Dopo l’accordo sul mare, truppe turche in Libia? In mezzo Cipro, il gas e l’ENI

Dopo l’incontro tra Fayez al-Serraj, capo del Governo di accordo nazionale di Tripoli, e Recep Tayyip Erdogan, presidente turco, ad Istanbul lo scorso 27 novembre, i due paesi hanno annunciato di aver insieme definito il confine marittimo delle rispettive zone economiche esclusive (ZEE). Questo ha fatto infuriare la Grecia e Cipro. Per poter capire, però, come si siano surriscaldate le acque del Mediterraneo orientale bisogna fare prima un passo indietro.

Nel marzo di quest’anno la Turchia ha condotto la più grande esercitazione navale della sua storia, “Blue Homeland 2019”, con 103 navi militari e migliaia di soldati. A questa hanno risposto i greci con l’esercitazione “Medusa 8” condotta con le marine e le aviazioni di Egitto e Repubblica di Cipro. E proprio i greco-ciprioti, dopo la scoperta di giacimenti di gas naturale nel tratto di mare a sud dell’isola, hanno stipulato accordi con Egitto ed Israele per la definizione dei confini delle rispettive ZEE. A questi accordi sono subito seguite concessioni alla francese Total, alla coreana KOGAS ed anche alla compagnia italiana ENI.

La zona economica esclusiva secondo Atene e Nicosia:

La Repubblica di Cipro, secondo il diritto marittimo internazionale, ha tutto il diritto di gestire l’area del mare, adiacente le acque territoriali fino a 370 chilometri, in cui ha diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali. L’unico problema è che la Repubblica di Cipro è riconosciuta dalla comunità internazionale come sovrana su l’intera isola, ma, in realtà, l’isola è divisa in due dalla “Linea verde”, l’area demilitarizzata istituita dall’ONU nel 1974 lungo la linea del cessate il fuoco che si stabilì dopo l’intervento militare nell’isola da parte dell’esercito turco. L’isola, infatti, era parte dell’Impero Ottomano fino alla conquista britannica nel 1878 e rimase tale fino all’indipendenza nel 1962, quando le comunità greche e turche raggiunsero un’intesa per l’amministrazione comune degli affari pubblici.

L’esercito turco, però, dovette intervenire a protezione della minoranza turco-cipriota e per prevenire l’annessione di Cipro alla Grecia, allora governata dalla giunta militare. D’allora non si è arrivati a nessuno accordo per il ritiro delle truppe turche e alla protezione dei diritti delle minoranze turco cipriote. L’ultimo serio tentativo per una normalizzazione fu il Piano Annan, sponsorizzato dall’ONU, approvato da Turchia, Grecia, Regno Unito e, in un referendum, dai turco-ciprioti. L’accordo fu invece bocciato, in un referendum, dai greco-ciprioti che contestavano l’articolo che permetteva la permanenza di contingenti turchi e fiduciosi della forza che avrebbero acquisito con l’adesione all’Unione Europea.

Le aree interessate dalle concessioni rilasciate dalla Repubblica di Cipro

L’UE, infatti, ammise nell’Unione Cipro nel 2004, nonostante non si fosse arrivato ad un accordo e nonostante la Repubblica non abbia controllo di tutto il suo territorio e delle sue acque. Oggi, però, Cipro è membro dell’Unione e sfrutta questa posizione di forza per imporre i propri interessi anche nelle acque dinnanzi alle coste della Repubblica turca di Cipro del Nord (KKTC), la repubblica nata dopo il 1974 nell’area settentrionale dell’isola, ma riconosciuta solo dalla Turchia.

Perché, in base agli accordi che istituirono la prima Repubblica di Cipro, entrambe le comunità dell’isola hanno gli stessi inalienabili diritti sulle risorse, la Turchia intende proteggere gli interessi economici dei turco-ciprioti fino a quando non si arriverà ad un’intesa per l’unificazione dell’isola. Per fare questo già dall’estate scorsa ha iniziato trivellazioni esplorative con la Turkish Petroleum (TPAO), società a partecipazione pubblica, costringendo la nostra ENI ad abbandonare la ZEE dinnanzi alle coste turco-cipriote. La cosa ha causato sanzioni dell’UE, cosa però che non ha intralciato in nessun modo le trivellazioni turche. La Turchia spera così di forzare i greco-ciprioti a raggiungere un compromesso.

L’accordo con il governo libico di al-Sarraj, dunque, si inserisce in questo complicato contesto. Si tratta, però, di un accordo difficile da portare avanti. Il governo di al-Sarraj è riconosciuto come legittimo ma controlla solo una parte del paese e non controlla le coste che si affacciano verso la Turchia, controllate, invece, dal Generale Haftar. Nonostante le posizioni ufficiali, paesi come l’Italia e la Francia, da tempo ormai, intrattengono relazioni anche con il governo di Benghazi. Senza, poi, parlare della guerra civile che si sta trasformando in una guerra globale con diversi attori, tra cui la Russia, gli Emirati e l’Arabia Saudita, che sostengono Haftar e che sono impegnati anche in Siria.

La zona economica esclusiva secondo la Turchia

A pochi giorni dall’accordo tra Ankara e Tripoli, il Presidente Erdogan ha anche annunciato la disponibilità della Turchia a schierare i propri soldati in Libia, se il governo libico lo richiedesse. Anche questa dichiarazione ha provocato reazioni internazionali. In Turchia, molti hanno accolto la dichiarazione con sgomento. Oggi ci sono contingenti militari turchi in Afghanistan e Kosovo in operazioni condotte dalla NATO. La Turchia, poi, ha contingenti militari in Somalia e in Qatar e con questi ultimi due paesi ha costruito ottime cooperazioni in campo militare ed economico. Le truppe turche, però, si occupano essenzialmente di fornire addestramento alle forze locali e, nel caso del Qatar, di costituire un deterrente contro la minaccia di una invasione saudita. Ci sono poi le operazioni militari in Iraq e in Siria, condotte in difesa dei confini e contro il gruppo terroristico PKK.

In Libia, teatro di violenti combattimenti, non ci sarebbero le ragioni per un dispiegamento delle forze turche. La cosa sarebbe anche impopolare, visto che l’opinione pubblica non ha mai visto con favore operazioni militari fuori dai propri confini. Perché allora questi sviluppi nelle relazioni tra Ankara e Tripoli? La risposta sembra essere non una nuova strategia di politica estera ma piuttosto una decisione motivata da una strategia di politica interna. Erdogan vuole mostrarsi all’opinione pubblica capace di prendere azioni per l’interesse turco, anche se queste vanno contro le posizioni dei paesi “forti”.

L’operazione Peace Spring in Siria, condotta per difendere i confini del paese ma nonostante le opposizioni di molti paesi occidentali, ha assicurato un ampio consenso per Erdogan. La posizione di forza nel Mediterraneo orientale, poi, rafforza la figura del Presidente e, in questo, è sostenuto da diversi settori della società. Nonostante ciò, una eventuale operazione in Libia—perché non vi sono comunità di lingua turca e non serve a proteggere i propri confini—non avrebbe la stessa legittimità agli occhi dell’opinione pubblica turca. Per questo motivo forse non se ne parlerà più.

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