Nello stagno italiano le sardine nuotano sotto il riflesso di Salvini 

In tempi liquidi l’odio diventa sempre più un elemento solido intorno al quale crescono due movimenti contrapposti. Il primo è il desiderio dell’uomo forte, sogno latente e spesso inconfessabile dello spirito italiano, a cui per negazione si contrappone un movimento genericamente pacifista.

Sintomatico che nell’Italia di oggi i due poli si incarnino nelle figure di Salvini e nel movimento delle Sardine. Entrambi figli della graduale caduta del Movimento Cinque Stelle che con una strana forma di equilibrismo era riuscito ad assorbire al suo interno in maniera schizofrenica entrambe le tendenze, ormai sempre più libere di prendere la loro naturale direzione.

La forma di questa contrapposizione è antica, la sostanza è nuova e informe. Perché in un contesto occidentale, sempre più fluido, dinamico e inattingibile, la società italiana da qualche decennio ormai asseconda la liquidità, senza però fruire del movimento e dello sviluppo. Il risultato è il ristagno, da quello economico a quello civile e culturale. Mentre nei paesi più sviluppati lo sfilacciamento delle vecchie certezze, delle ideologie e dello stato sociale è accompagnato dalla crescita e da una continua modernizzazione, l’Italia si specchia nella sua staticità.

In un tale ristagno è naturale che si trovino a galleggiare sulla scena pubblica temi, in sé irrilevanti, incentrati sull’odio verso lo straniero, l’Europa, i politici, i giudici… Chi arriva al cospetto dello stagno con le sembianze dell’uomo forte in grado di dominare e governare questi problemi, per smuovere le acque e promuovere finalmente lo sviluppo, sale nel consenso pubblico. Emergono Berlusconi, Grillo, Renzi, Salvini, dominano la scena per un po’ per poi finire risucchiati dalle stesse acque che avevano provato a manipolare.

Tutte figure che hanno provato e provano ad incarnare i tratti dell’uomo forte, di successo e risoluto per far breccia nella frustrazione degli italiani. Parabole destinate a restare intrappolate nella loro stessa logica comunicativa, basata su una forza apparente che poggia su basi immaginarie e non sostanziali. Manipolazione a cui non fa seguito l’azione, con la conseguenza di lasciare così sempre più vivo nella società il desiderio latente di forza, ordine e controllo.

Nel frattempo in questo stesso stagno prendono vita nuove forme di coscienza, come le sardine, che iniziano a nuotare in direzione contraria, sapendo bene cosa negano ma ignorando cosa poter affermare. Iniziano scontri in apparenza decisivi che però nascono in un’inconsistenza di fondo, da cui difficilmente scaturiranno cambiamenti reali. Riassumendo: gli attori politici smuovono l’odio perché incapaci di affermare sulla scena visioni nuove, i movimenti sociali si oppongono negando una negazione. Risultato: lo stagno in cui è caduta l’Italia non si smuove.

E ne è testimonianza uno degli ultimi rituali collettivi rimasti: lo sciopero. Da anni ormai non è più sinonimo di manifestazione, azione atta a render manifesto un disagio o una protesta, ma un comportamento collettivo routinario, come gli scioperi dei trasporti o per l’ambiente che puntuali cadono di venerdì. Quel che è nato come uno strumento di destabilizzazione dello status quo (basti vedere il recente esempio degli scioperi francesi), finisce col difenderlo. Un’azione ripetuta in maniera sistematica diventa un rituale, che per definizione non serve a cambiare le cose ma a conservarle.

Per comprendere meglio le radici dell’odio attuale, allarghiamo i confini dello stagno per arrivare alle acque del Mediterraneo, luogo fisico e simbolico del dibattito politico attuale. Navi container imponenti navigano sempre più numerose e nella stessa direzione che dall’Asia verso l’Europa, segnando un graduale ma definitivo passaggio di consegne nel potere economico globale. Nello stesso mare galleggiano e sprofondano corpi venuti da lontano, migranti che vengono azzannati da predatori politici, nel tentativo di alimentare la loro forza mediatica.

Sotto la superficie nuotano le sardine, libere nel loro elemento finché non verranno divorate, non dall’uomo forte, la cui forza per fortuna è di plastica e nasconde solo debolezza. Forse verranno fagocitate dal nuovo comunicatore di turno che prometterà loro un mare più pulito e una vita più sicura, al riparo dai grandi predatori, meglio se stranieri.

E intanto oggi per difendersi “le acciughe fanno il pallone”, per citare un verso di De Andre’, e il pallone scivola su un campo da calcio, dove intorno ai riflettori italiani si acclama o si inveisce estasiati. Tutto passa e allo stesso tempo resta.

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