“Il Messaggio” di Moustapha Akkad deve essere nuovamente visto da tutti

L’epopea del regista Moustapha Akkad, “Il Messaggio”, è diventata un fenomeno culturale già prima della sua uscita e fino ad oggi continua ad essere una pietra miliare nella cultura cinematografica del mondo islamico

È trascorso più di un mese da quando ho avuto il privilegio di partecipare all’evento di gala per il restauro in 4K dell’epico “Il Messaggio” di Moustapha Akkad girato nel 1976, e ho lasciato che l’esperienza mi maturasse dentro per un po’ di tempo. Il film forse più celebre dell’iconico regista e produttore – e forse quello più riconoscibile e famoso sull’Islam e in particolare sul Profeta Muhammad – è davvero un’esperienza diversa da tutte le altre. Un’esperienza che resiste particolarmente bene – e in tutto lo splendore 4K – anche a 45 anni dal suo debutto. Un film i cui messaggi dovrebbero riecheggiare ancor di più davanti al pubblico attuale.

Se c’è una cosa di cui si può essere certi è che “Il Messaggio” occupa un posto talmente importante nel mondo islamico che quasi tutti i musulmani devono averlo guardato almeno una volta nella loro vita.

È il film che caratterizza il primo approccio della maggior parte dei bambini con un’opera d’arte cinematografica islamica. Soprattutto in Turchia, dove è conosciuto come “Çağrı” – tradotto “The Call” – questo film è caro e nei cuori della maggior parte delle persone. So di averlo visto più volte durante la mia infanzia e so per certo che anche molti altri lo hanno visto.

È un caso curioso, un fenomeno la cui spiegazione quasi sempre mi sfugge e che non pretendo di capire, né di avere un altro esempio a cui appellarmi per dire “È l’equivalente islamico di quello!”.

Il suo impatto sulla cultura non è quantificabile; il peso che ha avuto sui suoi creatori è incommensurabile; la sua portata in tutto il mondo è inimmaginabile; la sua eredità attraverso i decenni è ineguagliabile.

Analizzare un’opera così emblematica esclusivamente per i suoi aspetti tecnici sarebbe come farle un torto, quindi è necessario un po’ di storia per capire i motivi per cui “Il Messaggio” suscita sentimenti così forti.

Un ‘messaggio’ per secoli

Akkad, produttore cinematografico e regista siro-americano, è nato il 1 luglio del 1930 ad Aleppo. Appassionato di cinema, Akkad desiderava sfondare nell’industria cinematografica. A soli 18 anni, con appena 200 dollari a disposizione e una copia del Corano a fargli compagnia, era giunto per lui il momento di partire per gli Stati Uniti – e forse queste sono state le prime avvisaglie di quella che sarebbe diventata una carriera straordinaria nel mondo del cinema.

Ha studiato regia e produzione cinematografica presso la prestigiosa University of California, Los Angeles, conseguendo il master presso la University of Southern California.

La sua più grande avventura nel mondo del cinema è stata anche la sua prima regia, e si è trattato di un compito davvero colossale portare sul grande schermo la storia, la vita e il messaggio del Profeta Muhammad.

Akkad aveva una visione, un obbligo personale, sentiva di avere un dovere da compiere che lo obbligava a diffondere Il Messaggio. Ha spiegato cosa doveva rappresentare quel messaggio mentre cercava di produrre un film su Salah ad-Din, o Saladino, il primo sultano sia dell’Egitto che della Siria, e fondatore della dinastia Ayyubide, che, se le cose fossero andate diversamente, avrebbe avuto come protagonista Sean Connery.

“In questo momento l’Islam viene dipinto come una religione terroristica. Poiché alcuni terroristi sono musulmani, l’intera religione ha questa immagine. Se mai c’è stata una guerra religiosa piena di terrore, è stata quella delle crociate. Ma non si può incolpare il cristianesimo perché alcuni avventurieri hanno fatto questo”, ha detto. “Questo è il mio messaggio”.

Voleva portare un ritratto dell’Islam che rappresentasse accuratamente l’attualità della religione e delle persone che la vivevano quotidianamente, e la passione di quelle persone. Una religione il cui messaggio di pace si è perso nelle trame occidentali della sua rappresentazione.

È stata un’opportunità per purificare il messaggio e diffonderlo in tutto l’Occidente, un’opportunità che poteva colmare il divario tra il mondo occidentale e quello musulmano. Il tutto mantenendo l’integrità e il valore artistico che avrebbero reso “Il Messaggio” un classico senza tempo.

“Oltre al suo valore come produzione cinematografica, ha la sua storia, i suoi intrighi, i suoi drammi”, ha detto. “Oltre a tutto questo, credo ci fosse qualcosa di personale: essendo io stesso un musulmano che viveva in Occidente, sentivo che era mio obbligo, mio dovere, dire la verità sull’Islam. È una religione che ha 700 milioni di seguaci, eppure è così poco conosciuta, il che mi ha sorpreso. Ho pensato che avrei dovuto raccontare la storia che avrebbe gettato questo ponte, che avrebbe colmato questo divario con l’Occidente”, ha spiegato.

Tuttavia, questo ideale, questo messaggio, portava con sé sfide monumentali.

Il messaggio, i messaggeri

Un tentativo così imponente come quello di “Il Messaggio” non poteva permettersi elementi deboli nel suo gruppo. Quindi, è una bella impresa che Akkad sia riuscito a mettere insieme un cast che ha interpretato i propri ruoli in modo eccellente. Da Anthony Quinn a Irene Papas, Michael Ansara, Johnny Sekka, Michael Forest, Andre Morell, Garrick Hagon, Damien Thomas e Martin Benson.

Tuttavia, se si considerano le sfide che la produzione ha dovuto affrontare, il cast è stato forse la parte più facile.

All’inizio, i governi di Kuwait, Libia e Marocco avevano promesso di sostenere il film.

Akkad desiderava fortemente rispettare al massimo l’argomento trattato. Quindi, nel tentativo di essere rispettoso – nei confronti dell’Islam e delle opinioni sulla rappresentazione del Profeta Muhammad – ha dapprima consultato diversi religiosi islamici.

Voleva raccogliere il sostegno del mondo islamico, desiderava l’unità, non solo per assicurarsi che venisse prestato il necessario rispetto, ma anche per fornire al film la necessaria legittimità agli occhi di molti musulmani appassionati e dei molti che non avevano familiarità con la religione .

Ha dapprima ricevuto l’approvazione dall’Università Al-Azhar del Cairo, in Egitto. Poi l’approvazione è stata data anche dagli studiosi sciiti in Iran. Rimaneva ancora la Lega Musulmana Mondiale a Mecca, in Arabia Saudita. A causa di incomprensioni e di indiscrezioni che avevano perpetuato il mito secondo cui Anthony Quinn avrebbe effettivamente interpretato il profeta Muhammad – contrariamente alla tradizione islamica che vieta qualsiasi rappresentazione diretta di figure religiose, in particolare del Profeta – la richiesta di approvazione venne respinta.

Le indiscrezioni a proposito di Quinn non avrebbero potuto essere più lontane dalla verità poiché il film non solo non mostrava il Profeta Muhammad, ma applicava lo stesso rispetto e la stessa regola anche alla famiglia allargata del Profeta, comprese le sue figlie Fatimah, Zainab, Umm Kulthum e Ruqayyah, i suoi generi e persino i primi califfi – Abu Bakr, Umar, Uthman e Ali ibn Abi Talib.

Tuttavia, dopo il rifiuto della Lega Musulmana Mondiale, anche l’emiro Sabah III Al-Salim Al-Sabah del Kuwait ritirò il sostegno finanziario. Il re Hassan II del Marocco sostenne la produzione di Akkad, mentre l’allora leader libico Moammar Gheddafi ha sempre continuato a fornire la maggior parte degli aiuti finanziari per il progetto.

La produzione ebbe inizio in Marocco e quasi tutte le scenografie vennero progettate e costruite nel paese nordafricano con la massima precisione possibile, compresi i set della Mecca, della Kaaba e di Medina. Dopo sei mesi trascorsi in Marocco, il governo saudita esercitò forti pressioni sul Marocco affinché interrompesse la produzione. Il re Hassan II quindi comunicò ad Akkad che non poteva fare nulla e che dovevano lasciare il paese entro quindici giorni.

All’avvicinarsi della scadenza, Akkad riuscì ad ottenere un incontro con Gheddafi al quale mostrò le scene che erano riusciti a girare in Marocco, scene che commossero profondamente il capo di stato libico. Rimasto colpito da ciò che aveva visto, Gheddafi diede il permesso al proseguimento della produzione sul territorio libico. Altri sei mesi e il film era completato.

Una caratteristica interessante della produzione è che Akkad ha girato contemporaneamente due versioni del film, una in inglese e una in arabo con un cast composto da arabi. Riteneva che il semplice doppiaggio dell’inglese all’arabo avrebbe limitato l’impatto e il messaggio del film. Decise quindi che vi sarebbero stati un film per l’Occidente e uno per l’Oriente.

Un’eredità che rimane

Ci sono stati molti altri ostacoli lungo il percorso, fino all’uscita del film e anche dopo, troppi da contare, ma Akkad li ha sempre superati brillantemente.

Il risultato è stato un’epopea come non se ne trovano più, né a Hollywood, né da nessun’altra parte in Oriente.

La magistrale colonna sonora composta da Maurice Jarre – nominato agli Oscar per la “Miglior colonna sonora originale” che, solo per avere avuto la sfortuna di scontrarsi con la suite di John Williams per “Star Wars”, ha perso – ha innalzato quasi tutte le scene ad alti livelli.

Gli attori, Quinn in particolare, hanno aggiunto la necessaria solennità ai loro ruoli e un grado di sincerità difficile da trovare in altre pellicole. Le riprese non possono essere descritte altro che come epiche. Le scene, i set, i luoghi dimostrano quanta cura sia stata posta nella produzione.

Tutto faceva pensare ad una grande epopea musulmana – che ricorda un po’ l’epoca di Hollywood in cui epopee come Ben Hur regnavano sovrane – ma, nonostante tutta la grandiosità, il cuore del film non è mai stato dimenticato. L’intera pellicola si concentra sul messaggio e sul Messaggero di Allah.

Pace, unità, compassione … Coraggio di fronte all’avversario, tutto questo è stato intessuto nell’arazzo del film. Le grandi scenografie e le grandi battaglie potrebbero essere state il punto di forza per alcuni, ma per quasi tutti il messaggio e i messaggi sono in primo piano.

Il motivo per cui l’eredità di “Il Messaggio” è arrivata fino ai giorni nostri, e che giustifica un magnifico restauro in 4K del negativo originale, è stato principalmente il suo messaggio.

Siamo stati così fortunati per il fatto di aver potuto assistere all’epopea storica di Akkad che è stata di per sé una pietra miliare della storia.

E il restauro fa un ottimo lavoro nel diffondere questo messaggio in condizioni perfette.

 

Articolo di Ahmet Koçak pubblicato sul quotidiano turco Daily Sabah