#DontTouchMyHijab la campagna social contro il divieto francese

Hands-off-my-hijab
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Dal 30 marzo, le donne musulmane francesi rischiano di essere private di una parte delle loro libertà, per questo le giovani donne musulmane hanno lanciato una campagna social con l’hashtag #DontTouchMyHijab.

Il senato francese ha votato a favore del “divieto, per le ragazze minorenni, di indossare qualsiasi abbigliamento o vestiario religioso in pubblico, in quanto indicherebbe una presunta “inferiorità della donna rispetto all’uomo”.

In più, se qualche mamma volesse accompagnare il proprio figlio in una gita scolastica, sarebbe ritenuta a rinunciare al suo l’hijab, mentre entrare in una piscina pubblica con indosso il burkini diventerebbe proibito. Queste norme facenti parte della lotta del governo francese al cosiddetto “Separatismo Islamico”, devono ancora essere approvate dall’Assemblea Nazionale. 

È importante capire che tali politiche non sono un fenomeno recente. La discriminazione contro i musulmani, in particolare le donne, è stata costantemente applicata in nome della legge, dell’ordine e dell’integrità nazionale da tempo, e i divieti proposti non faranno altro che marginalizzare ancora di più le donne musulmane che scelgono di indossare l’hijab.

L’avvocato francese e membro dell’Assemblea Nazionale Sacha Houlie ha avvertito che queste norme sarebbero “controproducenti” e potrebbero indurre alcuni musulmani a ritirarsi ulteriormente dalla società.

Mentre il clima islamofobo, che si sta accentuando in Francia in vista delle prossime elezioni, sembra non interessare il resto del mondo, diversi musulmani di tutto il mondo stanno prendendo posizione contro queste restrizioni alla libertà personale.

La schermitrice olimpica Ibtihaj Muhammad scrive in un post su Instagram: “Questo è ciò che accade quando si normalizzano i discorsi d’odio anti-musulmani, i pregiudizi, la discriminazione e i crimini d’odio: l’islamofobia diventa legge. Possa Dio proteggere le nostre sorelle. “

L’attivista, Amani al-Khatahtbeh, parla nei suoi social media per dire: “Mie sorelle francesi, sappiate che vi vediamo, che vi stiamo accanto e che combattiamo con voi contro l’islamofobia globalizzata che ci ha portato fin qui”.

Anche l’autrice e attivista libanese-canadese Najwa Zebian si è espressa in un post Twitter: “Pensavo che avessimo già superato questo. Costringere una donna a indossare l’hijab è sbagliato. Proprio come costringerla a toglierlo è sbagliato. È una sua scelta. “

Diverse ragazze hanno partecipato alla campagna #DontTouchMyHijab accompagnate dalla modella somala Rawdah Mohamed che scrive sulla mano destra “Hands off my hijab” ossia: giù le mani dal mio hijab.

Il divieto dell’hijab viene giustificato come mezzo per dare potere alle donne. Tuttavia, è fondato sulla retorica anti-islamica, che è profondamente radicata nella società e nel governo francese. Partendo dal presupposto che tutte le donne musulmane con il velo siano state oppresse, si ricade negli ideali di supremazia secondo i quali le donne di minoranza etnica sono sempre oppresse e hanno bisogno di essere salvate.

Le donne non possono essere sostenute se private della loro autonomia, del libero arbitrio e del diritto di scegliere. Potranno dirsi veramente libere quando la società e i governi smetteranno di dettare legge su quale parte del corpo una donna possa scoprire o coprire. 

Il disegno di legge è contrario al motto nazionale francese: “liberté, égalité, fraternité”. Non è equo, proprio perché prende di mira solo una certa comunità, già emarginata e stigmatizzata.

Lo scorso mese, Amnesty International ha affermato che la proposta di legge rappresenti un “grave attacco ai diritti e alle libertà dei musulmani in Francia” e ha chiesto che “le molte disposizioni problematiche” del disegno di legge vengano eliminate o emendate.

Ogni cittadino europeo di fede musulmana deve essere tutelato dall’articolo Art. 9 CEDU. della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: 

“Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti.

La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.”