Storia del contributo matematico della civiltà islamica allo sviluppo del mondo moderno

Il trionfo della scienza, della tecnica e dell’industria 

A partire dalla rivoluzione scientifica, cioè dalla seconda metà del XVI secolo, per poi arrivare alle rivoluzioni industriali del XVIII e XIX secolo, l’Europa centro-occidentale è stata il motore del progresso scientifico e tecnologico. Ad oggi, dagli USA alla Cina, il modello dominante per la produzione delle tecnologie pervasive a diffusione planetaria è il capitalismo. Questo modello di sviluppo, con i suoi usi e costumi e con la sua omologazione culturale, si è diffuso in ogni contrada del pianeta ad economia avanzata, portando in tutte le metropoli le stesse catene commerciali di franchising.

L’apporto che le diverse civiltà e culture hanno dato al progresso in ogni campo del sapere andrebbe visto come una cooperazione, seppur involontaria e differita, per l’accrescimento di un patrimonio collettivo. Volendo però vederci una competizione si può oggettivamente dire che in ambito scientifico dal ‘600 e per circa tre secoli nel confronto con l’Europa non ce n’era per nessuno. In ambito letterario e filosofico la rinascita europea ha preceduto la sua rivoluzione scientifica e per l’Umanesimo e il Rinascimento è stato rilevante il contributo della cultura bizantina i cui eruditi migrarono in Europa, soprattutto nell’Italia culla del rinascimento, tra il Sacco di Costantinopoli (1204) da parte dei crociati cattolici ai danni degli ortodossi bizantini e la successiva conquista ottomana (1453). Per quanto riguarda invece il trionfo della scienza occidentale la questione della primogenitura insidia il senso di superiorità che questa parte del mondo ha sviluppato a partire dal periodo coloniale e soprattutto dal XIX secolo, molto più di quanto non lo faccia il debito nei confronti della cultura bizantina.

La rivoluzione scientifica inizia sostanzialmente con la pubblicazione del trattato Sulle rivoluzioni delle sfere celesti (1543) di Nicolò Copernico, astronomo polacco che aveva studiato in Italia e che era quindi europeo al 100%. Possiamo serenamente affermare che il sole al centro del nostro universo ce l’ha “messo” lui, perché sua fu la formulazione “corretta” del sistema eliocentrico (al netto delle successive formulazioni di Galileo, Keplero, Newton…).

Le elaborazioni precedenti più prossime a quelle di Copernico sono degli astronomi al-Tusi (XIII secolo) della scuola di Maragheg (nell’attuale Iran), e al-Shatir (XIV secolo) di Damasco. I modelli matematici utilizzati da al-Tusi e al-Shatir si ritrovano nel trattato di Copernico, in particolar modo la “coppia di al-Tus” ed il modello lunare di al-Shatir. E’ abbastanza probabile che queste elaborazioni arrivarono a Copernico filtrate da manoscritti bizantini, così come è nota l’influenza sul pensiero rinascimentale della critica al sistema tolemaico (geocentrico) da parte del filosofo andaluso Averroè (Ibn Rushd). Per quanto riguarda la cultura bizantina questa aveva avuto in diversi periodi scambi con quella islamica e tra il XII e XIV secolo è attestato l’interesse bizantino per l’astronomia sviluppata a Maragheg dove Gregorio Chioniade di Costantinopoli si recò per studiare e tradurre varie opere tra cui quelle di al-Tusi.

La coppia di al-Tusi nel manoscritto di al-Tusi (a sinistra) e nel trattato di Copernico (a destra)

Un’altra Storia per la matematica

Mettendo da parte le sterili competizioni sulla primogenitura di ogni determinato traguardo nella conoscenza (che è patrimonio dell’umanità), quello che sicuramente si può affermare è che la matematica è stata un fattore abilitante per la rivoluzione scientifica in quanto elemento imprescindibile del metodo scientifico, ed il suo stadio evolutivo nel ‘500 inglobava il contributo di tutte le civiltà che nel corso dei millenni erano entrate in contatto tra loro in momenti che sono risultati determinanti.

Questa sintesi escludeva grossomodo solo i contributi delle culture che fino a quel momento della Storia erano rimaste isolate dalle altre, come quelle d’oltreoceano prima della scoperta delle Americhe. Ma nessuna civiltà è mai stata refrattaria alla matematica e c’è ad esempio chi è giunto al Teorema di Pitagora senza entrare in contatto con l’antichità greca, come le antiche civiltà dell’India e della Cina. Questo dipende forse dal fatto che la matematica risuona della dimensione universale dell’essere umano ed è in grado di muoversi senza soluzione di continuità dalle necessità pratiche dell’homo technologicus all’afflato delle sue speculazioni filosofiche e mistiche.

Cifra dell’era moderna invece è stato il progressivo affermarsi della separazione tra gli studi scientifici e quelli umanistici a cui la società contemporanea ha aggiunto l’accantonamento definitivo della dimensione del sacro la cui marginalizzazione procedeva comunque da alcuni secoli. Einstein affermava che la nostra conoscenza della geometria euclidea è monca della visione che essa sottintendeva in epoca classica e Johann Wolfgang Goethe (1749-1832) è considerato l’ultimo uomo universale (sul penultimo non si hanno notizie certe) proprio perché oltre ad essere forse il più importante uomo di lettere in lingua tedesca era anche uno scienziato e, cosa che si tende ad occultare, nel tenere insieme metodo scientifico e metodo filosofico traeva ispirazione diretta dal Corano e dalla cultura islamica.

Le prime storie della matematica sono state scritte a cavallo tra il XIX ed il XX secolo quando cioè erano già a disposizione papiri egiziani e tavole d’argilla mesopotamiche che mostravano almeno 1500 anni di errore nella datazione di conoscenze che si pensava risalissero all’antica Grecia. In principio è comunque prevalsa la mentalità imperialista dei paesi europei colonizzatori e la storia della matematica che abbiamo iniziato a raccontarci era figlia del pensiero eurocentrico. Questa storia sostanzialmente iniziava nell’antica Grecia, passava per un dormiveglia di mille anni, cioè il Medioevo, a cui faceva seguito il risveglio europeo con la “magica” riscoperta della cultura greca di cui qui in Europa si sarebbe i “legittimi” eredi, poi si aveva l’Umanesimo e il Rinascimento e quindi l’era moderna.

Eppure il ruolo ad esempio della civiltà egizia, oltre ad essere ovviamente riconosciuto nell’antica Grecia, era noto agli europei del ‘700 (Atena nera, M.Bernal 1987), ma poi qualcosa nella mentalità di questa civiltà in meccanica ascesa si è incrinato. La massima mediazione possibile tra il pensiero eurocentrico e le fonti a disposizione all’epoca delle prime storie della matematica è stata riconoscere le conoscenze dell’antico Egitto e delle civiltà mesopotamiche come base di partenza della classicità, e riconoscere inoltre che quest’ultima ha avuto ulteriori sviluppi nel mondo ellenistico (che qualcuno considerava forse come troppo africano). Inoltre, parallelamente al dormiveglia pre Rinascimento di questa narrazione, ha fatto la sua comparsa una non meglio definita conservazione della cultura classica (tipo carne nel freezer) da parte della civiltà islamica ancora ostinatamente definita mondo arabo.

Oltre a sminuire il valore dei progressi raggiunti da chi ha portato la matematica alle soglie dell’era moderna, questa versione “corretta” della storia della matematica dal punto di vista del pensiero eurocentrico trascura ancora il ruolo di ogni altra cultura extraeuropea. La svista più grossa consiste nel non dare grosso peso al contributo di millenarie civiltà come quelle dell’India e della Cina. Il nodo da sciogliere stava tutto, ed in parte ancora sta, nell’affrontare la storia del Medioevo con serenità e senza la volontà di giungere alla conclusione di un’eterna superiorità, perché la pretesa di essere popolo eletto o razza superiore è stata bocciata dalla storia.

Come per la simultaneità del giorno e della notte a diverse longitudini, o dell’estate e dell’inverno a diverse latitudini, durante il Medioevo europeo si è avuta l’Epoca d’Oro della Civiltà Islamica che, anche dopo due secoli di crociate cattoliche (XII e XIII) a cui si sovrapposero le invasioni mongole (XIII secolo), arrivò comunque nel XVI secolo che da Calcutta alle porte di Vienna inanellava tre fiorenti imperi: l’Impero Moghul (subcontinente indiano), l’Impero Safavide (Persia) e L’impero Ottomano. Quest’ultimo all’epoca, cioè in pieno Rinascimento europeo, aveva il controllo delle coste ad est e a sud del Mediterraneo, da Ragusa (Croazia) fin quasi allo Stretto di Gibilterra.

Più ad ovest c’era il Regno del Marocco che viveva un periodo di effervescenza soprattutto con la dinastia sadiana e nell’Africa occidentale subsahariana c’era il ricco Impero Songhai con Timbuctu (attuale Mali) che era un’importante capitale intellettuale del mondo islamico (la civiltà islamica non ha mai depredato alcun territorio conquistato). Eppure, proprio nel XVI secolo il baricentro della produzione culturale iniziò a spostarsi laddove ancora si trova, nella civiltà occidentale, lasciando dietro di sé un progressivo deserto culturale.

Nel 1991 George Gheverghese Joseph ha pubblicato un saggio che rivoluziona la storia della matematica (ed. ita. 2000, C’era una volta un numero) in cui tratta in modo inedito ed approfondito le culture matematiche extraeuropee del passato proponendo una visione “nuova” del Medioevo durante il quale la civiltà islamica si è fatta erede di tutti i patrimoni culturali disponibili per assolvere al compito storico di farne una sintesi organica e creativa, arricchita di nuovi contenuti e poi sostanzialmente consegnata alla rinascita europea. Il saggio si occupa della storia della matematica ma è noto che il processo in questione si è avuto per svariati campi del sapere tra i quali l’astronomia che progrediva di pari passo con la matematica.

Le capitali multiculturali del sapere medievale

Nel 762 il califfo abbaside al-Mansur spostò la capitale del califfato da Damasco a Baghdad ed aveva l’ambizione di farne la nuova Alessandria. Alcuni decenni dopo suo nipote Harun al-Rashid fondò proprio a Baghdad il centro di traduzione e ricerca Casa della Saggezza (Bait al-Hikma) che tra il IX e l’XI secolo fu la capitale intellettuale del mondo islamico. Anche se la sede di questa istituzione fu completamente rasa al suolo dall’invasione mongola del 1258, è noto che nei secoli vi gravitarono importanti studiosi di diverse tradizioni religiose e culturali, di tutti i campi del sapere, e vi confluirono innumerevoli libri antichi in svariate lingue. La cultura scientifica che si sviluppò a Baghdad nacque quindi dall’interazione di un’inedita quantità di diverse tradizioni.

Oltre alla matematica classico-ellenistica, in cui erano confluite quella egizia e quella babilonese, altre importanti tradizioni matematiche ed astronomiche studiate a Baghdad erano quelle della Persia Sasanide e dell’India. Quest’ultima nel corso dei secoli aveva avuto a sua volta proficui scambi con quella cinese. Con ogni probabilità nel corso del XIV secolo vi furono anche scambi diretti tra la civiltà islamica e quella cinese favoriti dalla pax mongola. In merito al contributo della civiltà islamica Joseph sottolinea il valore “di questa sintesi creativa che venne perseguita con un’apertura mentale e una più chiara comprensione, rispetto a qualsiasi cultura scientifica precedente, della necessità nel campo della matematica e di altre scienze di equilibrare empirismo e teoria.

Il processo di sintesi fu promosso dalla tensione creativa tra le due principali tradizioni astronomiche e matematiche presenti a Baghdad… La prima derivava dalle tavole astronomiche (persiane) e dall’approccio algebrico (indiano) alla matematica… L’altra si richiamava alla matematica ellenistica e al forte rilievo dato alla geometria e ai metodi deduttivi”. I rispettivi esponenti di queste due tradizioni furono al-Khuwarizmi (XVIII-IX sec.) e Thabit ibn Qurra (IX sec.). Dalla latinizzazione del nome di al-Khuwarizmi viene il termine algoritmo (già algorismo), così come algebra viene dalla latinizzazione del termine al-jabr usato da al-Khuwarizmi per indicare una specifica operazione (algebrica).

Quando le suddette due tradizioni erano ormai fuse figure di rilievo furono Omar Khayyan (XI-XII sec.), sempre a Baghdad, e al-Kashi (XIV-XV sec.). Tutti questi matematici erano, tra le altre cose, anche degli astronomi e al-Kashi proseguì sul solco della scuola astronomica di Maragheg come figura preminente dell’osservatorio Ulug Beg a Samarcanda (Uzbechistan) che allora era parte dell’Impero Timudire. Omar Khayyan inoltre era anche un poeta e le sue quartine furono tradotte in inglese nel 1859 da Edward FitzGerald.

I tre campi della matematica in cui la sintesi creativa di cui stiamo discutendo raggiunse i massimi livelli sono: l’introduzione e la diffusione del sistema di numerazione che usiamo ancora oggi, l’unione di approcci geometrici ed algebrici per risolvere le equazioni, il primo trattato di trigonometria.

Oltre a Baghdad, importanti crocevia culturali ed intellettuali dell’epoca furono anche Toledo e Cordoba della Spagna musulmana, Il Cairo, e la città persiana Jundishapur dove già in epoca sasanide giungevano studiosi di diversa provenienza come quelli in cerca di una “casa” dopo che Alessandria smise di essere un centro culturale e dopo la chiusura dell’Accademia di Platone. Tutte queste capitali del sapere vedevano la stretta collaborazione di studiosi anche non musulmani, proprio per l’assenza di conflitto tra scienza e religione.

La trasmissione delle conoscenze matematiche della civiltà islamica all’Europa avvenne soprattutto attraverso la Spagna dove si ebbe un dominio islamico dall’VIII al XV secolo (al-Andalus), ed anche attraverso la Sicilia che fu un emirato tra il IX e l’XI secolo (cioè parallelamente allo splendore della Baghdad abbaside). Ma se dopo la reconquista cattolica della Spagna fu fatto tutto il possibile per cancellare ogni traccia dei secoli di dominio islamico, in Sicilia invece questa presenza culturale sopravvisse alla fine dell’emirato, quindi sotto i Normanni, soprattutto per volere di Ruggiero II e di suo nipote Federico II. Stessa sorte era capitata alla cultura bizantina sull’isola quando vi giunsero i musulmani. In capolavori come la Cattedrale di Monreale è possibile ammirare lo stile siculo-normanno che ingloba i contributi delle diverse culture che coesistevano in Sicilia.

Interno della Cattedrale di Monreale in Sicilia

Fu su commissione di Federico II che nel XIII secolo Gerardo da Sabbioneta tradusse il Canone della Medicina di Avicenna (Ibn Sina) da molti considerato il padre della medicina moderna e la cui opera fu studiata per secoli anche in Europa. Tra i principali traduttori in latino di opere matematiche del mondo islamico nel XII secolo abbiamo, operanti in Spagna, soprattutto Gherardo da Cremona, Giovanni di Siviglia e Roberto di Chester, tutti traduttori anche di al-Khuwarizmi. Nel XIII secolo invece Leonardo da Pisa, detto Fibonacci, soggiornò e studiò in Algeria, dove il padre si occupava degli interessi mercantili della Repubblica di Pisa, per poi viaggiare anche in altri paesi islamici come la Siria e l’Egitto. Si deve a Fibonacci la definitiva introduzione in Europa del sistema di numerazione che la civiltà islamica aveva mutuato da quella indiana, e la Serie di Fibonacci è anche alla base delle proporzioni di Castel del Monte fatto costruire in Puglia da Federico II. A questo punto dovrebbe essere chiaro che il Sud Italia è stato diversamente medievale.

Con la Sicilia islamica, i Regni Normanni, e con l’esperienza multiculturale della Scuola Medica Salernitana (IX-XIV sec.), dove grande importanza ebbero le traduzioni in latino effettuate da Costantino l’Africano (XI sec.), monaco cristiano tunisino, l’Italia meridionale non ha certo vissuto il Medioevo europeo così come inteso dalla storiografia mainstream.

Il sorpasso definitivo?

Il cuore della civiltà islamica era l’etica religiosa, e la propensione alla ricerca della conoscenza veniva direttamente dal Corano (“nella creazione dei cieli e della terra, e nell’alternanza del giorno e della notte, vi sono certamente dei segni per quelli dotati d’intelletto”) e dai detti del Profeta Maometto (“a colui che procede lungo una via nella ricerca di una scienza Dio spiana una via al Paradiso”). Ma qual è il fulcro della civiltà occidentale che ha surclassato sia quella islamica che tutte le altre? Quando è iniziato il sorpasso? Qual è stata la marcia in più?

Per azzardare un tentativo di risposta “nuova”, nella consapevolezza di muoversi su un terreno minato, si potrebbero analizzare alcuni processi storici in maniera interconnessa.

Dovendo datare l’inizio dell’era moderna le possibili date simboliche si concentrano quasi tutte nella seconda metà del ‘400: la conquista ottomana di Costantinopoli (1453), la riforma protestante (1517); l’invenzione della stampa a caratteri mobili (1450) e altre ancora. Ma una data in particolare si presta alle necessità di questa analisi ed il 1492. Nota per essere la data della scoperta delle Americhe, è anche la data della definitiva riconquista cattolica a cui seguì la cacciata di ebrei e musulmani dalla Spagna.

Secondo lo scrittore libanese Amin Maalouf, cristiano di famiglia e naturalizzato francese, dopo questa “espulsione dei musulmani e degli ebrei da parte dei cattolici, dettata dall’intolleranza e dall’autocompiacimento, la Spagna non godrà di tutti i vantaggi della sua conquista delle Americhe, e ci vorranno 500 anni per recuperare il ritardo sulle altre nazioni” (Il naufragio della civiltà, 2019). Forse quindi non è un caso che dalla penisola iberica non siano arrivati significativi contributi alle rivoluzioni europee che dal XVI al XIX secolo hanno caratterizzato l’ascesa della civiltà occidentale.

Altri paesi invece come la Francia, La Gran Bretagna e i Paesi Bassi nel ‘600 iniziarono a riempire le loro biblioteche orientali di manoscritti in arabo, persiano e turco, per affrontare in maniera sistematica lo studio della cultura islamica e del suo pensiero, senza più i pregiudizi del medioevo e con una prospettiva “alla pari” indotta sostanzialmente dalla conquista ottomana di Costantinopoli. In Spagna invece la condizione di vantaggio oggettivo che si aveva nel 1492 fu rapidamente trasformata in ritardo storico.

Da un punto di vista marxista, il passaggio dalla rinascita europea al predominio dell’occidente coincide col passaggio dalla società manifatturiera a quella industriale. Per Marx il saccheggio delle indie orientali, la scoperta dell’oro e dell’argento nelle indie occidentali (le Americhe), lo sterminio delle popolazioni aborigene, “la trasformazione dell’Africa in una riserva di caccia alle pelli nere (gli africani)” costituiscono l’accumulazione originaria del capitale industriale. “Oggigiorno la supremazia industriale porta con sé la supremazia commerciale. Invece nel periodo della manifattura era la supremazia commerciale a dare il predominio industriale. Da ciò la funzione preponderante che ebbe allora il sistema coloniale” (Karl Marx, Il Capitale). Fattore economico rilevante nella storia degli imperi coloniali fu il Commercio Triangolare Atlantico, cioè quella circolazione transoceanica di materie prime, beni e schiavi che caratterizzava l’espansione ad ovest di questi imperi.

In sintesi, le potenze europee catturavano o compravano schiavi nell’Africa centro-occidentale, li usavano per la raccolta delle materie prime nel nuovo mondo, e producevano manufatti che poi venivano venduti anche in Africa in cambio di nuovi schiavi. Questo processo è andato avanti senza una reale opposizione etico-intellettuale sostanzialmente fino alle Riflessioni sulla Schiavitù dei Negri (1781) dell’illuminista francese Condorcet. La triangolazione durò comunque anche nel XIX secolo e l’emancipazione della diaspora africana dopo l’abolizione della schiavitù negli USA è invece storia del ‘900, con strascichi fino ai giorni nostri.

Parallelamente, le nuove rotte marittime indebolirono il commercio sulla storica Via della Seta che attraversavan il mondo islamico. Con ogni probabilità questo inedito assetto economico “globale”, con epicentro in Europa e con forti sperequazioni tra le potenze coloniali e le colonie, fu anche alla base del relativo declino dell’Impero Ottomano che a partire dal ‘700 finì poi per cedere ad una “colonizzazione culturale”. Fino agli anni ’70 del secolo scorso invece era in voga un paradigma storico, oggi obsoleto, che in sostanza vedeva nella natura stessa di quell’impero le ragioni del suo declino.

Tra gli storici che sostenevano maggiormente questa tesi vi era l’ebreo angloamericano Bernard Lewis che fu in forte contrapposizione con lo scrittore Edward W. Said. Americano e palestinese, di famiglia protestante, Said definì Lewis come “il perfetto esempio di orientalista dell’establishment che pretende di essere considerato obbiettivo ed imparziale ma che in realtà è una macchina di propaganda contro l’oggetto dei suoi studi” (Orientalismo, 1978). La querelle tra i due è andata avanti per anni, con reciproche accuse di faziosità, ma il tempo ha dato ragione ad Edward Said e la versione del declino ottomano di Bernard Lewis è risultata assimilabile alle prime storie della matematica cioè, per l’appunto, opera di propaganda. Il paradosso è che quel paradigma storico è stato per decenni la versione della storia ottomana anche nella Repubblica Turca.

Ad ogni modo, l’identità culturale del mondo islamico ha iniziato a sgretolarsi nel corso del ‘700 per cessare definitivamente di esistere nel ‘900. Quello che probabilmente è mancato a questo mondo è il corrispettivo della Repubblica delle Lettere europea. Con questa espressione, usata fino al ‘700 e documentata per la prima volta nel 1417 in una corrispondenza tra gli umanisti Francesco Barbato e Poggio Bracciolini, Hans Bots e Françoise Waquet descrivono quello “stato, in senso metaforico, che raccoglie i letterati in quanto cercatori del bene comune e portatori di comuni interessi intellettuali, che ambisce all’universalità rispetto alle divisioni politiche, ideologiche o religiose e che si distingue per la libertà che vige entro i suoi confini” (La Repubblica delle lettere, 1997).

Non che nel predominio occidentale sia stata la sua cultura umanistica ad aver avuto un ruolo decisivo, ma con esso abbiamo assistito ad un’omologazione globale del pensiero, oltre che degli usi e dei costumi, a tratti davvero imbarazzante ed a cui non è stata opposta alcuna concreta resistenza se non dal fondamentalismo religioso.

Possiamo considerare la partita come finita qui? Dobbiamo davvero rassegnarci a parlare di pace facendo la guerra? E’ giusto che il colonialismo persista sotto forma di cooperazione? A dettare le linee guida della salvaguardia dell’ambiente deve essere per forza il sistema fondato sul suo sfruttamento? La speranza è che la risposta a queste 4 domande sia sempre: No!

L’Islam è attualmente la religione del pianeta col più alto tasso di crescita, per l’età media dei paesi dove è la religione di maggioranza (e quindi per la fertilità di quelle popolazioni), ma anche per il numero di conversioni nel resto del mondo. Qui in Occidente la religione islamica sembra rispondere contemporaneamente alla ricerca di una dimensione spirituale ancora possibile e a quella di un modello sociale alternativo. Sono aspirazioni che una volta trovavano risposta, solo separatamente, nel comunismo e nella spiritualità indiana, ma oggi l’Islam sembra non avere concorrenti.

Una rinascita etica e spirituale è forse ciò di cui il mondo contemporaneo ha davvero bisogno, del bigottismo invece possiamo certamente farne a meno. All’epoca del sorpasso sopra descritto nel mondo islamico non c’era una Repubblica delle Lettere come in Europa ma c’era il network “sottile” del Sufismo che è la scienza islamica del perfezionamento interiore (ihsan) e che ha continuato a produrre opere eccelse. L’obiettivo dei musulmani di oggi, almeno di quelli qui in occidente, non può essere certo la conversione del mondo alla religione islamica, né tantomeno la riproduzione di modelli sociali sclerotizzati come quelli dei paesi d’origine dei musulmani immigrati, ma piuttosto la creazione di una “nicchia di luce” produttiva che possa essere di utilità collettiva.

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