La città dei vivi: il libro alla Truman Capote sul delitto Varani

“Ma allora, domando, che sarà dell’uomo? Senza Dio e senza vita futura? Tutto è permesso dunque, tutto è lecito?” (M. Dostoevskij, I fratelli Karamazov)

Il 3 marzo del 2016 al culmine di un delirio durato circa tre giorni durante il quale avevano consumato venti grammi di cocaina, fumato un numero incalcolabile di sigarette, non aver praticamente mai dormito, e bevuto litri di alcolici, Marco Prato e Manuel Foffo, due quasi trentenni romani, dopo averlo drogato facendogli ingerire un cocktail a base di narcotici e averlo orribilmente torturato, uccidono a martellate e coltellate Luca Varani, un giovane di ventitré anni che si era recato nell’appartamento di Foffo attirato dalla promessa di ricevere centocinquanta euro, forse trecento, come ricompensa per non meglio precisate prestazioni sessuali.

Questa è la conclusione di una vicenda in apparenza abbastanza semplice, ma nei fatti molto complessa, che Nicola Lagioia, scrittore emergente del panorama letterario italiano, ci racconta magistralmente nel suo libro La città dei vivi, edito da Einaudi, con una profondità di indagine come forse solo Truman Capote, divenuto con il suo capolavoro A sangue freddo, il caposcuola e l’inventore del genere detto non fiction novel, avrebbe saputo fare. 

Dick Hickok e Perry Smith, i protagonisti della storia di Capote, storia che avviene a cavallo fra la fine dei cinquanta e gli inizi dei sessanta nel Kansas, regione che si trova nel cuore degli Stati Uniti, massacrano senza una ragione che possa razionalmente spiegare l’enormità del loro gesto quattro persone, la famiglia di un agricoltore benestante del mid-west americano. Un delitto atroce, commesso senza che almeno in apparenza ci sia una motivazione razionale a spiegare tanto orrore. 

I Dick e Perry di casa nostra, i romani direbbero de no’antri, si chiamano Marco Prato e Manuel Foffo. L’ambiente urbano degradato della Roma di questi nostri anni, e non le vaste e struggenti praterie americane, fa da sfondo alla loro storia. Marco Prato è un giovane romano, un essere umano nel quale la pulsione omosessuale è così forte da spingerlo a desiderare intensamente di essere una donna, e per questo sogna di sottoporsi a pesantissime cure ormonali e a decisivi interventi chirurgici volti a fargli cambiar sesso. 

Marco Prato ha una personalità complessa, difficile da inquadrare; è stato descritto come un protagonista delle notti romane, ossessionato dalla cantante degli anni sessanta del secolo scorso Dalidà, è un manipolatore raffinato, ha un’ottima educazione, una laurea conseguita alla Luiss, università privata di un certo prestigio, parla correntemente inglese e francese, viene da una buona famiglia borghese e cattolica, ama imbottirsi di cocaina e sembra perennemente alla ricerca di maschi eterosessuali da sedurre; proprio perché crede che solo un eterosessuale potrebbe farlo sentire veramente donna. 

Manuel Foffo fino all’incontro con Marco Prato è invece uno studente fuori corso di giurisprudenza, evidentemente schiacciato in famiglia dalla personalità del padre, un ristoratore di successo, di nome Valter Foffo e di un fratello maggiore, Roberto Foffo, che ha la fiducia e la stima del genitore, che per questo lo inserisce nella gestione dei suoi ristoranti, cosa che crea nel fratello minore un senso di frustrazione e di invidia profondissimi. 

Fino al suo incontro con Prato Manuel conduce una vita piuttosto inconcludente e disordinata, ma non ha manifestato tendenze omosessuali. Sarà quel suo nuovo amico, incontrato casualmente ad una festa di fine anno, ad insistere con una sofisticata e pesantissima opera seduttiva a fargli accettare rapporti sessuali con lui, rapporti nei quali Manuel vorrà e dovrà rigorosamente mantenere sempre un ruolo attivo. 

Fino all’incontro dei primi di marzo del 2016 nell’appartamento di proprietà della madre di Manuel, la vita di questi due giovani, per quanto sopra le righe, non ha nulla di particolarmente strano. In fondo ai nostri giorni sono legioni i ragazzi che si drogano con la cocaina, una droga che lo Zeitgeist contemporaneo pare abbia fatto diventare sempre più di moda, che bevono smodatamente superalcolici, che magari spinti dalla nuova temperie omosessualista, scoprono in sé stessi tendenze gay e vi si abbandonano allegramente. 

Quello che però avviene in quell’appartamento del Collatino, in via Giordani a Roma, sfugge completamente a una normale e in fondo banale vicenda di trasgressione e perversione giovanile. Non c’è in quello che avviene in quella tre giorni di follia nulla di razionalmente spiegabile. Cosa ha spinto Marco e Manuel a torturare in modo del tutto gratuito e disumano e infine a sopprimere un ragazzo che nulla in fondo aveva fatto per meritare quella fine atroce? 

Possibile che due esseri umani, che nonostante l’abuso di alcool e di sostanze stupefacenti, restano comunque dotati di un’anima razionale e quindi di libero arbitrio, possano annebbiarsi fino al punto da non comprendere che la conseguenza dei loro gesti, non solo sarà la soppressione di un altro essere umano, ma causerà la loro stessa distruzione? Da dove viene questo amore del nulla? 

Manuel Foffo verrà condannato in via definitiva a trent’anni di carcere e Marco Prato morirà suicida sempre in carcere alla vigilia del suo processo. 

Nicola Lagioia, lo ripetiamo, è stato molto bravo nel raccontarci questa vicenda; il libro, non certo un libricino, consta di più di quattrocento pagine, ma la sua lettura, avvincente e scorrevole, tende ad incollare il lettore alle pagine, quasi che quella storia scellerata emanasse un fascino dal quale è difficile distogliere lo sguardo. Si arriva alla fine di quelle pagine senza quasi rendersene conto, almeno a chi scrive è successo questo. 

Ma questa lettura è una traversata del deserto, un viaggio nel cuore di tenebra del nostro tempo; un tempo che sembra aver rimosso ogni senso spirituale dalla vita. La storia di Marco e Manuel è la storia, omicidio finale a parte, di moltissimi giovani dell’Italia d’oggi, un luogo dove nulla rimanda ad una dimensione altra, nulla rimanda a valori che possano trascendere e dare significato ai giorni della vita e quindi questo senso, questo impossibile appagamento esistenziale spesso si cerca nel nulla del sesso e della droga. 

Bella e anche un po’ raggelante la frase che scrive verso la fine del libro il suo autore. Frase piuttosto significativa della sua visione del mondo: …Noi fermi a chiacchierare mentre il cielo stellato si impossessava della scena, rivelato ai nostri sguardi dai complicati principî di rotazione e rivoluzione, la gigantesca macchina che ci fa nascere e ci riduce in polvere.