Dieci anni fa la strage di UtØya

Esattamente dieci anni fa, il 22 luglio del 2011, un giovane estremista di destra, Anders Breivik, travestito da poliziotto e armato fino ai denti, sbarcò sull’isola norvegese di UtØya dove era in corso un campeggio di giovani militanti del partito laburista norvegese. Cominciò subito a far fuoco dando inizio ad una carneficina che alla fine della giornata lasciò sul terreno i corpi straziati di sessantanove giovani.

Fu per lui un’eccitante battuta di caccia. Cercò le sue vittime come fossero selvaggina per i sentieri dell’isola, nella boscaglia, in riva al mare, con metodo e determinazione, a volte con crudele astuzia, fingendo di essere un poliziotto venuto a proteggere quei ragazzi. Quel giorno sull’isola egli non ebbe un solo momento di dubbio, men che meno di pietà. 

Quella non fu l’unica impresa di Anders Breivik; qualche ora prima aveva fatto esplodere un furgone carico di dinamite nei pressi del parlamento di Oslo uccidendo altre otto persone. Non ritenne che quelle vittime fossero state sufficienti e fu per questa ragione che decise di mettere in atto il suo piano B, piano che prevedeva appunto lo sbarco in quella ridente isola dove i giovani laburisti, quasi tutti studenti fra i quattordici e i diciannove anni, erano convenuti pensando di trascorrere qualche giorno sereno, in amicizia e allegria, magari anche cominciando ad occuparsi seriamente dei temi grandi ed importanti della politica. 

Lo spietato assassino di UtØya non era un povero pazzo posseduto da una legione di demoni, perso tra i fumi di un odio patologico, non pienamente responsabile delle sue azioni. O perlomeno, la sua personalità e soprattutto le sue azioni non sono spiegabili con una tutto sommato rassicurante patologia psichiatrica. La vita precedente all’impresa, che gli ha dato tristissima fama planetaria, non è forse la vita migliore che si possa desiderare per un bambino, per un adolescente e per un giovane uomo, ma sicuramente non c’è nulla nel suo passato che possa anche solo minimamente, non si dice giustificare, ma nemmeno rendere ragione dell’orrore di cui è stato capace.

Anders Breivik fu un bambino e un adolescente solitario, figlio di un diplomatico norvegese che ben presto abbandonò la moglie, per vivere la sua vita altrove, in paesi esteri e si occuperà molto poco, praticamente non si occuperà per niente, di questo suo figlio. Ma la triste realtà di quella che sociologhi e psicologi chiamano focolare infranto non può spiegare in alcun modo la strage di UtØya. 

Racconta Asne Seierstad, giornalista e scrittrice norvegese, nel suo bel libro che ha titolo Uno di noi, edito in Italia da Rizzoli, dove racconta e analizza a fondo tutta questa terribile vicenda, che ben presto Breivik si farà writer, cioè andrà a unirsi a quei giovani che amano nottetempo imbrattare muri e vagoni di treni della metropolitana con bizzarri scarabocchi, non una cosa encomiabile, ma niente di particolarmente terribile e di patologico; e poi crescendo si farà promotore finanziario e fruitore  compulsivo di videogiochi e di giochi di ruolo online. 

Ancora niente di particolarmente inquietante, almeno in apparenza. Quello che però cresce con lui e si impossessa di lui sempre di più è un terribile senso di frustrazione; il ragazzo non riesce ad uscire dall’anonimato, abbandona gli studi e si rifugia sempre di più in un suo mondo virtuale.

Si dà poi alla politica, si iscrive al partito di destra norvegese Partito del Progresso, partito importante in quel paese, ma anche qui non riesce ad emergere ed il suo senso di frustrazione cresce e matura in lui sempre di più orientandolo all’odio verso gli immigrati, verso l’Islam e verso il partito Laburista che secondo lui avrebbe permesso e sarebbe stato responsabile di una supposta invasione islamica.

Il processo stabilirà che Anders Breivik, benché affetto da un narcisismo al limite del patologico, era al momento dei terribili atti da lui compiuti perfettamente in grado di intendere e di volere, e l’esplosione di violenza devastante di cui si rese protagonista, anche se grazie a Dio resta un episodio relativamente isolato, che però troverà tristi epigoni anche altrove, si pensi alla strage di Christchurch e al nostro Luca Traini con la sua tentata strage di immigrati a Macerata, non fu l’atto di un folle, ma la lucida messa in opera di tutta una serie di convincimenti e di teorie che fanno parte integrante del bagaglio ideologico di una destra politica non necessariamente estrema. Breivik fu lettore appassionato tra l’altro anche di Oriana Fallaci. 

Sessantanove giovani cancellati, annullati, e altri feriti e mutilati che saranno costretti a portare le conseguenze di quel terribile giorno per il resto della vita, in una giornata di sole che doveva essere allegra e spensierata, con l’allegria e la spensieratezza come solo a quell’età si può provare, e che invece si trasformò in un incubo senza fine. 

Erano giovani norvegesi, ma non tutti. Fra di loro c’era anche qualche profugo curdo. Certo la stragrande maggioranza di loro non erano musulmani, ma sono stati uccisi vittime dell’odio bestiale che ha per oggetto l’Islam. Che Dio ne abbia misericordia e consoli il dolore delle loro famiglie.