i popoli poveri soffrono la distruzione della loro storia ed identità, cancellata dagli oppressori, recuperata poi a prezzo di rivoluzioni e guerre civili.

Il razzismo è una cosa disgustosa, assolutamente aliena alla mentalità musulmana in cui, se esiste una gerarchia, è spirituale prescindendo da qualsiasi altra considerazione di censo o di etnia.

La società tradizionale è gerarchica e questa classificazione serve a mantenere la società unita e ad evitare la divisione e l’anarchia, ma la scala gerarchica non porta discriminazione o stigma verso chi sta in basso.

Noi viviamo invece in un contesto che prevede l’eguaglianza di possibilità per tutti e tutte, almeno sulla carta, ma poi nei fatti ci troviamo a vivere in una società di caste non normate, stabilite dal censo e dalla ricchezza.

Distruggere statue senza veramente combattere le mafie che stanno dietro alla tratta dei braccianti in agricoltura e non solo, e alla tratta della prostituzione che fattura trilioni in tutto il mondo, mi sembra veramente ipocrita.

 Il razzismo infatti non scende dal cielo, ma è strettamente legato alla struttura sociale che si vuole perpetuare: esiste e prolifera dove servono schiavi.

Oggi nel secolo del trionfo dell’intelligenza artificiale e della biopolitica, sotto l’ala del controllo sociale in stile orwelliano, ci sono molti più schiavi che in tutta la storia umana, e sono probabilmente anche quelli trattati peggio.

Questa caccia al fantasma del grande statista di due secoli fa mi sembra poi un altro aspetto di quell’analfabetismo funzionale che distingue oggi le società occidentali.

Giovani senza storia

I giovani che scendono in piazza sono senza storia perché è stata loro rubata dai governanti, ma non hanno nemmeno la cultura acquisita dalle classi dirigenti. Sono profondamente ignoranti e agiscono di pancia, condizionati dalle emozioni.

I giovani che distruggono ed imbrattano le statue non sono dei rivoluzionari, ma sono dei rivoltosi delusi da processi d’integrazione falliti, impoveriti dalla finanza usuraia, esclusi dal processo di arricchimento, e limitati ad una visione di scontro tra le masse e lo Stato, che difende le élites perché solo quest’ultime guadagneranno dal riflusso del movimento.

La mancanza di un progetto alternativo di società dei Black Lives Matter

Dietro Black Lives Matter c’è una certa capacità organizzativa, ma nessun progetto alternativo di società, poiché il capitalismo è oggi l’unico sistema economico possibile, piaccia o non piaccia. Infatti l’alternativa del neoliberismo/politiche keynesiane è tutta interna al progetto capitalista.

Le minoranze intellettuali del movimento che ancora credono nel socialismo, nel comunismo o in un’idea anarchica di società, non hanno nessuna concreta possibilità di costruire un sistema alternativo di società.

Nonostante ciò, le grandi incongruenze di censo, genere, etnia e nazionalità sono principalmente frutto dell’ingiustizia nella distribuzione dei beni materiali ed immateriali (compreso il sapere) ed alla fine è questa la contraddizione principale alla quale ci troviamo di fronte.