Il mio Libano strangolato dal cappio del debito: intervista all’editore Wissam Mansour

Abbiamo intervistato Wissam Mansour, imprenditore franco-libanese che gestisce insieme alla sua famiglia le edizioni Al Bouraq, una delle principali case editrici di testi islamici, riconosciuta a livello mondiale per la serietà e accuratezza delle sue pubblicazioni sulla situazione che si è venuta a creare in Libano e, in particolare a Beirut. 

In questa intervista non vogliamo parlare di questo evento catastrofico rappresentato dall’esplosione al porto della capitale, ma di quello che è successo in questi mesi da un punto di vista economico.

La stampa ha parlato chiaramente del default dello Stato e del Paese. In quanto imprenditore legato al Libano per motivi profondi, pensi che sia vero? In tal caso, quali sono le ragioni di ciò.

In effetti, la situazione in Libano negli ultimi mesi è davvero peggiorata. La tragedia del porto si aggiunge a una serie di eventi più o meno tragici che da diversi decenni non cessano di colpire la terra dei cedri.

La dimensione economica non può, a mio avviso, essere dissociata dalla geopolitica regionale (questione palestinese, crisi siriana) senza trascurare la dimensione socio-culturale.

Sono sinceramente attaccato al Libano, il paese della mia infanzia, che ho lasciato da adolescente 35 anni fa. Le mie numerose visite annuali, sia familiari che professionali, mi hanno permesso di osservare cambiamenti fondamentali nel umus libanicus.

Il materialismo in senso filosofico è diventato la FEDE che anima la società.

Accumulare ricchezza, con ogni mezzo, rappresenta la realizzazione dell’essere. La quantità è la regina per eccellenza. L’avidità ha portato fuori strada la maggior parte della popolazione. La corruzione delle menti è quindi un luogo comune.

Quello a cui stiamo assistendo oggi è solo il frutto amaro di ciò che è stato seminato in passato. Questa è la conseguenza delle scelte politiche e finanziarie messe in atto da tutti i governi dalla fine della guerra civile nel 1992. Le casse dello Stato sono state “ripulite” da politici che mai smesso di servire loro stessi invece di servire le persone. Troverete una dozzina di politici MILIARDI in euro mentre l’acqua e l’elettricità sono razionate in tutto il Paese.

Anche negli anni delle guerre civili la lira libanese ha sempre retto e sembra che questo sia dipeso dalla centralità dei servizi di intermediazione finanziaria attivi nel Paese. Cosa è cambiato?

I tanti protagonisti della guerra civile libanese erano legati a forze straniere (regionali e internazionali) che vedevano il Libano come campo di battaglia per regolare i loro conti in sospeso. Queste forze hanno sostenuto i loro alleati finanziandoli. Decine o addirittura centinaia di milioni di dollari sono entrati dai paesi della regione (monarchie petrolifere, Iraq, Libia, ecc.) per alimentare la macchina della guerra. Il settore bancario libanese, uno dei più sviluppati della regione, ha approfittato della situazione. Quindi il denaro straniero immesso nel Paese, in particolare quello dell’OLP, ha permesso la buona salute della lira libanese. All’indomani della guerra civile in base agli accordi di Taif, centinaia di migliaia di miliziani e simpatizzanti dei belligeranti sono diventati dipendenti pubblici (esercito, polizia, gendarmeria e altre funzioni) occupando impieghi fittizi. Il clientelismo politico si è istituzionalizzato. Così il notabile (za’im) e la sua cerchia ristretta possono imperversare senza la minima preoccupazione.

Il sistema è relativamente semplice: lo Stato prende in prestito dalle banche nazionali che detengono i risparmi delle persone per i grandi progetti. I politici di tutti i partiti si tengono i soldi senza portare a termine alcun progetto. Il risparmiatore è tacitato con da un tasso di remunerazione che può arrivare fino al 20%. (Sistema piramidale detto anche Schema Ponzi).

Il debito interno del 170% del PIL potrebbe aver spaventato le maggiori istituzioni internazionali. Come s’ è arrivati a tanto?

All’indomani degli accordi di Taif, che segnano la fine della guerra civile, lo Stato ha dovuto indebitarsi per la ricostruzione del Paese. I politici hanno ritenuto opportuno concentrarsi sul debito estero in dollari con tassi elevati. La decisione è stata approvata nonostante l’opposizione di alcuni deputati (a sinistra) che hanno messo in guardia contro questa scelta. Il governo dell’epoca, con il sostegno della maggioranza parlamentare, votò per il debito. Tutto senza eccezioni era orientato all’arricchimento personale a scapito del popolo e delle casse dello Stato

. Alcuni credevano nella cancellazione di questo debito in caso di un accordo di pace globale nella regione e in particolare nella naturalizzazione dei profughi palestinesi in Libano. Ma l’accordo non si è mai realizzato, il debito ora si aggira intorno ai 200 miliardi di dollari, il Paese è rovinato, la gente è immiserita.

Quali prospettive realistiche vedi per il Libano?

Gibran, saggio e filosofo libanese ha detto quello che ha cantato Fayrouz:

“Guai alla nazione in cui sette e ideologie abbondano ma è priva di fede; guai a una nazione che si veste di abiti che non produce, mangia quel che non coltiva e beve ciò che non è frutto del proprio lavoro. Guai a una nazione che considera eroe il tiranno e vede misericordioso il conquistatore sprezzante; e guai ad una nazione incapace di alzare la voce se non nell’occasione di un funerale, va fiera del suo stato dissoluto, e non si ribella finché la spada non la minaccia alla gola.

Guai a una nazione il cui sovrano è una volpe, il suo filosofo è un truffatore e la sua arte non è che copia ed imitazione. Guai a una nazione che accoglie il suo sovrano con tamburi e lo licenzia con fischi, per poi riceverne un altro con tamburi e suoni.  Guai a una nazione i cui uomini saggi tacciono da troppo tempo e i cui uomini forti restano a dormire.  Guai a una nazione lacerata in fazioni, e ogni fazione si crede nazione*.”

*(Testo di Jibran Khalil Jibran, la famosissima cantante libanese Fayrouz ne fece le parole di una famosa canzone)

I libanesi devono imperativamente prendere in mano il loro destino. Liberati dall’influenza straniera e dall’arcaico sistema politico feudale e confessionale. Le forze esistono e devono essere canalizzate per essere utilizzate per lo sviluppo del Paese.