Shaykh Ibrahim Khalifa e Mufti Taha Karaan: il riposo di due giganti della conoscenza

Nei giorni scorsi, due importanti Sapienti musulmani (‘ulemà’) contemporanei hanno lasciato questo mondo terreno. Lo hanno fatto con discrezione, così come discretamente avevano vissuto, lontani da fama e riflettori – secondo il simbolismo agreste dell’Imam Ibn ‘Ata’ Allah: “Seppellisciti nella terra dell’oscurità, poiché quel che cresce da ciò che non è sepolto [in profondità] non produce alcun frutto”.

Questa umile inumazione nelle atmosfere ovattate dell’insegnamento e della trasmissione delle scienze tradizionali è ciò che, col permesso d’Iddio , ha ‘prodotto’ intere generazioni di Sapienti e studiosi musulmani, che nelle scorse ore hanno infatti tributato commosse parole di cordoglio e di saluto ai loro insegnanti, letteralmente dai quattro angoli della Terra. 

Uno di essi è lo Shaykh as-Sayyid Ibrahim Khalifa al-Hasani, discendente del Profeta Muhammad (pbsl) e proveniente dalla regione del Ahsà’, nella Penisola araba orientale –regione conosciuta per la sua solida tradizione sapienziale legata all’Islam classico, a differenza degli orientamenti promossi prevalentemente dalla moderna monarchia saudita.

Nato nel 1956/1376, dopo aver memorizzato integralmente il Nobile Corano ed essersi laureato in Legge islamica (Shari’ah) all’Università Imam Muhammad ibn Sa’ud, lo Shaykh viaggiò fra Egitto, Siria e Marocco per studiare coi principali Sapienti dell’epoca: fra i suoi insegnanti, vi furono Shaykh Muhammad ibn Abi Bakr al-Mulla, Shaykh Ahmad ad-Dogan, Shaykh Muhammad al-‘Umair e Shaykh Diya’ ad-Din al-Madani, vicario dell’Imam Ahmad Reza Khan.

Fu inoltre amico intimo di Shaykh as-Sayyid Muhammad ibn ‘Alawi al-Maliki, rinomato muhaddith sunnita della Mecca. Modello esemplare di Sapiente tradizionale sunnita, Shaykh Ibrahim Khalifa al-Ahsa’ì era docente di teologia classica (‘aqìdah) Ash’arì e di giurisprudenza tradizionale (fiqh) Shàfi’i; tradizionista (muhaddith), insegnava le principali raccolte classiche di tradizioni profetiche (ahàdìth) ed impartiva altresì guida ed orientamento spirituale (irshàd) secondo la metodologia delle scuole Shàdili e Qàdiri-Razàwi – unendo gli studi tradizionistici (‘ulùm al-hadìth) alle discipline della purificazione interiore e della realizzazione spirituale (tasawwuf), e l’insegnamento sedentario (ta’lìm) ai viaggi dedicati all’invito all’Islam (da’wah), secondo consolidate consuetudini della sapienzialità sunnita ortodossa. Nelle parole di S.E. Shaykh as-Sayyid Muhammad al-Yaqoubi al-Hasani: 

“[Shaykh Ibrahim Khalifa al-Ahsa’ì] ha viaggiato in diversi Paesi dell’Europa e dell’Asia, invitando ad Iddio l’Altissimo. Negli ultimi anni viveva nella città di Istanbul, dove diffondeva la conoscenza, guidava i discepoli, promuoveva sedute di dhikr e letture di Hadìth – ove venivano recitate le Sei Raccolte canoniche (al-Kutub as-Sittah), il Muwatta’ [dell’Imàm Màlik] ed altre opere classiche: [anche] per suo tramite, Iddio ha vivificato quelle regioni. Egli – che Dione abbia misericordia – era un pilastro dell’Islàm sunnita (Ahl as-Sunnah wa l-Jama’ah), un Sapiente educatore, dalle eccellenti qualità morali: umile, dal cuore tenero, facile alle lacrime [per il devoto timor di Dio], dalla voce dolce, come estinto nell’amore per il Profeta, profondamente incline a celebrarNe l’eccellenza e col cuore legato alla Sua luminosa Medina, dove si recava spesso e dimorava a lungo.

Egli era insomma una perla preziosa, un raro gioiello, unico nel suo genere in quest’epoca, eredità vivente (baqìah) delle generazioni dei pii Predecessori (as-Salaf as-sàlihìn), sintesi di conoscenza e d’opera, di giurisprudenza e spiritualità, di salubre stato interiore e discorso eloquente, levatosi a sostegno e difesa della Legge sacra (Shari’ah) in generale, e della Via spirituale (Tasawwuf) in particolare. Egli ha educato un gruppo di nobili discepoli, che hanno proceduto per mano sua lungo il sentiero spirituale, e da lui hanno tratto conoscenza e virtù.” 

Nelle stesse ore, ha fatto ritorno al Signoreanche Shaykh Taha Karaan, Muftì sciafeita del Muslim Judicial Council del Sudafrica – succeduto in questo ruolo a suo padre, Shaykh Yusuf Karaan – e fondatore del Dar al-‘Uloom al-‘Arabiyyah wa l-Islamiyyah di Strand, nei pressi di Città del Capo. Nato nel 1969/1389, dopo aver memorizzato integralmente il Nobile Corano ed aver completato i suoi studi presso il Dar ‘Uloom di Deoband si recò altresì in Egitto, dove studiò all’Università del Cairo. Nelle parole del dr. Yàsir Qàdhi: 

“Solo coloro che abbiano studiato estensivamente [le scienze islamiche] possono apprezzare pienamente Mufti Taha. [..] Oltre ai suoi meriti accademici, era anche un poeta ed un calligrafo; ma soprattutto, la sua umiltà ed il suo carisma furono sempre una fonte di ispirazione per coloro che gli erano intorno. [..] Era un uomo lungimirante, intimamente connesso con la tradizione [classica]; estraneo alla ristretta mentalità del settarismo, era desideroso piuttosto di affrontare costruttivamente le sfide che si pongono alla comunità islamica contemporanea.” 

Nel ricordo di un suo studente: “Una luce splendente ed un portatore della conoscenza profetica non è più con noi, ed ogni angolo della Terra [da cui provenivano i suoi numerosi studenti] quest’oggi piange. In definitiva, egli è ora felice, contento ed in uno stato di gioia [spirituale, a seguito della sua dipartita dalla vita terrena]: coloro che lo conoscevano in questo mondo – e che oggi lo stanno ricordando – realizzano che, fino a ieri, era con noi un abitante del Paradiso. [..] Pochi in questa nostra epoca si avvicinano ad eguagliare le qualità ed il carattere di Mufti Taha: egli era un oceano di conoscenza; tramite le sue parole ed i suoi gesti, perle (durar) ed insegnamenti benefici (fawà’id) erano benevolmente effusi su coloro che sedessero in sua compagnia. Era un Sapiente prolifico, di un’erudizione enciclopedica in una vasta gamma di argomenti; la sua acutezza intellettuale era senza pari, la sua integrità accademica era sincera, e maneggiava la penna con grazia ed eloquenza; la sua recitazione del Nobile Corano e degli Hadìth profetici toccava profondamente l’anima, la sua premurosa gelosia (ghayra) per l’Islàm era paragonabile a quella dei pii Predecessori (Salaf), e nutriva profondo amore e rispetto per i Sapienti (‘ulemà’), gli studiosi (tullàb) e coloro che [a qualsiasi titolo, foss’anche il più umile] sono impegnati nel servizio dell’Islàm. 

[..] Alcuni dei giorni migliori degli studi nella madrasa erano quando lui sedeva nella biblioteca, ad insegnare per ore. I partecipanti restavano ben oltre la fine della giornata, assorbendo e traendo beneficio dalle sue perle di conoscenza, la cui saggezza era vasta e profonda. Studiando le biografie dei Sapienti antichi e delle loro lezioni – come quelle di Abu Ishàq as-Shiràzi – tornano in mente le lezioni di Mufti Taha: la sua straordinaria padronanza della lingua Araba, della poesia, della scrittura, dell’articolazione di fatàwa – e quelle altre qualità che Iddio gli aveva donato, come la bellezza del carattere, una personalità amorevole ed una genuina preoccupazione per gli altri. Perciò egli era amato da molti – anche qualora lo avessero incontrato solo per breve tempo; il generoso supporto che ha offerto ai suoi studenti ci ha cambiato per sempre: egli ha curato la nostra crescita intellettuale, la sua compagnia ci ha plasmato rendendoci quel che siamo, e grazie a lui ci siamo avvicinati a Dio, diventando persone migliori. Egli ha investito innumerevoli ore per noi, per sostenerci nella ricerca della conoscenza, in maniera disinteressata: era veramente un’incarnazione del carattere profetico, che diffondeva beneficamente la conoscenza ovunque si recasse.” 

Dalle memorie di un altro studente: “Ricordo la prima volta che l’incontrai – con l’immagine, nella mia mente, di un Sapiente descritto dai suoi contemporanei come un oceano di conoscenza, il Maestro di maestri (Shaykh as-shuyùkh) e poi addirittura come “il piccolo [Imàm] Shàfi’i” (as-Shafi’i as-saghìr) – per trovarmi poi dinanzi ad un uomo anonimo, umile fino all’estremo, apparentemente privo di qualsiasi senso di ego o di realizzazione [personale, accademica, etc]. Man mano che lo conobbi, rimasi colpito dalla semplicità con cui viveva, spesso alla giornata, “centellinando ogni centesimo” – come una volta si lasciò sfuggire – [e tuttavia] rifuggendo, con tutta la diplomazia possibile, fama e riflettori [che gli avrebbero potuto garantire introiti e sponsorizzazioni]. La sua modestia era di un’intensa innocenza. Nonostante vivesse così semplicemente – tanto da non aver mai posseduto un ammontare di beni (nisàb) tale da giustificare il versamento della zakàt da parte sua – nella sua generosità era come un re generoso: elargiva ai bisognosi come se possedesse tutte le ricchezze del mondo, sconcertandoci con la sua spontanea magnanimità. [..] 

Egli mantenne sempre un ampio ‘margine di sicurezza’ – non soltanto fra lui e ciò che è religiosamente proibito (haràm), ma anche rispetto a ciò che fosse riprovevole (makrùh), superfluo (mubàh) o dubbio (maskhùk) nella Religione – ed incoraggiò i suoi studenti a fare lo stesso, senza tuttavia mai imporlo loro o ad altri. Nutriva un amore incredibile per i suoi insegnanti e per i Sapienti più anziani: faceva loro visita, li onorava, abbassava il capo dinanzi a loro, li serviva e ricercava il loro consiglio in grandi e piccole questioni. Operò infaticabilmente per costruire, non per distruggere; per unire, non per dividere: disprezzava lo sciovinismo, il settarismo, certe meschinità della politica, una certa attitudine inquisitoria in ambito religioso, il protagonismo egoistico. E’ un segno di maturità spirituale – diceva – subordinare i nostri desideri personali e soggettivi all’interesse comune. [..] A coloro che differivano da lui e – violando i sacri principi e le convenienze (adàb) della divergenza sapienziale – lo insolentivano e diffamavano, rispose sempre con la compostezza intellettuale e spirituale di un vero Sapiente: non ha mai replicato alla stessa maniera, né si è lasciato trascinare nella polemica, ed ha anzi pazientemente perdonato i suoi calunniatori. In un dibattito cui assistemmo, mentre noi studenti eravamo impazienti che Shaykh Taha sferrasse “colpi da KO intellettuale” al suo interlocutore, egli non lo fece mai, anche se avrebbe facilmente potuto. In seguito gli confessammo che ci eravamo sentiti come “traditi” dalla sua moderazione; egli rispose semplicemente col suo caratteristico sorriso, come per dire: “Lo so, ma non è questo il nostro modo; bisogna guardare invece, con lungimiranza, a ciò che sia più importante [in termini di moralità, di composizione delle divergenze e di cooperazione benefica]”. 

Iddione abbia misericordia, consoli le loro famiglie ed i loro studenti, e consenta a noi ed all’umanità intera di continuare a beneficiare della conoscenza profetica che essi hanno ereditato e trasmesso, affinché possa essere per loro come un’inesauribile sorgente di bene, di conforto e di benedizioni (sadaqa jàriyah), nel luogo della loro sepoltura e poi nel Giorno della Resurrezione.