Il direttore del museo egizio di Torino è di nuovo nel mirino della destra

Nel febbraio del 2018, il direttore del museo Egizio di Torino, Christian Greco, ha una bella idea, si inventa un’iniziativa per incrementare le visite nel suo importante museo incentivando i visitatori arabi con lo slogan, “fortunato chi parla arabo”. È previsto infatti un forte sconto sul biglietto d’entrata ai visitatori arabofoni. A quanto dichiarato dallo stesso Greco, la promozione era soprattutto rivolta ai potenziali visitatori egiziani. 

Voleva in buona sostanza essere un atto di omaggio all’Egitto, la terra che è stata culla della civiltà egizia, sì, proprio quella delle piramidi e dei faraoni; una civiltà durata circa quattromila anni, di cui, sic transit gloria mundi, restano oggi solo importanti e affascinanti vestigia, in parte ancora visibili nei luoghi d’origine come i maestosi monumenti di Giza, alla periferia del Cairo, quelli di cui qualche maligno dice che se la Sfinge e le piramidi fossero state un po’ più piccine ora starebbero a Londra, magari anche loro al British Museum, ma questo è un altro discorso. 

Altri resti meno ingombranti, decisamente più comodi da trasportare, ritrovati all’interno delle piramidi, nelle sepolture dei faraoni, nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, sono stati smontati, catalogati e ora fanno bella mostra di sé nei musei dedicati all’antico Egitto sparsi per il mondo. 

I musei egizi nel mondo sono una ventina, i più importanti si trovano a Il Cairo, Londra, Berlino, Washington, Parigi e, last but not least, Torino. 

Dunque quella del responsabile del museo di Torino, è stata un’iniziativa promozionale, del tutto innocente, e senza oscuri secondi fini, rivolta agli arabofoni. 

Come farà notare lo stesso Greco, iniziative di quel tipo erano state prese anche per favorire e incentivare le visite al museo di studenti e pensionati, portatori di handicap e altre categorie, riservando per loro biglietti di entrata a prezzi fortemente scontati.

Tutto bene? Per niente. Siamo nel febbraio del 2018 e il partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, naviga sul 4% dei consensi. La giovane e combattiva leader sta cercando di caratterizzare la sua piccola formazione politica, ritagliandosi uno spazio fra le altre due più importanti formazioni della destra italiana, Lega e Forza Italia, e lo fa accentuando gli aspetti identitari coi quali cerca di accarezzare e attrarre potenziali elettori.  

Quello è il periodo da cui oggi, come presidente del consiglio, ha preso, senza grandi clamori, saggiamente le distanze. Sono anni in cui accentua caratteristiche che allora come oggi si definiscono “sovraniste”, che la collocavano molto vicino al Fronte Nazionale Francese di Marine Le Pen, all’ungherese Orban, al polacco Kaczynski, insomma, alla destra europea più estrema. 

Nel mondo di Giorgia Meloni e del suo partito, ed è una vecchia storia, l’Islam è nemico, anzi, a volte si ha l’impressione che sia il nemico per antonomasia. I molti immigrati provenienti da paesi arabi e islamici, i loro “strani” costumi, le donne velate, le numerose sale di preghiera, ricavate in garage e scantinati, che sorgono un po’ ovunque, le sciagurate storie di terrorismo tanto bene evocate dalla Fallaci, inquietano, e sventolarne lo spauracchio paga. 

Alle elezioni di quell’anno, Fratelli d’Italia, nel suo programma inserirà un piuttosto fantasioso, ma per niente divertente “reato di fondamentalismo islamico”. 

E allora come una novella Giovanna d’Arco, Giorgia coglie al volo l’occasione e si precipita seguita da un codazzo di attivisti e simpatizzanti davanti al museo e inscena un edificante quadretto in cui, sempre attorniata dalla sua gente e da diversi giornalisti convocati per l’occasione, porta Christian Greco ad un confronto in strada, accusandolo di un’iniziativa discriminatoria nei confronti degli italiani, italiani che avrebbe discriminato su base religiosa, privilegiando, ohibò, i musulmani, anzi, come piace dire a destra, gli islamici. 

Prova il direttore a farle notare che in Egitto vivono e sono egiziani come gli altri anche milioni di copti, che sono cristiani, che essere arabo non significa di per sé essere musulmano; ma il vociare, la confusione creata dalla piccola folla che lo attornia, la petulante e disarmante insistenza della nostra futura presidente del consiglio, che, come spesso farà anche in seguito, facendone una specie di marco di fabbrica, si proclama cristiana, lo mettono comunque a disagio e le sue più che ragionevoli parole scivolano nel rumore e nella confusione del momento e, come un tappo di sughero tra i flutti di un impetuoso torrente, si perdono nel nulla. 

Da allora è trascorso un lustro, cinque anni in cui non tutto, ma parecchie cose sono cambiate. Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia, come sappiamo, ha saputo togliere spazio e voti ai partiti alleati, ha vinto le elezioni ed è presidente del consiglio dei ministri della Repubblica Italiana, ed è ora in altre faccende affaccendata. 

Sono stati dimenticati Torino e il museo Egizio, e il suo giovane direttore Christian Greco, un direttore che nel frattempo pare abbia dato prova di ottime capacità manageriale, portando i conti del museo in attivo e svolgendo un lavoro culturale tutt’altro che disprezzabile, ed è stata dimenticata quella vecchia storia di biglietti offerti a prezzo di favore a chi parla arabo? 

No, dopo cinque anni, quella vecchia storia torna a galla. L’assessore al Welfare del comune di Torino, tale Maurizio Marrone, di Fratelli d’Italia, in un’intervista al Corriere si dice contrario alla riconferma di Greco alla direzione del museo, le motivazioni sono vaghe, fumose, condensate in qualche battuta nella risposta all’ultima domanda dell’intervista. Nonostante gli ottimi risultati ottenuti da Greco, Marrone parla di non meglio specificate figure professionalmente più qualificate. E la cosa finisce lì. 

Chi invece va giù duro con il direttore del museo Egizio, e neppure tenta di confondere le acque per non essere accusato di voler né più né meno una vendetta politica, è il vicesegretario della Lega Andrea Crippa, che, in un’intervista ad Affari Italiani lo accusa di essere “ideologico e razzista contro gli italiani e i cittadini di religione cristiana”. Accusa, come si è visto totalmente infondata, basata sul nulla, ma sufficientemente ideologica per poter soddisfare gli istinti più belluini di un potenziale elettorato di cui la Lega cerca evidentemente il consenso.