I 60 anni di liberazione Algerina e il rock impegnato degli ALGIERS

Il 5 luglio è stata la ricorrenza della Liberazione dell’Algeria. La dura lotta di rivoluzione per l’Indipendenza lunga 8 anni, da cui il FNL non sarebbe mai più tornato indietro e risolta solo dal ritorno in scena di De Gaulle dopo 132 anni di occupazione francese.  

Quest’anno sono stati 60 anni. La lotta algerina per la libertà ha incitato e continua ad incitare tutti i popoli oppressi. E’ di Amilcar Cabral, uno dei più importanti ideologi e politici dell’intero processo di decolonizzazione africano, la frase “I cristiani vanno in Vaticano, i musulmani alla Mecca e i rivoluzionari ad Algeri“.
Il 5 luglio,  sulla pagina Instagram degli ALGIERS, la rock band statunitense che, proprio per celebrare il valore di questa rivoluzione, sceglie di chiamarsi così, troviamo: “L’Algeria è il paese che ha ispirato i rivoluzionari anticolonialisti da Oakland al Mozambico, dalla Palestina al Vietnam!”

Era il 1956 quando l’opinione pubblica mondiale assiste inorridita alla brutalità dell’esercito francese teso a reprimere a ogni costo la più famosa delle battaglie di Liberazione. La rivolta di Algeri, soffocata nel sangue.

La ribellione inizia nel ’54. L’Algeria è colonia dal 1883 e la Francia la considera francese come dichiara il primo ministro Mendès-France: “Non si può giungere a compromessi quando si tratta di difendere la pace interna della Nazione, l’unità e integrità della Repubblica. I dipartimenti algerini sono irrevocabilmente francesi (…) non è concepibile alcuna secessione”.

Sullo sfondo della prima metà degli anni 50  tutti i movimenti indipendentisti degli Stati dell’Africa settentrionale – Libia, Egitto, Marocco e Tunisia – stanno accelerando il processo di decolonizzazione. 

L’esercito francese ha appena riportato la grave sconfitta dall’Indocina, e vengono impiegate ingenti forze per schiacciare la rivolta degli Indipendentisti Algerini. Vengono messe a punto nuove strategie di “guerra contro-sovversiva”, tecniche inedite. E tutto è inutile. La Rivolta Algerina subisce pesantemente la repressione ma non indietreggia.

La Francia deve riconoscere che l’Algeria non intende ritirarsi.

A settembre 1959, De Gaulle indice il referendum  per l’Indipendenza Nazionale.

A gennaio 1961, è ufficiale che gli Algerini hanno scelto l’autodeterminazione.

A marzo 1962, entrano in vigore gli Accordi di Evian, firmati da entrambe le parti. Ma è soltanto il giorno prima che si concorda il cessate il fuoco definitivo tra i due paesi.

La stima delle vite perdute in questa guerra non è mai stata confermata ma potrebbe avvicinarsi a un milione di morti.

Per la celebrazione dei 60 anni, una grande parata militare è stata organizzata dall’esercito algerino e ha sfilato sull’autostrada adiacente alla Moschea di Algeri (la terza moschea più grande del mondo) nel mezzo della baia della Capitale. Il presidente Abdelmadjid Tebboune ha concesso cinque decreti di grazia per detenuti. I rappresentanti di Stato occidentali hanno partecipato in varie modalità e forme alla celebrazione, e forse anche perché la partita sulla fornitura di gas si sta giocando proprio in questi giorni in campo algerino. 

Ma il più grande tributo alla storia dell’Indipendenza Algerina, credo che venga proprio dagli ALGIERS, questa potentissima e impegnatissima e centratissima rock band statunitense.

Franklin James Fisher, Ryan Mahan, Lee Tesche e Matt Tong, che entra stabile in seconda battuta, sono uomini pieni di passione, di cuore, di cultura storica e musicale e di voglia di creare connessioni. 

Sono musica militante, impegno, coscienza critica, fervore rivoluzionario.

La rivoluzione sonora degli ALGIERS riparte dalle radici del blues, dei gospel e della musica nera di protesta, ma si alimenta di tutte le variabili che hanno preservato nella storia le sue radici popolari, dove si innestano industrial, un rinnovato fragore punk, magistrale l’uso del synth e una forte enfasi sulle trame atonali per ottenere quel groove  apocalittico.

Il situazionismo ritorna, nella nostra epoca di ingiustizie economiche e sociali e d’informazione, come motore culturale del confronto critico, come testimoniano le loro del tutto inconsuete interviste.

E’ la loro capacità di muoversi trasversalmente dentro i generi musicali e stili disparati, creando equilibri eleganti e saldi, ottenendo un suono tanto originale, quanto risolto, il vero fascino della musica degli ALGIERS.

In tutti i loro album, senza eccezioni, è evidente la grande cura del dettaglio e dell’arrangiamento. E soluzioni mai ovvie, mai facili. Il tutto con un suono personalissimo, moderno e senza compromessi. 

E’ stato scritto che se Nick Cave fosse nato in Africa, forse, canterebbe come Franklin James Fisher. Non lo so. La voce di Fisher, la sua timbrica, così come la sua interpretazione dei testi, il suo proprio modo di aderire con tutto il corpo al brano, lo rende un interprete davvero unico. 

Non è scontato trovare una musica così coraggiosamente ricca di rimandi e colta di riferimenti, non solo musicali ma anche poetici, filosofici e politici, capace di mettere insieme in maniera coerente e innovativa mondi tanto diametrali. E convincercene appieno.

Ecco quello che per me si intende con celebrare: farsi toccare da una così potente ispirazione e portarla nel proprio ordinario, riuscire a prenderla e mantenerla, nello scambio e nel silenzio, e perfino nel nome.