A proposito della Pastora valdese sul crocifisso in Regione: Legge sulla libertà religiosa è una soluzione

Recentemente la pastora valdese Patrizia Mathieu, presidente del Concistoro di Torino si è espressa sulla questione dei crocifissi nello spazio pubblico sostenendo che “Le istituzioni di uno stato laico devono mantenere una corretta distanza dalle scelte dottrinali dei cittadini”.

In merito ci siamo espressi qualche giorno fa su queste schermate e al momento non abbiamo altro da dire. Quello che invece c’interessa in quanto confessione senza Intesa ex art.8 della Costituzione è il fatto che, nonostante i valdesi abbiano stipulato un’intesa con lo Stato, abbia spezzato una lancia a favore della promulgazione di una legge sulla libertà religiosa per tutti i cittadini.

Non è la prima volta che i valdesi sostengono questo, e senza riportare tutto il dibattito dalla prima proposta del pastore Domenico Maselli nel 2002 ci basti citare l’appello del febbraio 2018 ai candidati delle elezioni che si sarebbero svolte di li a poco nel quale si sosteneva tra l’altro “…urgenza di una legge complessiva su questa materia che affronti, tra gli altri, i seguenti temi: la libertà di esprimere liberamente la propria appartenenza religiosa senza che questo produca discriminazione alcuna nei luoghi di lavoro, nelle scuole e in ogni altro spazio sociale o pubblico; il diritto delle confessioni religiose a disporre di luoghi di culto riconosciuti pubblicamente come ambienti positivi anche sul piano sociale e culturale; l’autorizzazione ai ministri di culto riconosciuti di celebrare matrimoni con effetti civili; l’assistenza spirituale da parte di ministri di culto formati e riconosciuti come tali dallo Stato nelle carceri e nei luoghi di cura; il rispetto e la tutela delle norme alimentari e comportamentali delle varie confessioni in quanto non contrastino con la legge; l’accesso alla comunicazione sia attraverso media pubblici che privati; la possibilità di partecipare a progetti scolastici che abbiano collegamenti con le religioni, la loro storia e la loro presenza nello spazio pubblico”

La questione agita da decenni la comunità e i giuristi: è forse rispettosa dell’art. 3 della carta fondamentale, che recita testualmente: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche di condizioni personali e sociali” il fatto che qualcuno sia più uguale degli altri?

E cioè che i cattolici abbiano un concordato (un aberrazione giuridica che in forza di un trattato con uno Stato estero, il Vaticano, che regola i loro rapporti con il loro proprio Stato; altre confessioni israelita, protestante (sette intese), ortodossi, buddista (tre intese) e induista l’hanno conclusa mentre noi musulmani dovremmo accontentarci di vedere riconosciuta la nostra religione solo nell’ambito di un generico Religion Act?

Sono stato per anni (e lo sono ancora) fautore di un’Intesa e nel 1991 ho stilato per conto dell’U.CO.I.I. la prima bozza che fu presentata allo Stato Italiano ma in questo quasi trentennio ho capito che quello che ci insegna il fiqh (la giurisprudenza islamica) “tra due beni il maggiore e tra due mali il minore” è sacrosanto e che nelle more infinite dei rapporti musulmani-Stato italiano sarebbe possibile abbozzare e lavorare per una buona legge sulla libertà religiosa che ci consenta di ottenere quello che sinteticamente ricordava il passaggio del documento dei valdesi sopraccitato a cui aggiungere gli spazi cimiteriali.

Quanto poi alla scrittura della legge e al suo percorso sarà materia su cui potremo esprimerci più compitamente nel momento in cui un progetto in tal senso fosse depositato in almeno uno dei due rami del Parlamento.

La nostra comunità religiosa che conta 2,7 milioni di persone, oltre un milione dei quali cittadini italiani crede di averne diritto e dovrà impegnarsi solidalmente per ottenerlo.

Nessun commento

Lascia un commento sull'articolo