Noi contro loro: come Oriente e Occidente raccontano il conflitto israelo-palestinese

Nell’intricato quadro di prospettive che circondano il conflitto israelo-palestinese, emerge una netta divergenza tra il mondo arabo-islamico e la sfera occidentale. Nel contesto arabo-islamico, Hamas incarna lo spirito di resistenza (muqawama), mentre Israele è visto come una forza di occupazione (quwwat al ihtilal).

Nella narrativa occidentale, Hamas è etichettato come un’entità terroristica e Israele è considerato un bastione della democrazia. Questa dicotomia si estende anche all’anticipazione dei discorsi, dove le parole di Abu Ubaidah risuonano nel mondo arabo-islamico, mentre i discorsi di Daniel Hagari sono ripresi in Occidente.

L’interpretazione delle vittime illumina ulteriormente il divario. Nel regno arabo-islamico, le morti palestinesi sono piante come martiri, mentre in Occidente sono spesso relegate a danni collaterali. Al contrario, le vittime israeliane sono percepite come civili in Occidente, ma sono caratterizzate come coloni nel mondo arabo-islamico.

La lente storica attraverso la quale viene vista la brutalità differisce drasticamente. Il mondo arabo-islamico racconta un secolo di brutalità inflitta da Israele, mentre la narrazione occidentale sembra iniziare il 7 ottobre 2023.

Persistono discrepanze nei resoconti delle vittime del 7 Ottobre, in cui il mondo arabo-islamico riconosce circostanze diverse, come soldati, danni collaterali, fuoco amico e incidenti dissociati. Al contrario, l’Occidente percepisce le 13.000 vittime civili come uno sfortunato incidente.

Anche la giustificazione delle azioni militari è in netto contrasto. I bombardamenti indiscriminati, il genocidio, e la pulizia etnica sono condannati come crimini nel mondo arabo-islamico, mentre la narrativa occidentale invoca il diritto all’autodifesa per giustificare gli eccidi.

Anche le conseguenze del ritiro di Israele da Gaza nel 2005 vengono interpretate in modo divergente. La prospettiva arabo-islamica ricorda il continuo controllo israeliano sui beni essenziali dei palestinesi – inclusi il mare, l’aria, i viveri, tutto -bollandolo come una continuazione dell’occupazione. In Occidente Gaza è considerata “libera”.

La dicotomia si estende alla caratterizzazione delle infrastrutture politiche. Il mondo arabo-islamico vede una struttura israeliana economica, militare, sociale e politica razzista come apartheid, mentre l’Occidente la si definisce democrazia.

Per svelare questo intricato dilemma globale, una prospettiva globale sfumata diventa imperativa. In questo intricato scontro di civiltà, la dicotomia nelle prospettive sul conflitto israelo-palestinese riflette non solo divergenze politiche ma anche la potenza della propaganda nelle narrazioni globali. La nozione chomskiana della propaganda come strumento di controllo sociale e politico si fa strada qui, dove le percezioni delle entità coinvolte sono plasmate dagli interessi politici e dalle strategie di comunicazione.

Per risolvere questo dilemma, è fondamentale abbracciare una prospettiva globale sfumata, basata sul diritto, e che vada oltre le narrazioni preconfezionate. Dobbiamo sfidare la semplice dicotomia tra noi e loro, democrazia e oppressione, selvaggi e civilizzati, e cercare di comprendere la complessità del contesto storico, culturale e politico. Solo attraverso un approccio più ampio e informato possiamo sperare di raggiungere una soluzione equa e duratura per entrambe le parti coinvolte.