Caso Banca Popolare di Bari: perchè le banche falliscono?

Con il commissariamento della banca popolare di Bari, da parte della Banca d’Italia, i giornali del sistema, in particolare il Corriere della Sera e Repubblica, hanno giustamente riportato a giochi fatti i misfatti e la cattiva gestione da parte dei dirigenti della banca, focalizzandosi sulla famiglia Jacobini e l’AD De Bustis. Come sempre, il dibattito in Italia non si focalizza mai sulle cause ma solamente sugli effetti e su questioni secondarie. Gli organi d’informazione non pongono le domande sul nocciolo fondamentale del problema, ossia, perché le banche falliscono? Perché i salvataggi devono essere a carico dei correntisti con depositi superiore ai 100mila euro?

Il problema delle banche italiane soprattutto quelle più piccole è dovuto oltre che alla cattiva gestione, la cui vigilanza spetta ad autorità pubbliche e non Bankitalia, istituto di diritto pubblico ma in realtà privato, anche ai crediti deteriorati o sofferenze (NPL), debiti che aziende e famiglie hanno contratto con banche e che non hanno restituito, poiché nel frattempo vi è stata una crisi economica finanziaria, creata dal sistema finanziario stesso e accentuata da politiche d’austerità, che anziché migliorare la situazione l’hanno peggiorata. Le banche, quindi, hanno un problema non con i depositi (debiti, passività, liabilities) ma con i prestiti erogati (crediti, attività, claims).

Va, inoltre, ricordato che il sistema bancario tedesco, in parte esonerato (Sparkassen, Landesbanken) dalle norme Europee sull’unione bancaria, ha complicanze ben più profonde, oltre agli Npl che rappresentano un problema minore, in parte risolto con i salvataggi da parte del governo federale tedesco tra il 2008 e il 2015, con la cifra record di 215 miliardi, il 7% del PIL tedesco, infatti, i derivati tossici rappresentano la vera fragilità del sistema bancario.

Anche il sistema bancario francese, come d’altronde quello tedesco, è pieno di titoli tossici o derivati (level 3) che per la sola Deutsche Bank rappresentano circa 20 volte il PIL tedesco. Sicuramente, in un futuro, non troppo lontano, si interverrà per salvare queste banche senza però ricorrere al BAIL IN, sistema che fa ricadere le perdite e la vaporizzazione dei depositi sulle spalle dei correntisti e obbligazionisti, come avvenuto, invece, in Italia (Banca Etruria, Banca Popolare di Vicenza). Di sicuro, per Deutsche Bank, varrà lo slogan usato in questi anni per salvare le grandi banche “Too big to fail” (troppo grandi per fallire).É notizia di qualche giorno fa il salvataggio di una banca regionale tedesca Nord LB, da parte del Governo regionale senza l’adozione del BAIL IN.

Il punto non sta nel difendere il sistema finanziario che sia nazionale, tedesco o transnazionale, siamo di fronte al sovvertimento totale della logica economica, siamo passati da un sistema in cui la banca centrale garantiva il risparmio salvando le banche, ad un sistema nel quale i cittadini salvano le banche con i loro risparmi, che sono sempre di meno poiché la banca centrale europea crea deflazione. Tutto ciò, può sembrare folle ma ha una sua logica in un mercato di capitali (eurozona) dove vi sono divergenze ed asimmetrie fra le diverse economie, la logica del capitale è quella della centralizzazione dei capitali, infatti, assistiamo ed assisteremo sempre di più al saccheggio da parte dei capitali forti su quelli deboli.

Il problema delle banche italiane, sia quelle piccole che medio grandi, non si arresterà finché non ci sarà la svolta con politiche anticicliche come hanno evidenziato autorevoli economisti europei e americani con un manifesto intitolato il “monito degli economisti” pubblicato sul Financial Times il 23 Settembre del 2013, che affermava: “In assenza di condizioni per una riforma del sistema finanziario e della politica monetaria e fiscale, che dia vita a un piano di rilancio degli investimenti pubblici e privati, contrasti le sperequazioni tra i redditi e tra i territori e risollevi l’occupazione nelle periferie dell’Unione, ai decisori politici non resta altro che una scelta cruciale tra modalità alternative di uscita dall’euro”.

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