Insulti al Profeta in India: i paesi islamici ottengono sanzioni per due membri del BJP

L’unione fa la forza: un blocco di Paesi islamici ha portato alla sospensione di due membri del BJP indiano che hanno offeso il Profeta Muhammad. 

Il BJP, partito indiano al governo dal 2014 (con circa 110 milioni di membri è il più grande partito politico al mondo), è al centro di una grave controversia internazionale in seguito agli insulti contro il Profeta Muhammad lanciati, nei giorni scorsi, da due dei suoi rappresentanti di alto livello: la portavoce Nupur Sharma e il capo delle operazioni mediatiche Naveen Kumar Jindal.

Gli insulti hanno suscitato forti proteste da parte dei fedeli musulmani nella città di Kanpur e la polizia indiana ha reagito con la forza, aumentando il livello già alto di tensione. La gravità dei fatti, a partire dalla odiosa mancanza di rispetto nei confronti della seconda religione del paese, ha travalicato i confini del subcontinente.

L’India è stata letteralmente sommersa di proteste da parte di un numero via via crescente di paesi musulmani: il Qatar, l’Arabia Saudita e i paesi del Golfo in testa ma una netta posizione di condanna è stata espressa (per fare solo alcuni esempi) da Turchia, Indonesia, Malesia, Pakistan, Afghanistan, Iran, Libia, fino a paesi più piccoli come le Maldive. Al coro di proteste si sono aggiunti avvertimenti di possibili boicottaggi di prodotti indiani e di ripercussioni diplomatiche.

Merita menzionare che oltre ai singoli paesi si sono associate, nell’indignazione, importanti organizzazioni islamiche internazionali, ad esempio l’OIC (Organisation of Islamic Cooperation), la GCC (Gulf Cooperation Council) e la Muslim World League. La stessa Al Azhar University del Cairo ha preso una posizione inequivocabile, stigmatizzando i commenti contro il Profeta Muhammad come una forma di “autentico terrorismo”.

Un’ondata di violenza investe i musulmani indiani

Il BJP è dovuto, necessariamente, correre ai ripari,  sospendendo la portavoce Nupur Sharma ed espellendo Naveen Kumar Jindal (malgrado abbia fatto pubblica ammenda) dal partito. 

La mossa concertata di un numero considerevole di Paesi islamici è stata ampiamente apprezzata nel mondo musulmano. È stato del resto chiarito che era necessario dare all’India un segnale forte a fronte dell’altissimo grado di islamofobia sistematica che si respira, oramai da anni, nel paese. Abbiamo pubblicato altri articoli al riguardo, sottolineando come le condizioni di vita siano diventate davvero difficili per i musulmani che vivono nel gigante asiatico (di cui rappresentano circa il 13% della popolazione).

I gravi episodi che hanno coinvolto Sharma e Jindal non rappresentano, dunque, un caso isolato. A questo proposito merita segnalare che il segretario di stato americano Antony Blinken ha dichiarato, la settimana scorsa, che “alcuni funzionari, in India, ignorano o addirittura supportano il numero crescente di attacchi a persone e luoghi di culto” (nella quasi generalità dei casi: moschee perché sono fondamentalmente i musulmani, tra le minoranze religiose, a essere nel mirino della politica fortemente identitaria del BJP). 

I Ministeri per gli Affari Esteri del blocco dei Paesi islamici hanno, a loro volta, rimarcato che l’islamofobia indiana è un ostacolo alla sicurezza e alla pace internazionale che passa anche attraverso il rispetto dei simboli religiosi. 

L’azione comune di questi Paesi potrebbe promuovere una nuova era nella politica internazionale dei Paesi islamici. Un ottimo segnale è la mobilitazione di paesi a maggioranza sunnita e anche dell’Iran. Uniti si vince e una maggiore unità della comunità islamica internazionale è sicuramente necessaria per affrontare meglio i problemi laceranti di diverse comunità musulmane locali: in Kashmir, nello Xinjiang, in Myanmar e nella martoriata Palestina, per fare solo alcuni, drammatici, esempi. 

Forse merita richiamare alla memoria la figura di Ibn Battuta, il grande viaggiatore del quattordicesimo secolo che, partendo dalla sua Tangeri per compiere il pellegrinaggio alla Mecca, viaggiò per circa 16 anni in diversi paesi del Dar al-Islam, sentendosi ovunque a casa perché solo raramente (precisamente durante un suo “difficile” soggiorno in Cina) superò i confini della Umma. E la grande Umma, con la sua fondamentale omogeneità (pur a fronte di inevitabili differenze e criticità) era, per lui, famiglia e, appunto, casa!