Islam e schiavitù un chiarimento necessario

“La schiavitù fa parte della religione islamica?“  Chi pone questa domanda oggi lo fa con curiosità intellettuale o con il fine di demonizzare i musulmani e giustificare sentimenti anti-islamici. In entrambi i casi ci si aspetta che sia l’Islam a doversi difendere al banco degli imputati. 

La realtà è ben diversa e la domanda chiave che non viene posta per ignoranza o per secondi fini è “cosa intendiamo per schiavitù?“ Questa domanda, come vedremo, non viene fatta per un semplice ma profondo motivo: perché porrebbe al banco degli imputati la società odierna ed i suoi doppi standard.

Schiavitù: un concetto occidentale?

Cambridge definisce “schiavitù“ come l’attività o la condizione di possedere legalmente qualcuno per costringerlo a lavorare od obbedire (Cambridge, 2008). Questa definizione deve molto alla concezione e all’esperienza occidentale di schiavitù. Lo stesso termine “schiavo“ deriva dal termine latino usato in periodo medievale per indicare il popolo slavo (sclavus). Da questo deriva anche il saluto “ciao“ col significato di “ti sono schiavo“ ovvero “al tuo servizio“. Uno dei motivi di ciò è che il commercio di schiavi europeo nei confronti del popolo slavo fu di una tale portata da indurre all’identificazione dell’intero popolo con l’idea di schiavo che tuttora abbiamo (Davis, 2003:17-18).

Il business degli schiavi in Europa vedeva anche i mercanti ebrei, forti dell’impero khazaro che li supportava e che aveva adottato la loro religione, castrare i giovani schiavi come metodo di “certificazione“ di qualità (Frankopan, 2016:121). La tratta europea degli schiavi utilizzava le arterie fluviali per trasportare “la merce“ e venderla nei vari porti. 

Particolarmente brutale era il destino riservato alle donne schiave. “Le donne attraenti erano particolarmente di valore,“ come ricorda lo storico all’università di Oxford Peter Frankopan, e venivano vendute ad esempio dal popolo scandinavo dei Rus “ai mercanti khazari e bulgari che le avrebbero poi portate a sud – non prima che i loro rapitori avessero avuto relazioni sessuali con loro un’ultima volta“, lasciando trasparire con queste parole gli orrori subiti dalle schiave durante il lungo tragitto (Frankopan, 2016:117).

L’idea e la definizione di schiavo nel mondo odierno sono largamente basate sull’esperienza che l’Occidente ha avuto con questa istituzione. È l’esperienza che oggi si mette in scena nei film che mostrano come gli schiavisti bianchi oppressero milioni di persone, riducendole in schiavi e schiave da flagellare e stuprare giustificando il tutto con passaggi della Bibbia (Moore, 1980; McBride, 2005; Rae, 2018). 

Famoso è infatti il passaggio biblico in Genesi 9:25-27 in cui il figlio di Noé Cam (capostitite di Canaan) fu maledetto con la schiavitù, e con lui la sua discendenza, per aver umiliato il padre. La maledizione descritta nella Bibbia ha rappresentato per secoli una giustificazione per gli schiavisti da parte della tradizione giudaico-cristiana dell’oppressione delle etnie africane.

Le Istituzioni, testo dell’imperatore cristiano Giustiniano risalente al VI secolo, ad esempio si aprono con la frase “in nome del nostro Signore Gesù Cristo“ e continuano affermando una divisione fondamentale fra schiavi e liberi sancendo che “la principale divisione della legge concernente le persone è questa: che tutti gli uomini sono o liberi o schiavi“ (Istituzioni di Giustiniano, Titolo 3 concernente i diritti delle persone).

Vario e scabroso fu il coinvolgimento della Chiesa nella pratica della schiavitù. Nel XIII secolo, quando le città di Genova e Venezia erano impegnate nella redditizia tratta degli schiavi su larga scala comprando prigionieri da vendere all’Egitto, il Papa tentò di vietare loro la vendita di schiavi cristiani ai “Saraceni” (Frankopan, 2016:175), ma alle persone di altro credo non fu riservato lo stesso trattamento. Nel XV secolo, la Bolla pontificia del Papa Nicola V sancì la “perpetua schiavitù” dei musulmani e dei pagani nei confronti dei cristiani (Maxwell, 1975). Così scriveva il Papa al re del Portogallo Alfonso V: “vi garantiamo con i documenti presenti, con la nostra Autorità Apostolica, pieno e libero permesso di invadere, ricercare, catturare e soggiogare i Saraceni e i pagani e gli altri non credenti e nemici di Cristo ovunque essi siano, così come i loro regni, ducati, contee, principati e altre proprietà. (Maxwell, 1975:53)

L’Islam: rivoluzionario di fronte alla schiavitù

Elemento chiave dell’idea moderna di schiavitù è la proprietà. Lo schiavo è un bene che si possiede ed il possesso è definito come il “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico“ (Treccani). 

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad una definizione largamente legata alla comprensione di possesso sviluppatasi nella cultura e nella storia europea. Il fatto che nella definizione il possesso che è visto come “pieno ed esclusivo” debba al tempo stesso fare i conti con i limiti degli obblighi giuridici mostra la tensione fra l’eredità storico-filosofica del significato di possesso e la necessità pratica di limitarne la portata. 

L’idea di possesso nell’Islam è più sottile. Un allevatore ad esempio possiede il bestiame, una persona possiede una casa e un re possiede un regno, ma questo “possesso“ non sancisce il diritto di godere e disporre di queste cose in modo pieno ed esclusivo. È più corretto invece parlare di una relazione contrattuale (Brown e Ali, 2017).

Il re ad esempio ha un contratto con i propri sudditi secondo il quale essi promettono fedeltà al sovrano (in arabo bayah) ed il sovrano garantisce ai sudditi la sicurezza (amanah). Al re viene data autorità nella misura in cui essa è necessaria a realizzare la sua parte del contratto e opprimere o “disporre“ a proprio piacimento dei sudditi significherebbe violare il contratto. 

Prima di parlare di quella che erroneamente è chiamata “schiavitù islamica” è bene dunque osservare cosa dicono le fonti islamiche primarie. Premettendo che i polemici cristiani e gli orientalisti abbiano distorto la tradizione islamica per secoli al fine di demonizzare i musulmani e giustificare sanguinose campagne militari, vediamo cosa disse il Profeta Muhammad (pbsl) a proposito della relazione fra “servi“ e “padroni“ nel racconto profetico tramandato da Bukhari proprio nel libro sulla liberazione degli schiavi:

Che nessuno di voi dica frasi come “nutri il tuo padrone, aiuta il tuo padrone a lavarsi“, o “dai l’acqua al tuo padrone“. Dite invece “mio sayyid (titolo di rispetto formale come il “Lei“ italiano)“ o “mio guardiano“. E che nessuno di voi dica “il mio servo (o schiavo)“ o “la mia serva (o schiava)“ ma dite invece “la mia giovane, il mio giovanotto, o ragazzo mio“ (Sahih Al-Bukhari, libro 49, hadith 2552).

Questo comando profetico e tutto il corpus sharaitico che regola la “servitù“ de facto la rendono (almeno in teoria) una relazione molto simile al lavoro salariato dell’era moderna. Questo è il motivo per cui i dotti musulmani hanno definito come inedita e rivoluzionaria la legge sharaitica in merito. L’unica servitù legittima è quella nei confronti del Creatore. 

L’antropologo statunitense David Graeber nel suo libro Debito. I primi 5000 anni argomenta che se una persona del passato fosse trasportata nel nostro presente e dovesse osservare il modo in cui la società odierna funziona, con i contratti salariati, i debiti creditizi e le relative conseguenze sociali, ebbene tale persona non farebbe alcuna distinzione fra la schiavitù del passato e la condizione attuale (Graeber, 2012). 

Secondo l’analisi di Graeber, i vincoli del contratto salariato, così come quelli derivanti da un prestito ad interessi, presentano molte fra le caratteristiche chiave della servitù debitoria praticata in passato con la differenza fondamentale che non viene usata la parola “servo“ o “schiavo“. 

L‘Islam è stato rivoluzionario in quanto ha incoraggiato la liberazione degli schiavi e annullato ogni possibilità di ridurre in schiavitù le persone libere in un contesto storico che per secoli ha fatto della schiavitù un’istituzione fondamentale. Innumerevoli sono le occasioni stabilite dal diritto islamico in cui per espiare a piccoli errori o crimini si incorre nell’obbligo di liberare gli schiavi. È vietato schiavizzare chi è libero e l’unica modalità con cui l’Islam prevede una relazione contrattuale debitoria è quello dei prigionieri di guerra, come riporta anche l‘istituto di verdetti religiosi (fatawah) Dar al-Ifta al Misriyyah, uno dei più famosi del mondo islamico, fondato nel 1895 ed affiliato al Ministero della giustizia egizio (Dar al-Ifta al Misriyya, 2020).

Per secoli la Storia è stata una storia di guerre e solo nell’era contemporanea, con l’avvento delle armi nucleari e del sistema internazionale di deterrenza e sanzioni, questa condizione si è parzialmente modificata. Non era raro in passato sentire di armate con decine di migliaia di soldati che saccheggiavano città ed avamposti. Le regole militari nell’Islam prevedono la prigionia per gli sconfitti, ma cosa significa prigionia esattamente? Ancora una volta il concetto odierno di prigionia è ben lontano dalla realtà storica e dalle capacità e risorse disponibili per i regni e gli imperi del passato. 

Parlare di prigionieri di guerra nell’Islam non significa di certo sprecare ingenti risorse per creare sistemi di incarcerazione costosi, enormi e dalle burocrazie complesse, garantendo cibo, acqua e rifugio gratuito a chi poco prima era pronto ad ucciderti armato fino ai denti. 

Liberare i nemici lasciandogli la possibilità di riarmarsi e rischiando di combattere di nuovo non era certamente un’opzione sensata. Inoltre, la battaglia era ormai conclusa dunque, salvo gravi crimini, la pena capitale non era necessaria. Ai prigionieri di guerra veniva dunque imposto di entrare in una relazione contrattuale debitoria nella quale, seguendo il comando profetico, gli veniva garantito di essere vestiti e nutriti allo stesso modo di come poteva permettersi il contraente responsabile per sé stesso in cambio di lavoro.

Se il prigioniero mostrava una buona condotta egli stesso poteva prendere l’iniziativa di chiedere la libertà, accordandosi direttamente con il suo responsabile o chiedendo al giudice la libertà tramite l’istituzione islamica della mukataba con la quale il giudice concedeva di pagare “il debito“ a rate fino all’ottenimento della libertà (Erdem, 1996).

Il Profeta Muhammad (pbsl) ha comandato in proposito, come riportato nella raccolta di tradizioni orali di Muslim:

“Loro sono i vostri fratelli che Dio ha posto sotto il vostro controllo, quindi date loro da mangiare di quello che voi stessi mangiate e vestiteli con ciò che voi stessi indossate, e non affidategli di più di quanto possano sopportare; e se lo fate, aiutali” (Sahih Muslim, Libro 27, Hadith 61).

Il giogo servile del mondo contemporaneo

Le umiliazioni, le violenze, le oppressioni, le flagellazioni hanno caratterizzato storicamente dei problemi strutturali della schiavitù come comunemente intesa ma sono totalmente estranei al messaggio islamico.

Nella Storia islamica non era affatto strano che ad un “servo” venissero affidati alti incarichi militari e amministrativi. Come avvenne nel caso dei giannizzeri, “servi“ durante l’impero ottomano, nacquero élite militari e governative costituite da generali, burocrati e ministri. Molti furono i califfi e i sapienti provenienti dalla servitù che determinarono le sorti della civiltà islamica e il corso della Storia. 

Un esempio è quello dei Mamelucchi (dall’arabo mamluk), discendenti da schiavi della zona del Mar Nero che furono venduti nei mercati europei ed euro-asiatici finendo per servire in Egitto come soldati (Frankopan, 2016:168). Essi costituirono una potente classe di soldati al servizio delle dinastie regnanti e sarebbe poi arrivata a conquistare il sultanato. Dopo la sanguinaria presa di Baghdad da parte dei mongoli, furono i Mamelucchi ad arrestare la loro avanzata distruttrice nella famosa battaglia di Ain Jalut del 1260 e salvare l’impero islamico dall’oblio.

Pensiamo a confronto agli “schiavi“ di oggi: gli immigrati costretti nei campi dal caporalato, le famiglie costrette alla servitù con un salario da fame sotto il giogo del debito creditizio delle banche, le donne costrette dalla società liberale ipersessualizzata alla prostituzione, e la lista è lunga. 

La teoria non sempre è la pratica, ed è certamente vero che il millenario impero islamico non fu un’utopia. Testi persiani come il Qabus Nama, scritto nell’XI secolo dal governante della dinastia islamica Ziyaride Keikavus, sono una testimonianza di questa dissonanza. Il Qabus Nama dipingeva la compravendita di schiavi come un’arte e addirittura una branca della filosofia (Frankopan, 2016:120). Del resto, ogni grande civiltà ha i suoi pregi ed i suoi difetti. Ma peculiarità della civiltà islamica è che essa fu fondata su pilastri sani e sull’etica eccellente della tradizione e dei comandi del Profeta Muhammad (pbsl).

Aveva ben chiaro lo spirito dell’Islam il secondo califfo Umar Ibn al-Khattab, un uomo che visse fianco a fianco col Profeta Muhammad (pbsl), quando disse: “Da quando schiavizzate le persone quando sono nate libere dalle loro madri?” (Ibn Abdul Hakam, Futuh). 

Dopo secoli l’Occidente riesce a liberarsi della schiavitù ma non fino in fondo. L’abolizione della schiavitù in Occidente non è da vedere come un momento di pura illuminazione e presa di coscienza dei propri errori. Nonostante alcuni filosofi ed intellettuali occidentali fecero sicuramente molto per sottolineare il diritto alla libertà di ogni individuo riconoscendo l’oppressione subita dagli schiavi, questa apertura culturale fu concessa solo dopo che il bisogno della forza lavoro degli schiavi venne a mancare dopo l’avvento dell’industrializzazione e delle macchine (Brown, 2019). 

La conferenza di Berlino del 1885, in cui quattordici potenze europee insieme agli Stati Uniti dichiararono di voler arrestare il traffico degli schiavi africani rendendolo illegale, fu una mossa più retorica che rivoluzionaria se consideriamo che questa fu seguita dalla spartizione dell’Africa con l’imperialismo ricercando così il possesso formale di quei territori sotto forma di colonie, un’altra forma di “schiavitù”.

L’organizzazione internazionale del lavoro stima che più di 40 milioni di persone oggi siano vittime di varie forme di schiavitù (ILO, 2017). Riusciremo mai a liberarci della schiavitù andando oltre la semantica e non accontentandoci di eliminare il termine “schiavo“? Ad oggi le prospettive non sono delle più rosee. Forse è nell’insegnamenti dell’Islam che lezioni utili possono essere apprese. 

Riferimenti:

  • Brown J. e Ali A. H. (2017), Slavery and Islam: What is Slavery?, Yaqeen Institute, https://yaqeeninstitute.org/jonathan-brown/slavery-and-islam-what-is-slavery/#ftnt_ref4
  • Brown J. (2019), Slavery and Islam, One World Academic.
  • Dar al Ifta al Misriyya, Fatawa – why didn’t Islam abolish slavery immediately?, accesso 28/06/2020, http://eng.dar-alifta.org/foreign/ViewFatwa.aspx?ID=6830 
  • Davis D. B. (1982), Challenging the boundaries of slavery, Cambridge, MA: Harvard University Press, 17-18.
  • Erdem Y. H. (1996), Slavery in the Ottoman Empire and its Demise 1800-1909, St. Martin’s Press, New York. 
  • Frankopan P. (2016), The Silk Roads. A New History of the World, Bloomsbury, UK.
  • Giustiniano I, Istituzioni di Giustiniano, Titolo 3 concernente il diritto delle persone, http://constitution.org/sps/sps02_j1-1.htm.
  • Graeber D. (2012), Debito. I primi 5000 anni, il Saggiatore S.P.A., Milano.
  • Ibn Abdul Hakam (m. 871), Futuh misr wal maghrab wal andalus. 
  • International Labor Organisation (2017), Global Estimates of Modern Slavery: Forced Labor and Forced Marriage, https://www.ilo.org/global/publications/books/WCMS_575479/lang–en/index.htm
  • Maxwell J. F. (1975), Slavery and the Catholic Church: The history of Catholic teaching concerning the moral legitimacy of the institution of slavery, Barry Rose Publishers.
  • McBride D. (2005), Slavery As It Is: Medicine and Slaves of the Plantation South. OAH Magazine of History.
  • Moore W. E. (1980), American Negro Slavery and Abolition: A Sociological Study, Ayer Publishing.
  • Rae N. (2018), How Christian Slaveholders Used the Bible to Justify Slavery, TIME, accesso 03/07/2020, https://time.com/5171819/christianity-slavery-book-excerpt/ 
  • Sahih al-Bukhari, Libro della liberazione degli schiavi, Libro 49, Hadith 36, https://sunnah.com/bukhari/49 
  • Sahih Muslim, Libro dei patti, Libro 27, Hadith 61, https://sunnah.com/muslim/27 
  • Università di Cambridge (2008), Cambridge Academic Content Dictionary, Cambridge University Press. 
  • Università di Cambridge (2008), Cambridge Advanced Learner’s Dictionary, Cambridge University Press.