DDL Zan: si fa presto a dire diritti

“Il ddl Zan dà diritti a chi non ne ha. Easy” ebbe a dire Fedez e tutti ad applaudire questa memorabile frase, ivi compresi editorialisti-filosofi. Questa storia dei “diritti” viene sbandierata come uno dei principali fondamenti della bontà, anzi della necessità del ddl Zan. E se non fosse vero?

Il guaio è che quando si dice una cosa così semplice e così bella nessuno la mette in discussione. Anzi questo tipo di frase serve proprio a non mettere in discussione qualcosa. Fa passare un dover essere – “bisogna dare diritti a chi non ne ha” – per un dato di fatto: “Il ddl Zan dà diritti a chi non ne ha” . Si tratta di un tipo di operazione – tecnicamente framing – che gli studiosi di media e comunicazione pubblica conoscono benissimo, di cui i politici si servono in abbondanza e che un’opinione pubblica ormai resa quasi del tutto acritica ingoia con entusiasmo.

Diffidiamo di chi la fa facile quando si usano paroloni come diritti. Che cosa è un diritto? E che cos’è un “diritto soggettivo”, cioè esistente a prescindere da leggi e istituzioni? Nessuno sembra porsi il problema eppure accademici, giuristi, filosofi, politologi, sociologi sanno che la questione dei diritti è materia complessa e controversa, intorno alla quale si affrontano scuole diverse di pensiero.

Non esiste una definizione unica di cosa sia un diritto, caso mai c’è un certo accordo intorno all’esistenza di diritti oggettivi – cioè iscritti in qualche carta, legge, documento, istituzione che una comunità riconosce come validi – e diritti soggettivi, “inalienabili”. Ma qual è il fondamento di questi diritti che esistono “a prescindere”?  Per i credenti tale fondamento è trascendente: risale a Dio creatore e alla Rivelazione divina. Per la dottrina giuridica detta giusnaturalista detto fondamento è iscritto nella Natura: questa ha le sue leggi che l’uomo non può violare impunemente.

Secondo altri ancora è la Ragione: cioè quell’attributo proprio dell’essere umano che rende una comunità capace di produrre norme universalmente valide. Questa capacità però, secondo diversi filoni di pensiero contemporaneo, non produce leggi immutabili come quelle della natura (che l’uomo si limita a scoprire) ma bensì leggi che cambiano a seconda del modo in cui di volta in volta, in determinate circostanze storiche e contesti culturali, le comunità umane interpretano la loro realtà.

E poiché la società occidentale contemporanea respinge – quale fondamento del processo di produzione normativa – Dio o la Natura o la Ragione con la maiuscola, se respinge la validità di un riferimento alla trascendenza ma anche la divinizzazione della natura propria degli antichi e quella della ragione propria dell’illuminismo, essa non può che accordarsi sul fatto che ogni processo di produzione normativa sia frutto di una interpretazione collettiva. E che quindi le leggi, o perlomeno le grandi leggi, le leggi importanti (come le leggi costituzionali) sono anche un discorso sulla società, una descrizione sul suo modo di essere. O, secondo una citatissima espressione di Stefano Rodotà, il grande giurista recentemente scomparso, che esse si configurano come un “apparato simbolico che struttura un’organizzazione sociale”.

La prima ovvia conseguenza è che quando si produce una “grande legge” bisognerebbe essere cauti, dare la parola agli scienziati (sempreché essi siano ancora liberi di esprimersi) prima che agli influencer, al popolo (sempreché non lo si confonda con i populisti) prima che alle lobbies, alla sfera pubblica critica (sempreché esista ancora) prima che al sistema dei media. La seconda conseguenza è che bisognerebbe distinguere tra effetti pratici attesi dall’applicazione della norma e effetti simbolici prodotti dalla norma a prescindere dalla sua applicazione.

Siamo sicuri che il ddl Zan avrà per effetto di impedire a un idiota di insultare un gay o a un delinquente di pestare un transessuale? Lo negano i Wu Ming in un articolo del 2006  che analizza con particolare finezza psicologica gli effetti paradossali della legge Mancino la quale, al pari del proibizionismo, sembra aver favorito il pullulare di bulletti naziskin di periferia alla ricerca del brivido della trasgressione. Lo stesso sembra avvenire oggi con il moltiplicarsi di aggressioni che i media inquadrano come omofobe: bande di ottusi ragazzotti vogliosi di menar le mani a contendere la palma di martiri della trasgressione ai partecipanti alle gioiose baccanali del sesso alternativo.  

Mentre è altamente incerto che se il ddl Zan passa diminuiranno insulti e pestaggi a danno di omosessuali e altri esponenti di sessualità eterodosse, mentre è più che probabile che non diminuiranno i fenomeni di esclusione, marginalizzazione e produzione di capri espiatori che possono manifestarsi in forme perfettamente asettiche e non perseguibili nemmeno dai più occhiuti pretori o presidi scolastici (tipo il ragazzino che non viene mai invitato alle feste di compleanno, la ragazzina che nessuno invita a ballare alla festa della scuola), è incontrovertibile che il ddl Zan si propone di creare un nuovo modello di società i cui capisaldi sono contenuti nell’articolo 1. Di esso è già stato scritto tutto il possibile sicché basta ricordarli al volo: separazione tra sesso biologico e anagrafico (comma a); introduzione di un nuovo concetto di “genere” quale rapporto tra comportamento individuale e aspettative sociali (comma b); creazione della categoria di “orientamento sessuale” quale modalità di classificazione degli esseri umani in base a forme predefinite di comportamento sessuale (comma c); introduzione del nuovo concetto di “identità di genere” in sostituzione del vecchio concetto socio-psicologica di identificazione sessuale (comma d).

Le aporie logiche e financo sintattiche di questo articolo sono tali da richiedere una trattazione a parte. Qui basta osservare che si sta producendo un nuovo sistema di classificazione cui viene attribuita particolare rilevanza sociale e penale. Ora la classificazione è uno degli strumenti basilari con cui operano le leggi e le politiche pubbliche. Ogni sistema di classificazione ha elementi di arbitrarietà e di rigidità e tuttavia può venire mutato da una nuova legge: si pensi alla maggiore età o all’età del consenso per un rapporto sessuale. Passare da un sistema di classificazione a un altro ha conseguenze non solo pratiche ma altamente simboliche in cui si iscrive una complessa redistribuzione di valori positivi o negativi a seconda dei destinatari. 

Smettiamola dunque di parlare di diritti come cosa talmente semplice, buona e bella che chiunque li metta in discussione non può che essere un malvagio prevaricatore. Sfatiamo’idea che ogni limitazione di un diritto sia deplorevole (quasi tutti i diritti hanno dei limiti) e sfatiamo anche l’idea che il ddl Zan dia diritti agli uni senza togliere nulla agli altri (quasi ogni riconoscimento di diritti è a somma zero). La costruzione ad hoc di nuove categorie – nessuna categoria giuridicamente rilevante si dà in natura – fa si che a fronte di una tutta ipotetica tutela di certi diritti si procede ad una sicura limitazione di altri.

Se l’articolo 1 ridisegna il modello sociale l’articolo 4 rovescia la gerarchia dei diritti. Esso consta, nella sua brevità, di due parti ambedue gravide di conseguenze. La prima recita: “Ai fini della presente legge sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni …” e questo dovrebbe farci sobbalzare. Non è questo un assunto implicito di qualsiasi legge? Lo è. Infatti se qui tale assunto viene esplicitato è al fine di limitarlo, subito dopo, con la riserva “purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”. Ovvero l’esercizio concreto della libertà di espressione viene subordinato alla minaccia di una ipotetica responsabilità penale.

Ogni società ha la sua gerarchia di diritti. Quando al primo anno di università studiavo diritto privato ci ho messo pochissimo  capire che la tutela della proprietà era superiore alla tutela della persona. Il ddl Zan vuole dare alla tutela della libertà di espressione della propria sessualità priorità rispetto alla tutela della libertà di espressione tout court. Ciascuno può trarne le conseguenze. Ma per favore smettiamola di farla facile sui diritti. Il ddl Zan non serve a tutelare diritti, serve a produrre un nuovo ordine simbolico.