Quando nel Regno d’Italia si discuteva dell’uguaglianza giuridica delle religioni

L’8 maggio del 1875 l’Onorevole Agostino Bertani propose alla Camera dei Deputati del Regno d’Italia una mozione in materia di libertà di culto con la quale si invitava il ministero competente “a presentare un nuovo progetto di legge in cui la garanzia della libertà escluda quella del privilegio e stabilisca l’uguaglianza di tutte le credenze religiose innanzi la legge”. Da quando Roma è diventata la Capitale d’Italia (1871) quella di Bertani è stata la proposta più avanzata che si potesse fare. La si può eguagliare ma non può essere chiesto allo Stato una maggiore equità in materia. Equità che ad oggi non sussiste.

Il contesto

Nel 1875 erano trascorsi 14 anni dall’Unità d’Italia e 4 anni dalla Legge sulle Guarentigie. Quest’ultima avrebbe potuto rappresentare la conclusione della controversia risorgimentale, sul ruolo della città di Roma e sul potere temporale del Papa, che va sotto il nome di Questione Romana. Dopo la Breccia di Porta Pia (20 settembre 1870) con cui ebbe fine lo Stato Pontificio, e dopo aver spostato a Roma la capitale del Regno (3 febbraio 1871), il 13 maggio del 1971 fu emanata questa “legge sulle prerogative del Sommo Pontefice e della Santa Sede, e sulle relazioni dello Stato con la Chiesa”.

La Legge sulle Guarentigie rimase in vigore fino ai Patti Lateranensi (1929) tra il Regno d’Italia ed il nascente Stato Città del Vaticano. La Repubblica Italiana, sorta nel 1946, ha “inserito” questi Patti nella Costituzione (art.7) anche col benestare di Palmiro Togliatti del PCI. Dal punto di vista della Chiesa Cattolica la Questione Romana si è risolta definitivamente e positivamente con Benito Mussolini, che firmò i Patti per conto del Regno d’Italia, e ad oggi lo schema della soluzione in campo è ancora quello.

L’uguaglianza giuridica delle religioni

La prima differenza tra la Legge sulle Guarentigie ed i Patti Lateranensi sta nel fatto che la prima non aveva una natura concordataria essendo essa una legge dello stato che normava le libertà della Chiesa Cattolica sul territorio del Regno d’Italia. Con i Patti Lateranensi invece la Chiesa Cattolica venne riconosciuta come soggetto di diritto internazionale, cioè uno Stato altro al quale veniva demandata giurisdizione o, se vogliamo, sovranità. In questi giorni in cui si discute di come consentire le funzioni religiose durante la Fase 2 della pandemia per il Covid-19 la CEI, Comunità Episcopale Italiana, ha incalzato il Premier Conte anche rivendicando proprio quella cessione di giurisdizione. Se si esclude la questione delle tasse sugli immobili forse l’istituto più “ingombrante” che discende dai Patti Lateranensi è l’insegnamento della religione cattolica (IRC), anche detto ora di religione, nella scuola pubblica italiana.

Nel 1875 la base di partenza su cui poggiare una discussione in materia di libertà di culto e di uguaglianza delle religioni davanti alla legge era quindi per certi versi più avanzata rispetto al contesto attuale dove sussistono privilegi legati alla logica concordataria. La costituzione del Regno d’Italia era lo Statuto Albertino (1848), già costituzione del Regno di Sardegna, che all’art.1 dichiarava quella Cattolica come “la sola religione di stato. Gli altri culti” erano “tollerati conformemente alle leggi”. In pratica però il carattere confessionale dello Stato era circoscritto all’obbligo di seguire il culto cattolico nelle cerimonie pubbliche mentre i Savoia attuarono una forte politica anticlericale già dal 1855.

I benefici dell’autorità ecclesiastica

L’iter che portò alla Legge sulle Guarentigie fu terreno di scontro tra la Destra Storica al governo e la Sinistra Storica all’opposizione. Oggetto dello scontro furono ovviamente le concessioni che vennero fatte alla Chiesa. Passati 4 anni quello che l’opposizione contestava al governo era l’applicazione della legge e la mancata realizzazione di alcuni rimandi della stessa, il tutto a beneficio dell’autorità ecclesiastica.

Mussolini firma i Patti Lateranensi
1 – 8 maggio 1875: La discussione alla Camera dei Deputati

Con un’interpellanza parlamentare del deputato Luigi La Porta del 1° maggio 1875, a cui ne seguì una del deputato Pasquale Stanislao Mancini del 3 e del 4 maggio, la Camera dei Deputati del Regno d’Italia si avviò ad una storica discussione in merito alla Legge sulle Guarentigie in vigore dal 13 maggio 1871. Il Presidente del Consiglio dei Ministri era Marco Minghetti e quello in carica fu l’ultimo governo di un decennio in cui destra (storica) ebbe in mano il potere esecutivo. Seguì poi dal 1876 un periodo altrettanto lungo in cui governò la sinistra.

La Porta e Mancini erano due esponenti dell’opposizione anche se Mancini, considerato il giurista più esperto nelle questioni dell’organizzazione statale e nei problemi di diritto internazionale, ebbe diversi incarichi da Cavour (leader della destra) all’epoca dell’unificazione legislativa del neonato Regno d’Italia. Le interpellanze parlamentari di La Porta e Mancini erano rivolte al Ministro della Giustizia e dei Culti Paolo Onorato Vigliani.

Le accuse rivolte al Governo

Le accuse riguardavano il mancato esercizio da parte del Governo delle prerogative di legge in capo allo Stato nei confronti della Chiesa con la conseguenza che a questa venivano concesse libertà ed impunità per una vera e propria campagna sovversiva nei confronti dell’ordine costituito, anche a mezzo stampa. Un’altra accusa era la mancata realizzazione della previsione dell’art. 18 della legge in questione con cui si rimandava ad una successiva riforma sui beni ecclesiastici che, secondo le relazioni che accompagnavano questa previsione di legge, doveva essere “a favore del basso clero e del laicato”.

L’elezioni popolari dei parroci

Sempre secondo previsione, questa riforma avrebbe dovuto riguardare anche la nomina di sacerdoti che si sarebbe voluta “dal basso”. Per Mancini “il futuro della Chiesa sta nell’elezione popolare” (dei parroci). Una pretesa conforme alla politica ecclesiastica del giurisdizionalismo, sistema di rapporti in cui lo Stato controlla l’organizzazione della Chiesa, ma anche una soluzione dettata dall’esigenza di “prevenire i temuti pericoli ed inconvenienti” costituiti dalla nomina di vescovi e sacerdoti avversi al potere dello Stato.

La questione ecclesiastica in Italia

Le varie repliche del Guardasigilli e del Presidente del Consiglio si mantennero tutte sul terreno della realpolitik. Il Ministro della Giustizia introdusse la sua replica a La Porta chiedendo all’aula “se realmente arde in Italia una questione ecclesiastica” e rispondendo da solo alla sua domanda disse: “permettetemi che vi dica che io non credo che esista. Esiste benissimo, o signori, un clero malcontento e querulo o che nutre anche sentimenti non benevoli verso il Governo… ma non possiamo però dire che questo clero traduca i suoi sentimenti in atti di resistenza e di ribellione alle leggi dello Stato”.

La replica di Mancini

Arrivò poi a dire che “a questa legge noi dobbiamo la vita tranquilla e pacifica che abbiamo menato nei cinque anni dacché ci troviamo in questa metropoli del mondo cattolico”. La Porta gli fece notare che la legge in questione era stata emanata con meno privilegi per la Chiesa rispetto a quelli proposti proprio dallo stesso Guardasigilli e che questi nella sua applicazione l’aveva in pratica emendata a suo piacimento. Mancini replicò ai presunti benefici della legge e della sua applicazione parafrasando Gaio Cornelio Tacito: “se si chiama pace la servitù, la tolleranza del male, la non curanza che i tristi compiano i loro propositi antinazionali, io preferisco la lotta, la guerra, la difesa della verità, del dritto, dell’onore del nome nazionale; io ripudio assolutamente la pace indecorosa e vigliacca di cui vi faceste banditori e promotori”.

Tante furono le mozioni presentate dal Parlamento in quella discussione ed andavano dalla semplice richiesta di rispetto della suppur contestata legge (anche Mancini chiedeva questo) all’abrogazione della stessa. E non mancarono richieste di soluzione alle questioni che l’art. 18 della stessa legge rimandava ad una successiva riforma (quella dei beni ecclesiastici).

La proposta dell’Onorevole Agostino Bertani

L’ultima e più estrema proposta fu fatta dall’onorevole Agostino Bertani l’8 maggio 1875 e testualmente recitava così: La Camera, riconoscendo fin d’ora che la legge Sulle prerogative del Sommo Pontefice e della Curia romana e sulle Telamoni della Chiesa collo Stato, anziché raggiungere, dopo quattro anni di esperienza, lo scopo agognato dall’Italia ed esemplare per gli Stati cattolici di Europa, di separare la Chiesa dallo Stato, ravvolse questo e quella e vincolò in un circolo dannoso ad ambiane; Ispirandosi al supremo diritto umano delia libertà di coscienza; Invita il Ministero a presentare un nuovo progetto di legge in cui la garanzia della libertà escluda quella del privilegio e stabilisca l’uguaglianza di tutte le credenze religiose innanzi la legge”.

Agostino Bertani

Bertani di li a due anni sarebbe stato il leader fondatore dell’Estrema Sinistra Storica che non appoggiò i governi di Sinistra succedutisi dal 1876. Da questa nuova area politica, che si ispirava al Partico d’Azione di Giuseppe Mazzini, nel 1892 si staccò la componente che avrebbe dato vita al Partito Socialista Italiano (da cui nel 1921 si scisse il Partito Comunista d’Italia) così come nel 1895 un’altra componente diede vita al Partito Repubblicano. Quel che rimaneva dell’Estrema Sinistra nel 1904 si costituì come Partito Radicale (anche questo detto “storico”, che cessò nel 1922 e che non va confuso con i Radicali di Pannella). La proposta di Bertani non poteva che essere la più radicale e al giorno d’oggi, in cui si discute periodicamente (ma sempre a vuoto) di una legge sulla libertà di culto che sostituisca la legge sui “culti ammessi” del 1929 (ancora in vigore seppur emendata), l’abolizione della logica concordataria resta l’orizzonte per una reale parità di tutte le religioni davanti alla legge.

Come andò a finire?

Dagli atti parlamentari si evince un livello di discussione di ben altro rango rispetto a quello consolidatosi dall’avvento della Seconda Repubblica, ma il seguito di certe dichiarazioni roboanti è lo stesso che ci si potrebbe aspettare oggi. Su invito del Presidente del Consiglio, che fece anche leva sul regolamento parlamentare, tutte le mozioni furono ritirate e ne fu approvata una di fiducia al Governo secondo la quale: “La Camera, prendendo atto delle dichiarazioni del Ministero intorno all’indirizzo della politica ecclesiastica, fidente che il Ministero applichi con fermezza a tutela dei diritti dello Stato le leggi che ne governano le relazioni colla Chiesa, e che presenterà la legge richiesta dall’articolo 18 della legge 13 maggio 1871, passa all’ordine del giorno”. Tra quelli che votarono contro questa mozione troviamo i succitati La Porta, Mancini e Bertani.

Quando nel 1876 la Sinistra andò al governo Mancini fu il Ministro della Giustizia e dei Culti ma la riforma dei beni ecclesiastici prevista dall’art.18 della Legge sulle Guarentigie, tanto reclamata ai tempi in cui la sinistra era all’opposizione, non fu fatta e non sarebbe mai stata fatta nei successivi decenni. Mancini inoltre, quando poi fu Ministro degli Esteri, diete il via alla politica coloniale del Regno inaugurata quindi da un governo di sinistra molto prima dell’avvento del Fascismo.

Il primo atto di questa politica fu l’acquisto nel 1882 della baia d’Assab (Eritrea) da parte della Compagnia Rubattino. A chi rinfacciava a Mancini il suo passato da teorico del diritto all’autodeterminazione delle nazioni egli argomentava della legittimità che hanno i popoli civili di esercitare anche fuori del territorio nazionale “una missione di pacifico incivilimento” (R. Battaglia, La prima guerra d’Africa, Torino 1958).

Lo scenario attuale

Se è vero che la Storia si ripete sempre due volte, prima come tragedia e poi come farsa, possiamo dire che ora siamo alla farsa. Nel 2020 in Italia vige una gerarchia del diritto al culto decisamente fuori dalla storia: al primo posto c’è la Chiesta Cattolica col suo Concordato, al secondo posto ci sono le confessioni che hanno stipulato un’Intesa con lo stato (una sorta di concordato di serie B, ai sensi dell’art.8 comma 3 della Costituzione), ed al terzo ed ultimo posto ci sono tutti gli altri.

Oltre 2 milioni e mezzo di fedeli musulmani in Italia

Mancando una legge che renda concretamente fruibile il diritto costituzionale al culto nella sua forma collettiva e pubblica (art.19 della Costituzione) soprattutto per quel che riguarda la realizzazione dei luoghi di culto, ed essendo la strada concordataria una possibilità ma non un diritto (le parti non sono obbligate a scendere a patti), esiste un vuoto normativo che lascia tutte le confessioni senza Intesa in un limbo senza via d’uscita. Il caso più emblematico è quello dell’Islam che conta in Italia oltre 2 milioni e mezzo di fedeli, di cui circa 1 milione con cittadinanza italiana. E’ ragionevole pensare che lo Stato Italiano non arriverà mai ad un’Intesa con i musulmani (o a più intese separate come avvenuto recentemente con i Buddisti) e quindi la seconda confessione del paese resta di fatto per lo più fuori da un livello civile di diritto al culto.

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