Alla Meloni non va bene che l’UCOII condanni i matrimoni forzati: l’assurda invettiva della leader FDI

Il Segretario di FDI Giorgia Meloni e Yassine Lafram, Presidente UCOII

Col suo stile sguaiato Giorgia Meloni, leader di un partito che si dice di destra e all’opposizione, ha lanciato i suoi strali contro l’UCOII rea di aver promosso una fatwa contro il matrimonio forzato ed il cosiddetto “delitto d’onore”. 

La fatwa in questione si iscrive nel solco della ultra-trentennale attività dell’Organizzazione delle Comunità islamiche tesa a promuovere una visione corretta dell’Islam e a liberarsi da tribalismi, ignoranza, violenza e pregiudizi anche nell’ambito familiare.

Questa presa di posizione è stata salutata con toni assai positivi da gran parte della stampa e dei politici italiani. Bene. Anche se in molti sembrano dimenticare che non di novità si tratta, bensì di una posizione coerente con una cultura che ha proclamato la dignità delle donne già 1400 anni or sono, e non solo a parole. Ne sono testimonianza le dissertazioni filosofiche sulla grandezza spirituale delle donne pie di Ibn Arabi o il notevole operato di guide ed intellettuali del calibro di Zaynab Al Ghazali, Mukhkisa Bubi, Fatima Janna, che hanno dato contributi interpretativi fondamentali proprio sul tema del matrimonio islamico e della famiglia. 

Secondo la “leader de noantri”, che strilla un giorno sì e l’altro pure: “io sono cristiana!”, questa presa di posizione dell’UCOII sarebbe in contraddizione col carattere laico dello Stato… Detto da chi fa riferimento ad una Chiesa che ha sempre cercato di ingerirsi negli affari temporali, questa accusa suona  assolutamente risibile. 

Ma l’imbarazzante ignoranza della signora Meloni si palesa ancor più quando mostra di non comprendere come una fatwa non sia affatto una decisione di ordine giuridico vincolante in uno stato laico ma unicamente una presa di posizione etica, una sorta di persuasione morale volta a indirizzare i credenti verso un comportamento più consono ai principi della fede e – nella fattispecie – in piena sintonia con lettera e spirito della più recente legislazione statale. La fatwa poi è stata emessa dall’Associazione degli Imam e Guide Religiose sollecitata dall’UCOII che poi ha promosso la diffusione del testo. A beneficio della Meloni e di quanti continuano a darle credito, invitiamo alla lettura della breve ma ottima analisi del Prof. Pierluigi Consorti, cattedratico dell’Università di Pisa.

Il patetico tentativo della Meloni di rappresentare una fantomatica islamizzazione dell’Italia è così smascherato come pura demagogia per analfabeti funzionali. Tocca ribadire che la Comunità musulmana ha il pieno diritto-dovere di potersi esprimere su temi di pubblico interesse senza essere biecamente criminalizzata da chi non conosce neppure le basi della “propria” religione.

La comunità dei musulmani in Italia persegue il diritto di agire come luogo di formazione spirituale, morale e sociale, per la pratica del bene e la ricerca della conoscenza, che giovano in questa vita e nella prossima. In tal guisa la comunità islamica italiana è un’importante luogo per la costruzione di una cittadinanza attiva nella società, nelle sue varie componenti, religiose o meno.

Esattamente come avviene per tutte le confessioni religiose, il rapporto tra Stato laico e fede di appartenenza si realizza nel pieno rispetto delle rispettive prerogative ma pure in ambiti di comune interesse. Così si praticano studi di Diritto canonico anche nelle Università statali italiane, sacerdoti e vescovi, rabbini e pastori esprimono pareri anche su temi di natura politica e sociale, senza troppo scandalo.

Chiunque sia pastore di anime ha la responsabilità di guidare al bene i credenti e tale responsabilità si esercita nel rispetto delle leggi vigenti. Se poi tali insegnamenti etici sono in pieno accordo con i dettami dello Stato laico, dove si pone il problema? Forse solo nell’arretratezza culturale e nella malafede di chi cerca occasioni di pubblicità dozzinale, promuovendo l’islamofobia a buon mercato e rivelando una pochezza intellettuale disarmante.