E se fosse la paura del contagio a farci ammalare di più?

Per spiegare le differenze territoriali sull’incidenza e la letalità del Coronavirus si è parlato di inquinamento e di differenze del sistema sanitario tra le regioni e se invece anche la paura fosse un elemento che rende maggiormente suscettibili le persone al contagio? La paura, in una sorta di circolo vizioso, sta facendo montare l’epidemia lì dove la vediamo più forte?

Secondo S. Hainhemann il fondatore della medicina omeopatica i “i sintomi mentali sono la chiave d’accesso all’uomo”. Come medico omeopata quindi sono avvezzo a dare un peso considerevole allo stato psico-emotivo dei miei pazienti, tramite questa prospettiva si può notare come stati d’animo come la paura, la frustrazione, la rabbia, per citarne solo alcuni, possano condizionare la salute delle persone in modo profondo con sintomi anche gravi.

Come gli influssi psicoemotivi influiscono sull’uomo

Certo non si può misurare l’effetto curativo di una parola di rassicurazione o quello patogeno di una situazione di terrore, ma il buon senso comune sa come certi influssi psicoemotivi possano influire pesantemente sulla salute dell’uomo. D’altra parte anche la moderna concezione del sistema immunitario, come fortemente interconnesso al sistema neuro-endocrino supporta senza difficoltà una visione di questo tipo.

Lo studio del Prof. S.Romagnani

Dati epidemiologicamente consistenti sono arrivati pochi giorni fa dallo studio eseguito su 3000 pazienti nel comune di Vo’ Euganeo dal Prof. S. Romagnani dell’università di Firenze. In breve questo studio dimostra quanto alto sia il numero di persone contagiate risultate asintomatiche, tra il 50 ed il 75%, e come le strategie di contenimento adottate con grande successo dalla Corea del Sud sembrino le più auspicabili.

La guarigione in solo 8 giorni

Romagnani nota però qualcosa di ancora più interessante, difficilmente spiegabile, che attira l’attenzione dei più curiosi. L’isolamento dei soggetti infetti, sintomatici e non, non solo ha ridotto il contagio nella comunità, ma sembra proteggere contro l’evoluzione verso l’aggravamento della malattia, infatti la guarigione nel 60% degli isolati avveniva in solo 8 giorni, diversamente dai quasi venti giorni registrati in media dagli altri soggetti.

Lombardia, il più alto tasso di ospedalizzazione

Una seconda importante osservazione è stata sollevata recentemente dal Dottor Alberto Aronica, medico di medicina generale di Milano, il quale fa notare come il tasso di ospedalizzazione in Lombardia sia particolarmente elevato specie se comparato alle regioni limitrofe ( in Veneto viene ricoverato il 26% dei casi infetti, in Emilia-Romagna il 47% e in Lombardia il 75%). Allo stesso tempo, l’assistenza domiciliare in Lombardia arriva al 14,5% contro il 65% del Veneto e il 46% in Emilia-Romagna (dati del ministero della Salute, 10 marzo 2020, ndr).

La differenza tra i focolai epidemi del nord e quelli del sud

Nella divergenza di opinioni, che anche gli esperti hanno tra di loro, tutti sembrano più o meno concordi nell’affermare che il virus in questione stia circolando nel nostro paese al minimo dall’inizio del mese di Gennaio. Essendo ben nota a tutti l’entità degli spostamenti di persone, all’interno e non solo, del nostro Paese, ed essendo state adottate le misure di contenimento da parte del nostro governo circa due mesi dopo, risulta strano un po’che ai focolai epidemici del nord Italia non corrispondano altrettanti focolai al Sud o anche all’estero, o che comunque che vi sia stata tra i primi e i secondi una latenza cosi ampia.

Quanto l’inquinamento atmosferico incide sulla diffusione del virus

Inoltre l’alto indice di letalità a cui stiamo assistendo in Lombardia sembra risiedere in fattori peculiari di quella regione. Sono state avanzate diverse ipotesi, come quella dell’inquinamento atmosferico particolarmente accentuato in Lombardia che favorirebbe sia la diffusione che una maggiore gravità della sintomatologia. Il fatto che gli ospedali, come in tutte le malattie epidemiche, possano essere un serbatoio di diffusione della malattia, non spiega i dati riguardanti la mortalità percentuale, ovvero la gravità della stessa.

Tra le tante cose che la scienza moderna rischia di scotomizzare nel proprio panorama interpretativo degli eventi, ci sono quelle variabili non misurabili da modelli matematici né riproducibili in laboratorio, ma che non per questo non possono avere il loro peso nella realtà delle cose.

I sentimenti di paura e panico

Per quanto gli ospedali possano essere efficienti e confortevoli, la posizione di un paziente ospedaliero e sempre difficile per chiunque, specie in queste circostanze dove a causa delle misure necessarie per ridurre il contagio i pazienti hanno poco o nessun accesso al contatto con familiari ed amici. Non è difficile intuire come sentimenti di paura o panico possano impossessarsi dei ribattezzati “ricoveri COVID”. Anche l’aria che si respira, nei territori maggiormente colpiti, da chi non è per sua fortuna ricoverato, non deve essere proprio serena.

E se fosse la paura l’elemento che potrebbe spiegare tutte queste osservazioni? Se la paura fosse l’elemento che rende suscettibili maggiormente le persone al contagio e che in una sorta di circolo vizioso sta facendo montare l’epidemia li dove la vediamo più forte? La paura effetto ed al tempo stesso causa di un sempre maggiore contagio, cioè di una maggiore suscettibilità al temutissimo virus.

Credo che la paura possa essere un fattore sfuggente ma non meno importante nell’andamento del contagio collettivo e nell’evoluzione dei singoli casi di malattia. Credo che l’epidemia di cui il mondo è attualmente vittima vada combattuta con tutti i mezzi a disposizione e, specie adesso che di mezzi validi sembra non ce ne siano molti, non sia un atteggiamento accettabile non indagare senza pregiudizi strade eterodosse.

L’ipotesi di curare i pazienti nelle proprie case
La promozione della medicina sul territorio, ovvero curare il più possibile i pazienti nelle proprie case, avrebbe l’indubbio vantaggio di scaricare il sistema ospedaliero, cosa quanto mai auspicabile nelle regioni del Sud, incapaci di poter far fronte in modo altrettanto valido della Lombardia all’attuale emergenza, e potrebbe calmierare gli effetti della paura e il circolo vizioso che sembra essersi instaurato in alcuni territori.

Curare a casa per quanto possibile, specie le persone anziane, con servizi domiciliari dedicati, significherebbe ridurre l’impatto emotivo legato al ricovero, addolcire le cure, far mantenere ai pazienti i contatti familiari più stretti e quindi verosimilmente spezzare, almeno in parte, la spirale di paura, che come si sa, fa novanta!

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