Rispettare la legge e aiutare non basta, i musulmani rompano il silenzio

Sono diventati quasi invisibili i musulmani in questi giorni e soprattutto hanno cessato di rappresentare un problema. Scomparsi improvvisamente dai media insieme all’immigrazione, l’integrazione e la radicalizzazione, ingredienti del pastone indigesto nel quale li incorporano i media mainstream al pari dei social media un trend che dura ormai da anni.

Parlano poco: non perché, come vuole la narrativa dominante, non vogliono integrarsi ma perché sono ancora considerati alla stregua di un Gastvolk, un popolo-ospite guardato con sospetto. Ai loro portavoce ufficiali si rimprovera di “tacere, glissare, non esporsi alle polemiche e ai confronti culturali con discorsi chiari e con risposte precise” scriveva un paio d’anni fa Piero Colaprico (“Ombre a San Siro”, Limes, 1/2018) che è pure un giornalista “amico”.

La decisione dell’UCOII nel sospendere tutte le attività aggregative

Questa volta però nessuno li accusa di reticenza. Appena sono scattate le prime misure di contenimento, ancora in larga parte raccomandazioni più che obblighi, il 22 febbraio l’Ucoii, una delle principali organizzazioni-ombrello delle comunità islamiche invitava a “sospendere tutte le attività aggregative, le cinque preghiere quotidiane inclusa quella congregazionale del venerdì” nelle aree dichiarate a rischio. I direttivi delle associazioni che gestiscono sale di preghiera hanno chiuso e sprangato le moschee e, prima ancora che riecheggiasse in tutto il paese lo “State a casa” gli imam della Lombardia e dell’Emilia Romagna seguiti a ruota da quelli del Lazio hanno ingiunto ai credenti “Pregate a casa!”.

L’importanza dell’adhan e della preghiera del Venerdì

Anche se non prega sempre in moschea per un musulmano sapere che all’interno della sua moschea alle ore stabilite risuona l’adhan e la preghiera verrà recitata dall’imam è cosa importantissima, così come è importante la preghiera del venerdì quando moschee solitamente semi-deserte si riempiono fino a straripare in strada. Ma nessuno ha protestato, solo qualche timida voce si è alzata per chiedere se non si poteva fare altrimenti. A titolo di confronto, ricordiamo che le chiese parrocchiali cattoliche, pur avendo sospeso le messe, rimangono aperte e che sulla questione vi sono state tensioni anche tra le massime autorità ecclesiastiche, in particolare tra Papa Bergoglio e il cardinale vicario di Roma Angelo De Donatis.

La comunità musulmana ha richiamato fin da subito al dovere civico

Tra i musulmani nulla di ciò: l’Ucoii ha invitato fin dalle prime ore le comunità a tenersi in contatto con le autorità locali, l’Associazione degli Imam e delle Guide Spirituali in Italia ha emanato una fatwa circostanziata “per il rispetto delle disposizioni ministeriali”.  Nei primi tempi soprattutto il richiamo al dovere civico è stato ribadito in modo martellante, sui gruppi WhatsApp come nelle khutba online.

Solo in un secondo momento queste comunità che disciplinatamente hanno chiuso i loro centri di aggregazione hanno incominciato a parlare dei loro bisogni. E prima ancora di chiedere pane per i vivi hanno chiesto terra per i morti. Le regioni e le province che costituiscono l’epicentro dell’epidemia sono quelle dove si concentra il maggior numero di musulmani in Italia. Che sarebbero 1 400 000 per la Fondazione Ismu, oltre 1 500 000 per la Fondazione Migrantes della Caritas e oltre due milioni per l’Ucoii.

Di questi uno su quattro vive in Lombardia secondo stime Ismu del 1 gennaio 2017: 360 000. Al secondo posto c’è l’Emilia Romagna (178 000), al terzo il Veneto (134 000). Nell’insieme le tre regioni con il maggior numero di morti secondo i dati della Protezione civile. Se andiamo ancora di più nel dettaglio, Milano con 115 000 musulmani, Brescia con 61 000 e Bergamo con 50 000 sono (con Roma) le province nelle quali si concentra il maggior numero di musulmani.

Il rimpatrio delle salme, fino ad oggi la pratica più diffusa

Hanno suscitato intensa commozione le immagini dei convogli militari che trasportano nei crematori o in altre regioni le bare dei morti che il cimitero bergamasco non riesce più a ospitare. L’islam vieta la cremazione. Fino a poche settimane fa la pratica più diffusa era quella del rimpatrio delle salme nella terra di origine del defunto. Con la chiusura degli spazi aerei e delle rotte marittime questo è diventato impossibile.

Lo stop della Lega agli spazi per musulmani nei cimiteri

E le organizzazioni islamiche, dopo aver sospeso il lavaggio dei corpi, elemento importante del rituale dei defunti, adesso sono alla disperata ricerca di cimiteri islamici in grado di accogliere le salme. Sono pochi, i cimiteri in questione, non aiuta la normativa comunale in materia e ancora meno il fatto che la Lega un anno fa abbia dato lo stop agli spazi per musulmani nei cimiteri.  

I morti musulmani senza sepoltura: L’UCOII denuncia una “situazione intollerabile”

I musulmani operai delle piccole e medie industrie

Poi ci sono i problemi dei vivi. Se i musulmani si concentrano nelle province più ricche e industrializzate d’Italia è perché lì c’è il lavoro che sono venuti a cercare dai loro paesi. Sono operai delle piccole e medie industrie, della siderurgia del bresciano e dei capannoni del Trevigiano dove almeno 30 000 osservano il ramadan raccontava un giornale locale già quindici anni fa (https://www.oggitreviso.it/operai-musulmani-rischio-digiuno-vademecum-le-aziende-91363). Sono lavoratori autonomi che nelle città gestiscono, negozi di frutta e verdura, pizzerie, kebab, tavole calde e ristoranti, negozietti dove si vendono e aggiustano i telefonini. Buona parte di loro appartiene a quella popolazione invisibile che ha continuato ad andare al lavoro quando gli altri restavano a casa.

Le donazioni alle famiglie più bisognose e alle moschee

Gli altri sono rimasti a casa man mano che chiudevano filiere e servizi non essenziali. Adesso i loro giovani portano la spesa e le medicine agli anziani. Dalle loro abitazioni gli imam delle moschee chiuse diffondono video, invitando a donare per l’acquisto di generi di prima necessità per le famiglie bisognose ma anche per sovvenzionare le spese fisse delle moschee che non usufruiscono più delle offerte fatte in loco. Il sottofondo sonoro è l’acuto cicaleccio dei bambini: evoca famiglie stipate in modesti bilocali dove non c’è né lo studio per il papà né la stanza giochi dei bambini né tampoco una stanza tutta per sé per la mamma. Si fa fatica a immaginarli, questi bambini, alle prese con la didattica online, magari con mamme che non parlano italiano.

I morti dovuti alle rivolte nelle carceri

Ma ci sono sempre quelli che sono più ultimi degli ultimi (gli ultimi arrivati, gli ultimi della classe, gli ultimi nella coda chilometrica davanti al discount): sono quelli in carcere. Anche di questo noi musulmani facciamo fatica a parlare perché i media, i partiti islamofobi, il razzismo delle statistiche da talk show ci sbattono in faccia tutti i giorni i dati sulla popolazione carceraria facendo credere alle masse che il grosso dei detenuti delle carceri italiane siano musulmani.

Si tratta in realtà dell’11,4% (https://www.antigone.it/tredicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/02-liberta-di-culto/) concentrati perlopiù negli istituti del Centro-Nord. Qui la rivolta scoppiata nelle carceri con le misure di contenimento dell’epidemia ha lasciato sul terreno tredici morti. Per tre quarti provenivano da Tunisia e Marocco, paesi musulmani (https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/20_marzo_18/carceri-quei-13-morti-le-rivolte-piu-domiciliari-chi-sta-uscire-7a02f69c-68e1-11ea-913c-55c2df06d574.shtml).

Che fossero musulmani dichiarati o presunti fa lo stesso dato che nelle carceri molti dei detenuti che provengono da questi paesi preferiscono non dichiarare la propria religione: temono il sospetto di “radicalismo”. Che fossero praticanti o meno fa lo stesso, è probabile che non abbiano avuto accesso ad un supporto spirituale: gli imam che possono entrare nelle carceri sono pochissimi.

Il dovere di opporsi all’ingiustizia

Ecco perché i musulmani devono rompere il silenzio. Il dovere dei musulmani non è solo di rispettare le norme del paese come già fanno. Il dovere dei musulmani non è solo di aiutare i bisognosi di qualunque razza o fede come già fanno i loro volontari, i loro infermieri, i loro medici di cui non si parla. Il dovere dei musulmani è anche quello di opporsi all’ingiustizia soprattutto se si aggiunge al dolore inevitabile. Infine, il dovere dei musulmani è di condividere ciò che la loro religione oggi offre: libero chiunque di farne l’uso che crede.

Forse è giunto il momento di andare oltre le giornate “moschee aperte” e gli iftar di strada e trovare il modo di far conoscere anche contenuti più profondi del messaggio islamico. Come quelli riassunti, con una sintesi folgorante, nelle parole di un infermiere musulmano del pronto soccorso di Omegna: “Sappiamo tutti che la vita e la morte non è nelle nostre mani ma questa Religione ci insegna il benessere personale e della comunità”.

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