Rosewood, il villaggio in Florida cancellato da una strage razzista

Il giorno di capodanno del 1923 Rosewood era solo un piccolo villaggio rurale situato nella Florida nord-occidentale, circondato da foreste e da paludi. I suoi abitanti, poco più di un centinaio, erano quasi tutti afroamericani impiegati come operai presso una segheria situata nelle vicinanze, oppure come domestici nella vicina cittadina di Sumner, abitata in prevalenza da bianchi.

Successe che una donna bianca, che per la cronaca di nome faceva Fannie Taylor, dopo essere stata violentata e malmenata dal suo amante, per timore di essere scoperta dal marito, uscì di casa urlando e piangendo, dando la colpa di quanto le era successo a un non meglio identificato uomo di colore*. La versione della giovane che aveva 22 anni, fu subito creduta, tanto più che un evaso di pelle nera in quei giorni era ricercato e si riteneva che avesse trovato rifugio nella vicina Rosewood. 

Si organizzarono subito squadre di uomini armati, con segugi Bloodhound al seguito; i Bloodhound sono quei simpaticissimi cagnoni dalle lunghe orecchie pendenti e dal fiuto infallibile che spesso vediamo in film americani, mentre sono impegnati nella ricerca di schiavi fuggitivi. Molte case di afroamericani furono attaccate e devastate, e un fabbro di nome Sam Carter fu torturato, e per non aver risposto in modo esauriente e soddisfacente alle domande dei giustizieri, sospettato di aver nascosto il fuggiasco, fu prima preso a fucilate e poi il suo cadavere fu appeso a un albero e messo bene in vista ad ammonimento per gli altri abitanti del villaggio, e per chiunque avesse avuto la malaugurata idea di nascondere qualcosa ai vendicatori dell’onore bianco. 

La cronaca di quei giorni di furore ci dice che il certificato di morte di quel poveretto, redatto dal coroner della contea, dichiarava, nonostante che allo scempio avessero assistito numerose persone, che Sam Carter era stato vittima di ignoti. Ma il culmine della tragedia non era ancora arrivato. Il 4 gennaio, alcuni componenti delle squadracce scatenate nel terrorizzare la popolazione di colore, presero di mira la casa di Sarah Carrier una donna che lavorava come domestica presso una famiglia di bianchi nella vicina Sumner. Il figlio della donna, Sylvester, armato di fucile faceva la guardia all’abitazione. Quando alcuni componenti delle squadracce prese a calci la porta della casa, Sylvester sparò e uccise due assalitori. La vendetta degli aggressori fu immediata e devastante: la casa di Sarah Carrier fu data alle fiamme e lei e suo figlio vi trovarono la morte finendo carbonizzati, ma questo non bastò a calmarli, anzi. Altre case furono date alle fiamme, e i superstiti furono costretti a fuggire e a nascondersi nelle paludi, senza che polizia ed esercito corressero in loro soccorso. 

Il resoconto finale di quegli avvenimenti parla di almeno sei afroamericani e di due bianchi uccisi; ma la gente sopravvissuta di Rosewood sostenne, molto più realisticamente, che le vittime non furono meno di trentasette. I sopravvissuti furono lasciati con l’anima e la vita devastata, e il villaggio semplicemente cessò di esistere. Se con Google Earth, impostando la ricerca inserendo il nome di Rosewood, ci si fa virtualmente trasportare in quel luogo, si finisce in una piccola radura, circondata dalla selva, dove ora non c’è più nulla, se non un cartello che ricorda quei dolorosi avvenimenti.

Molti anni dopo da quella devastazione, nel 1994, il governo della Florida ha riconosciuto un risarcimento ai pochi sopravvissuti e ai discendenti degli abitanti del villaggio, ammettendo la responsabilità delle autorità che non fecero nulla per fermare gli aggressori e per soccorrere quelle persone, costrette, per salvare la loro vita, a passare tre giorni e tre notti all’addiaccio, prive di tutto, tremanti di freddo e di paura, braccate come selvaggina. 

Rosewood fu però solo uno dei tanti episodi di violenza razziale che nel corso del tempo hanno punteggiato la storia degli Stati Uniti. Episodi simili furono registrati più o meno nello stesso periodo a Tulsa e a Washington D.C, a Ocoee sempre in Florida, ma più a sud, e laggiù trovarono la morte 60 persone. Non si contano poi i linciaggi, numerosi e di inaudita ferocia di afroamericani. Impressionante quello di Waco, cittadina texana, dove un giovane accusato dell’uccisione di una donna bianca, fu strappato alla custodia degli agenti di polizia in tribunale e torturato orribilmente e bruciato vivo da una folla festante in preda al delirio 

Rosewood si inquadra nella storia dolorosa del popolo afroamericano, nella sua oppressione, nell’ingiustizia eretta a sistema di governo. Una storia che giunge fino ai giorni nostri con le proteste e la rabbia che hanno fatto seguito all’uccisione di George Floyd e di altri afroamericani. Mai e in nessun luogo degli Stati Uniti la vita della gente di colore è stata facile, si pensi solo al fatto che anche oggi per ogni 10 dollari di ricchezza posseduti da una famiglia di bianchi, corrispondano solo 10 centesimi per una famiglia di afroamericani. 

Negli Stati del Sud, negli anni successivi alla fine della guerra civile, che vide la vittoria del Nord, e l’abolizione della schiavitù, la popolazione bianca riprese gradatamente il predominio e grazie a tutta una serie di provvedimenti denominati leggi Jim Crow, -l’origine del nome è ancor oggi piuttosto oscura-  ai neri americani furono negati i più elementari diritti civili, tra i quali la possibilità di eleggere e di essere eletti, il diritto a frequentare le stesse scuole, le stesse chiese,gli stessi locali dei bianchi, il diritto di sedersi dove meglio pareva loro su un autobus, perfino il diritto di avere accesso alle stesse toilette dei bianchi. E tutto questo fino ad anni 60 del secolo scorso inoltrati.

Il teatro Rex per “persone di colore” a Leland (Mississippi) nel 1937.
Ruby Bridges a sei anni scortata dall’FBI per poter permetterle di frequentare la scuola elementare dei bianchi. New Orleans, 1960.

Fa pensare il fatto che in Italia oggi non si perda occasione, senza dubbio giustamente, per condannare e ricordare come una vergogna nazionale le leggi razziali che il regime fascista emise nel 1938, con la complicità della monarchia e nel sostanziale disinteresse della maggioranza del popolo italiano, leggi con le quali si discriminavano i cittadini di religione israelitica; ma non ci si soffermi mai sul fatto che la principale potenza militare dello schieramento bellico contrario all’Asse, che col suo intervento e col suo preponderante peso militare determinò la sconfitta del nazi-fascismo, avesse a casa sua leggi e pratiche comportamentali che per odiosa iniquità e razzismo nulla avevano da invidiare a quelle che caratterizzarono i regimi di Hitler e di Mussolini.  

*Qualcosa di analogo a quanto accaduto nel 2001 a Novi Ligure, quando Erika De Nardo uscì urlando di casa e incolpò dell’uccisione della madre e del fratellino, non meglio identificati albanesi. L’uomo nero, lo straniero, il diverso; archetipi che ricorrono.