La dolce cura dell’Islam contro il razzismo: la mia esperienza di italiano convertito all’Islam

Il razzismo è, nella mia esperienza, la focalizzazione dell’attenzione su aspetti superficiali puramente accessori che rende incapaci di vedere l’essere umano nella sua essenza. Il razzismo è uno dei tanti frutti indigesti del materialismo, il razzista non riesce a vedere oltre il colore della pelle o la foggia dell’abito. Nell’islam non c’è posto per il razzismo tanto che esso viene considerato una malattia del cuore ovvero un difetto nella capacità di comprensione. Il razzismo viene assimilato alla superbia potendone essere causa e frutto, ma non c’è spazio per la superbia nel cuore del musulmano.

La prima lezione: l’umiltà

L’Islam libera il cuore dall’uomo dal razzismo, lo cura da questa malattia che lo opprime e ne  offusca la capacità di comprensione, ma lo fa in modo dolce, indolore, tramite un processo impercettibile ma costante. L’islam invita all’umiltà, esso è in effetti la religione delle persone umili. Chi frequenta le moschee, in qualunque parte del mondo, immediatamente si rende conto di come le persone umili sono coloro che più le popolano ed impara presto ad apprezzarne la  compagnia facile e risposante. Frequentando le moschee si imparano tante cose tra cui che l’umiltà è il terreno più adatto per la crescita delle migliori qualità come la gentilezza, la capacità d’ascolto oltre ad essere il crogiolo di una conoscenza delle scienze religiose che non ti aspetti, perché l’umile, per sua natura, non le sbandiera. Quante volte negli angoli più sperduti della terra, in un’ora poco frequentata, nella penombra di una moschea, capita di incappare in una meravigliosa e dotta recitazione del sacro Corano, o di trovare un gruppo di persone quasi magicamente intente nello studio delle scienze religiose! 

Il primo razzismo è quello contro i poveri

In moschea si impara a discernere le persone utilizzando una diversa scala di valori rispetto al mondo di tutti i giorni , l’ideale di uomo promosso dal Sacro Corano e dall’esempio profetico è un modello che insegna a valutare l’uomo non in base al suo status sociale o agli attributi materiali che vogliono confermarlo, ma in base al comportamento. Da qui ad apprezzare il carisma che emanano certe persone a prescindere dal loro posto nella società il passo è breve. La frequentazione delle mosche è una sorta di palestra che disintossica da una scala di valori materialista e puerile che è poi quella della ricchezza materiale. Il primo razzismo è quello contro i poveri.

Il razzismo dell’occidente

Il musulmano ha una differente geografia non più eurocentrica o “occidentocentrica”, perché l’occidente è la periferia dell’islam. Il razzismo infatti è spesso associato ad una preconcetta superiorità culturale dell’occidente che il musulmano ha difficoltà ad assecondare. Dalla mistica ai grandi autori e filosofi medievali, dall’esegesi coranica all’arte della recitazione del Sacro Corano, dall’arte della calligrafia alla storiografia, lo sguardo del musulmano si rivolge ad oriente o all’Africa non certo all’occidente.

Un’esperienza concreta: il pellegrinaggio

E poi c’è quella meravigliosa esperienza rappresentata dal ”hajj” ovvero dal pellegrinaggio obbligatorio – per chi può – alla Mecca, esperienza unica e non condivisibile a parole, ma dove di certo tutti gli uomini di qualsiasi provenienza, etnia, colore, lingua, a milioni si ritrovano vestiti senza attributo alcuno se non due pezzi di nessuno bianco senza cuciture uguali per tutti, e allora le uniche differenze possibili, quelle somatiche, divengono ricchezza e segno di fratellanza di tutti gli uomini e di tutti i popoli. Un esperienza concreta che abbatte il binomio differenza/diffidenza per lasciar posto alla fratellanza di tutta l’umanità tesa alla ricerca del principio primo da cui tutti proveniamo e a cui tutti torneremo, uomini e donne, a milioni, provenienti da tutto il mondo, tutti uguali davanti ad Allah, tutti uniti da un’unica fede, che spettacolo straordinario!!! Difficilmente può rimanere traccia di razzismo in chiunque abbia fatto questa esperienza.

La fratellanza come dovere religioso

La fratellanza nell’Islam è un dovere, il superamento delle differenze tribali, etniche, linguistiche è stata da sempre la marca dell’Islam. Tra i primissimi musulmani ci sono state persone di colore, cosi come persone non di origine araba che sono ancora esempi preminenti per tutta la comunità dei musulmani. Insomma non c’è traccia di razzismo nell’islam in qualsiasi ambito, né sembra poterci essere in esso spazio per alcuna attitudine ad ospitarne forme striscianti.

La mia esperienza

La mia personale esperienza di italiano convertito all’islam in età adulta è che il razzismo è una malattia sottile che sa insinuarsi perniciosamente nel cuore dell’uomo. Nato in una famiglia dove il razzismo è stato da sempre bandito, ho dovuto fare i conti con una sua forma molto sottile e perniciosa che aveva trovato posto dentro di me e da cui adesso finalmente mi sento liberato. Oggi siedo serenamente nel mentre di una predica in occasione della preghiera del venerdì, in una moschea di uno sperduto villaggio di quella che un tempo veniva chiamata l’”Africa Nera”, in mezzo a centinaia di fratelli di colore sono l’unico bianco ma mi sento a casa cosi come mi sono sentito a casa nelle moschee dell’India, del Marocco, della Bosnia, dell’Indonesia o di qualsiasi altra parte di Italia o d’Europa, capace finalmente di vedere uomini e donne, fratelli e sorelle nella loro unicità e bellezza a prescindere da qualsiasi attributo esteriore. Tutto ciò è stato possibile grazie all’islam, alla sua pratica e ai suoi insegnamenti, che dolcemente mi hanno guarito da questa terribile malattia.