Francia: come nasce lo spauracchio della sottomissione islamica

Il progetto di legge sul “separatismo islamista” voluto dal governo francese e redatto dal ministro Darmanin suscita sempre di più reazioni e opposizione anche al di fuori della comunità dei musulmani di Francia che ne sarebbe gravemente colpita.

La Commissione consultiva nazionale per i diritti umani (CNCDH) lo ha esaminato e qualche settimana fa ha pubblicato un rapporto nel quale dice chiaramente trattarsi di un testo che prevede “misure repressive in alcun modo giustificate o proporzionate e […] che rischiano di indebolire i principi repubblicani invece di rafforzarli”. La CNCDH ha ricordato a Darmanin che “il rispetto dei principi repubblicani non può essere ottenuto principalmente con la coercizione”, considerazione che sembra del tutto estranea alla mentalità del ministro.

Philippe Marlière, professore all’University College di Londra, ha fortemente deplorato questo progetto affermando che Darmain è riuscito, “in pochi mesi al governo, a fare di più per diffondere l’islamofobia in Francia che 50 anni di propaganda lepenista. “

Nel manifesto di Darmanin, un pamphlet di 96 pagine da poco pubblicato, la società multiculturale, la libertà di religione, la diversità dei sistemi di valori e delle idee diventano sinonimo di disturbi dell’ordine pubblico mentre la repressione e l’abolizione della visibilità musulmana sono presentate come condizioni di “convivenza”, pensate sempre in modo modo unilaterale.

Per demonizzare i musulmani praticanti ed etichettarli come separatisti, il ministro dell’Interno spaccia le loro pratiche religiose per leggi che vorrebbero estendere a tutta la società, criminalizzando così la loro religione, che viene presentata come una minaccia. Secondo Darmanin, la società francese “si è svegliata sotto l’attacco di un nemico perverso”; affermazioni che nulla hanno da invidiare ai discorsi più oltranzisti dell’estrema destra.

Nel suo parossismo il ministro dell’Interno arriva a disegnare una Francia in cui è già in corso “la grande sostituzione”. Parla di una “presa di potere islamista” sostenendo che “la legge di Allah è imposta ovunque” e che “i francesi [sarebbero] stati troppo ingenui per troppo tempo”. Usa il termine “leggi” per riferirsi a valori e pratiche di culto, ben sapendo che nessuno impone leggi islamiche in nessuna parte della Francia. Gerald Darmanin confonde il ritorno alla pratica religiosa individuale con l’imposizione forzata di leggi islamiche su larga scala, quando invece il ritorno alla religione dei musulmani in Francia fa parte di un processo individuale volontario.

Darmanin sembra ignorare che leggi e valori non sono termini intercambiabili. Le leggi, una volta violate, sono passibili di una sanzione penale o disciplinare mentre ciascuno è libero di adottare i valori e gli stili di vita che desidera, in quanto questo costituisce libertà individuale, anche se diversa da quella del gruppo dominante.

E invece non c’è nulla che impedisca il disaccordo con i valori e i principi repubblicani, con altri costumi o con un’altra cultura. Da un punto di vista giuridico, non si può biasimare un cittadino per non adattarsi alle specificità della cultura francese e per non aver adottato pienamente i principi repubblicani purché rispetti la legge. L’esempio degli ebrei ortodossi o dei cattolici praticanti illustra perfettamente questo punto.

Trasfomando i valori repubblicani in leggi, il ministro dell’Interno può facilmente accusare i musulmani di “dettare legge nei loro quartieri” quando invece praticano semplici prescrizioni religiose come mangiare halal o avere una certa modestia.

Tuttavia, i musulmani non impongono alcuna legge, praticano semplicemente la loro religione.

Troviamo questa visione binaria ed essenzialista dei musulmani nell’opera di Gilles Kepel, citata da Gérald Darmanin nel suo manifesto: “ I musulmani, praticando il loro culto] esprimono una rottura con i valori della società francese”. È Keppel  che pianta i semi della famosa tesi del “separatismo” dei cosiddetti “islamisti” la cui religiosità esprime “un desiderio di sovvertire moralmente” la società francese. Stranamente, lo stesso rimprovero non è rivolto a tutte le minoranze. Tuttavia, questa cristallizzazione intorno alla questione dell’identità e della designazione di un capro espiatorio è un fenomeno comune che varia a seconda del tempo e del luogo.

Esisteva in Germania quando la propaganda nazista insisteva sulla “sovversione ebraica” (Jüdische Subversion). Gli ebrei furono accusati di tradimento contro la patria, di sedizione e di voler rovesciare i valori difesi dalla Germania.

Anche il politologo francese, Olivier Le Cour Grandmaison, ha sottolineato che l’ostilità del suo paese verso l’Islam è intimamente legata al suo passato coloniale, infatti non possiamo capire questo atteggiamento francese ostile all’Islam oggi senza comprenderne il passato. 

“Ciò che si scrive oggi sull’Islam in Francia costituisce una continuazione di ciò che è stato scritto dalla fine del XIX secolo” afferma Le Cour Grandmaison, aggiungendo che “attualmente ci sono tentativi di trasmettere teorie islamofobe che sono, di fatto, derivate da teorie e approcci ostili all’Islam durante l’era coloniale”.

Stiamo assistendo, ha proseguito, “a tentativi di resuscitare accuse del genere secondo cui l’Islam in Francia costituisce una minaccia ai principi della Repubblica, alla laicità e all’uguaglianza di genere”.

Uno sviluppo politico pericoloso

Il politologo ha fatto notare che i media francesi dedicano alla promozione dell’islamofobia una parte dei loro programmi pari a quella riservata alla copertura di una pandemia globale su larga scala.

Ha affermato che “Oggi stiamo assistendo a uno sviluppo politico molto pericoloso con un discorso estremista islamofobo, tanto più che il discorso trasmesso da alcuni media sta diventando più radicale”

Infatti, ha proseguito, “quando il ministro degli Esteri francese, Jean-Yves le Drian, fa dichiarazioni ostili all’Islam e accusa i musulmani, trova sempre eco tra i giornalisti islamofobi che si arrogano il diritto di dire di più” .

Grandmaison sostiene che “l’accusa mossa dal presidente francese Emmanuel Macron ai musulmani, definendoli separatisti, non può che peggiorare l’oppressione e la portata delle accuse contro di loro”.

L’ostilità di oggi deve essere vista alla luce del passato

L’accademico francese ha indicato che “non si può afferrare la posizione ostile all’Islam mostrata dalla Francia oggi senza comprendere e identificare il suo passato coloniale”.

Ha osservato, a questo proposito, che “la sconfitta della Francia in Algeria, sia politicamente che militarmente, ha alimentato e aggravato l’islamofobia in diverse aree e settori della società francese”.

 Secondo il cattedratico “Macron conta su diversi personaggi, tra cui il ministro dell’Interno, Gérard Darmanin, per ottenere i voti degli elettori di destra e di estrema destra” e che il progetto di legge sul separatismo vuole essere la carta vincente di Macron alle prossime elezioni”.