Sulle tracce dell’Emirato di Bari, la Baghdad di Puglia


Alla vigilia della conquista araba della Sicilia, l’impero islamico si estendeva già “da est ad ovest per duecento giornate di viaggio, dai confini della Tartaria e dell’India fino alle sponde dell’Oceano Atlantico”1.

Stringendo in una mano la sciabola, nell’altra il Corano, i valorosi eserciti dell’Islam, con devoto entusiasmo, conquistavano città, edificavano moschee, rovesciavano dinastie millenarie.

Dalla Persia alla Siria, dall’Egitto al Maghreb (al-Magrib, “il tramonto” o “l’occidente”), balzando a sud oltre la titanica catena dell’Atlante, e a settentrione superando agevolmente le famigerate Colonne d’Ercole, suscitavano, con la loro temperanza, sincera e unanime ammirazione.

“La lingua e le leggi del Corano erano studiate con pari devozione a Samarcanda come a Siviglia. Nel pellegrinaggio alla Mecca il Mauro e l’Indiano si abbracciavano come fratelli e compatrioti e l’arabo fu adottato come lingua del popolo in tutti i territori a occidente del Tigri”2.

Per un quarto di secolo (847-871), l’emirato 3 di Bari, cuore della Puglia, poteva onorarsi dell’ufficiale riconoscimento del califfo di Baghdad, assisteva alla successione di ben tre emiri, ospitava l’edificazione di una moschea.

Un quarto di secolo rientrante nei quasi duecento anni di “supremazia saracena in tutto il vasto specchio d’acqua compreso tra penisola iberica, penisola italica e Maghreb”4. Mentre la Sicilia si avviava a vivere quel secolo, il decimo, di massimo splendore, nel corso del quale la civiltà musulmana insulare rigogliosamente sbocciava, al pari di quanto già avvenuto in Spagna, l’emirato arabo di Bari rappresentava il principale dominio stabile islamico sulla penisola appenninica.

Comprendendo l’area delle attuali province di Bari, Taranto, Matera, Barletta, Andria e Trani, insieme al nord di Brindisi, con un’invidiabile corona di ben ventiquattro castelli, potrebbe esser definito un piccolo Stato di fede islamica, di fatto politicamente autonomo, collegato alla madrepatria araba in maniera diretta, e non per tramite della vicina Sicilia, paragonabile “a quelle colonie del Maghreb e di Spagna che, nate nella stessa maniera, erano poi divenute, col favore di Allah e del caso, stati indipendenti”5.

Relazionarsi direttamente con i califfi abbasidi di Baghdad, diretti discendenti del Profeta, quindi con gli intransigenti Arabi conquistatori, piuttosto che con i Berberi siciliani o africani, si traduceva in una volontà di investitura da parte della massima autorità, con la ricerca di un attento rigore agli aspetti formali del credo.

Bari, al tempo era limitata alla sua porzione medievale, oggi comunemente conosciuta come Barivecchia, in contrapposizione con la parte “nuova”, sviluppatasi a partire dal 1813 per volere del Re di Napoli Joachim Murat.

È la piccola penisola attualmente racchiusa tra il porto vecchio a sud-est 6 e il grande porto moderno a nord-ovest, il più importante nell’intero Adriatico per passeggeri e cabotaggio.

Oggi vicoli di pietra bianco-avorio, imbrunita dal tempo, ospitano le laboriose donne del borgo che, come da tradizione secolare, preparano con la solita maestria le tipiche orecchiette, la pasta fatta in casa simbolo di Bari e di tutta la Puglia, mentre ondate profumate di “panzerotti” fritti e di focaccia barese, altro insostituibile simbolo di appartenenza, invadono le piazzette.

L’impianto urbanistico del cuore storico di Bari è proprio quello medievale, con i suoi vicoli stretti, a tratti labirintici, le corti e le piazzette, il tutto racchiuso nell’antico circuito murario. Già senz’altro una città “di mare”, non solo banalmente “sul mare”, una città-porto, e non una semplice città con un porto 7, ma soprattutto un ponte, culturale e commerciale, tra levante e ponente.

La sua posizione strategica, affacciata sul versante occidentale del basso Adriatico, ne fecero, nel giro di pochi secoli, dapprima una città peucetica (combattive genti indoeuropee di stirpe illirica e provenienti dalla penisola balcanica), poi un importante municipium romano, nodo stradale lungo la Via Appia-Traiana, la Regina Viarum, nonché celebre porto. Dopo la caduta di Roma, Bari fu aspramente contesa da Bizantini e Ostrogoti, nel corso della guerra goto-bizantina del 535, per trasformarsi successivamente in un’autorevole città longobarda.

Quando venne il tempo dell’emirato di Bari, la città pugliese rappresentava da subito il principale insediamento islamico nell’intera penisola italica 8. È sufficiente addentrarsi, ancora oggi, nei medievali labirinti di viuzze di Barivecchia, nei meandri di volute e corti, fino al sagrato antistante la romanica basilica di San Nicola, per smarrirsi finalmente di fronte ad una piazza che nulla ha della tipica piazza italica, apparendo di gran lunga più simile ad una “corte di moschea, e, sia pure in piccolo, l’Haram 9”.

Nella fusione di elementi arabi e longobardico-germanici è tutto il senso di un ricercato smarrimento, che solo il felice incrocio di culture agli antipodi, come quelle nordiche e orientali, può produrre. Una magnifica città murata, Bari medievale, capostipite di altri borghi minori, parimenti fortificati, o meglio murati come uno scrigno lapideo, che si susseguono proseguendo, sempre lungo il litorale, in direzione nord: Giovinazzo, Molfetta, Trani, Barletta.

Mercato Bari Vecchia

Prerogativa del Romanico di Puglia, quest’applicazione di idee arabo-orientali sul modello del romanico francese. D’altronde, “Bari Vecchia è l’aggregato arabo, e quando non è Gerusalemme, è Damasco: le volte hanno il senso del mercato coperto, che sia Bazar o Suk”10. Fondamentale risulta, per ricostruire le vicende storiche di Bari islamica, la voce del cronista al-Balãdhurî, che scrive le sue preziose narrazioni nel cuore culturale dell’Islam della seconda metà del IX secolo, Baghdad 11.

Bari Vecchia

Nell’anno 847 Bari fu conquistata con l’astuzia da Al-Khal Fùn, un berbero 12 della tribù dei Banu Rabi’a, più simile ad Odisseo che ad Achille, grazie ad alcuni cunicoli sotterranei incustoditi. Il primo emiro trasformò la cittadina pugliese nell’inespugnabile base operativa di spedizioni militari e di razzia verso la Campania, oltre che avamposto adriatico-meridionale del commercio degli schiavi, della ceramica e del vino, coadiuvata dalla vicina Taranto, già musulmana, probabile
appendice dell’emirato barese. Bari era una città imprendibile, si diceva poc’anzi, difesa a sud da mura imponenti, dallo spessore enorme, e a settentrione dall’innalzamento della scogliera.

Le milizie armate dell’emiro, cavalcando scalpitanti destrieri arabi con ardore, aggredivano furiosamente le terre campane, per poi rientrare tempestivamente nella fortezza adriatica.

Oltre che controllare tutta la parte più ricca della Puglia, l’emiro poteva agevolmente navigare da e per le altre terre islamiche del Mediterraneo occidentale, grazie alle ottime potenzialità del porto. Col secondo emiro, Mufarraj Ibn Sallam, tra gli anni 853 ed 856, si registrò invece l’edificazione della moschea, presumibilmente nell’area dove sarebbe successivamente sorta la cattedrale di San Nicola. Era la moschea dove si radunavano i fedeli, per la preghiera del venerdì.

L’appello ad Allah risuonava ormai tra i vicoli di Bari medievale, Barŭh, dalla grazia e possanza di una moschea che guardava con orgoglio all’Adriatico, le cui acque quasi ne lambivano le pareti. Infine venne il terzo emiro, il prode Sawdan, coraggioso come un leone e grande statista, ma anche fervido amante della cultura,“come tanti altri capi musulmani che popolano la storia mediterranea del Medioevo”13.

Fortificò ulteriormente Bari, già inespugnabile. Ultimò l’edificazione della moschea, eresse il palazzo emirale, insieme ad altre opere pubbliche, di pregevole fattura, al punto che Bari veniva definita dagli islamici, la Baghdad di Puglia 14.

Contemporaneamente, Sawdan favorì il commercio con la Barberia e con l’oriente islamico, sigillando alla perfezione la predisposizione barese agli scambi, in particolare marittimi, che si sarebbe perpetuata nei secoli, fino ai nostri giorni.

Se gli interventi edilizi degli emiri testimoniano una ferrea volontà a garantire un’islamizzazione di Bari stabile e duratura, la storia avrebbe intrapreso presto un’altra direzione. Fu il franco Ludovico II, detto il Giovane, della gloriosa dinastia dei Carolingi, a rovesciare, nell’anno 876, l’ultimo emiro, Sawdan, dopo una temeraria e ferma resistenza 15. Si trattava degli avi di quella Francia dei Re Cristianissimi, che, tra Cinque e Settecento, si sarebbe rivelata “la principale alleata della Sublime Porta d’Istanbul”16, I Franchi, valorosi e fieri, furono sostenuti nel lungo assedio di Bari dai rissosi Longobardi, nella paziente attesa dei furbi Bizantini, interessati anch’essi a rivendicare il dominio  sull’area meridionale della penisola appenninica 17.

Di conseguenza, nello stesso anno Bari, ritornata nell’orbita di Costantinopoli sotto l’Imperatore Basilio I il Macedone, divenne capoluogo del thema di Longobardia, comprendente l’intero territorio dell’attuale Puglia. La città adriatica rappresentò la capitale di tutti i domini bizantini in Italia fino al 1071 18. Una stagione dorata si concludeva,  relativamente breve, ma in grado di incidere in maniera profonda, urbanisticamente e antropologicamente, nel tessuto barese e pugliese.

I lasciti dell’emirato non furono pochi, e vanno anche oltre le categorie finora evidenziate. Non rappresenta forse la stessa cucina pugliese, a cavallo tra terra e mare, una genuina testimonianza delle tante influenze stratificatesi nei millenni, normanne e francesi, romane e bizantine, spagnole e, appunto, arabo-islamiche?

Un excursus negli squisiti meandri della cucina pugliese aiuta a cogliere parzialmente l’enorme mole ereditaria arabo-islamica e successivamente islamico-ottomana. Ritornando alle orecchiette, l’essiccazione delle paste alimentari è notoriamente introdotta nel meridione d’Italia dagli arabi, che ne facevano già da secoli largo uso, per assicurarsi una fonte alimentare di lunga conservazione, nel corso dei temerari spostamenti attraverso mare e deserti 19. Se gli ulivi furono condotti in Puglia dai naviganti dell’antica Grecia, furono i romani e poi gli arabi a incrementarne la coltivazione.

Furono sempre gli arabi ad introdurre in Puglia l’uso delle spezie nei piatti, ancor prima che la “via delle spezie”, al seguito di guerrieri franchi e pellegrini di ogni città d’Europa, approdasse lungo le coste apule 20.

Retaggi arabi sono individuabili anche negli accostamenti agrodolci di pietanze condite di pecorino, uvetta e pinoli 21, nei dolci come la “calva”, a base di grano, mandorle, noci, cannella, frutta candita e chiodi di garofano 22, oppure nel “calzoncello”, divenuto simbolo del natale pugliese,immaginato come il guanciale su cui Gesù, da neonato, posò il capo23.

Grazie agli arabi approdarono in Puglia, nel IX secolo, il latte di mandorle, che nella tradizione locale è immaginato come il latte con cui la Vergine Maria nutrì il suo figlioletto Gesù 24, le ricette di scapece, ovvero il pesce in askipecia, cioè marinato25, con le sue varianti locali, e la stessa essiccazione dei fichi 26 oppure la “copeta”, qubbath, una sorta di torrone a base di miele, mandorle, zucchero e albumi, che però raggiunse la Puglia al seguito dei Crociati, di ritorno dalla Terra Santa27.

Ma l’eredità principale fu un’altra.

Erano pervenuti grandi flussi di denaro, finalizzati agli imponenti lavori edilizi summenzionati, mentre un clima di tolleranza e rispetto, prevedibile nei confronti dei cittadini baresi islamici, abbracciava anche quelli di fede cristiana ed ebraica, facendo sì che ben pochi rimpiangessero la soffocante macchina fiscale bizantina, pronta tuttavia a mettersi ben presto in moto. Ad una città già naturalmente predisposta verso il commercio, in particolare marittimo,  non poteva non far gola rendersi protagonista di nuove rotte di scambio con le terre del Maghreb e dell’Oriente islamico.

La vocazione marinara di tutta la fascia costiera pugliese, da Brindisi a Siponto, passando per Monopoli, Molfetta, Giovinazzo, Trani, Barletta, uscì, dall’esperienza araba, enormemente rafforzata.

La vita rifiorì lungo la costa pugliese centro-settentrionale, e da quel momento le città marittime della summenzionata fascia conobbero uno sviluppo straordinario.

 

Note 

1 Gibbon E., Declino e caduta dell’impero Romano, Vol. V, Res Gestae, Milano, 2015, p. 345.
2 Ibidem.
3 “Emiro”, dall’arabo amir, cioè capo militare, principe. Cfr. Cardini F.- Montesano M., Storia medievale, Le Monnier, Firenze, 2006, p. 160.
4 Ibidem.
5 Musca G., L’emirato di Bari 847-871, Dedalo, Bari, 1967, p. 38.
6 Trattasi dell’area portuale racchiusa tra molo San Nicola e molo Sant’Antonio, comprendente lo scalo di alaggio denominato in vernacolo N-derre la lanze, luogo simbolo della “baresità” nella veste di mercato ittico all’aperto, dove da sempre i pescatori vendono le loro mercanzie ittiche, in particolare i frutti di mare che, consumati crudi, rappresentano un’altra tradizione cittadina, di origine magno-greca                          7 Per una sintetica ma esaustiva definizione dei concetti ci cui sopra, cfr. Matvejevic P., Breviario mediterraneo, Garzanti, Milano, 1999, pp. 25-26. Aggiungerei le parole del maestro Cesare Brandi: “Bari medievale, come Molfetta, Giovinazzo, Bisceglie, nasce sul mare e sul mare si abbarbica. Dal mare viene la sua vita (…)”. Cfr. Brandi C., op. cit., p. 31.
8 Bonoldi L., Bari, Skira, Milano, 2009, pp. 18-22.
9 Brandi C., Pellegrino di Puglia, Bompiani, Milano, 2000, pp. 31-33.
10 Ibidem.
11 Musca G., Op. cit., p. 11.
12 Ivi, p. 36: “I Berberi, chiamati Mauri già da Romani e Bizantini, erano gli indigeni del Maghreb, sottomessi e
convertiti dagli Arabi conquistatori”.
13 Ivi, p. 76.   

14 Giardina R., L’Europa e le vie del Mediterraneo, Bompiani, Milano, 2006, p. 153.
15 “(…) Sawdan, che si era battuto come un leone”, specifica Cardini. Cfr. Cardini F.- Montesano M., Storia
medievale, op. cit., p. 162.
16 Cardini F., L’Europa e l’Islam “nemici storici”? Una leggenda infondata, «libertàcivili», sett.-ott. 2017, p.13.
17 Abulafia D., Il grande mare. Storia del Mediterraneo, Mondadori, Milano, 2010, p. 245.
18 Ma l’abbraccio tra Puglia e Islam si sarebbe ben presto riproposto. Sia sufficiente una menzione a Lucera Saracenorum, la Lucera dei Saraceni, di federiciana memoria, quattro secoli dopo. Nonostante il grande balzo cronologico in avanti, siamo ancora a centinaia e centinaia di anni prima di quella storia così recente, di un impero islamico che non è più arabo ma turco-ottomano, fondato da genti non più provenienti dai rocciosi e sabbiosi deserti della penisola arabica, ma che, dalle sterminate steppe dell’Eurasia, si erano insediati nell’Anatolia nord-occidentale, per poi divenire uno delle maggiori imperi della storia del Mediterraneo. Cfr. Barbero A., Il divano di Istanbul, Sellerio,
Palermo, 2015, p. 37: Nel 1480, “ (…) una flotta turca sbarca ad Otranto, prende la città e per qualche mese sembra che la voglia tenere, che la voglia annettere all’impero ottomano: le chiese sono trasformate in moschee”. Cronache di epoche relativamente recenti, che hanno lasciato il segno non solo ad Otranto, ma anche in altre località costiere della Puglia meridionale: Castro, Tricase, Leuca. Vicende che si susseguono appena dieci anni prima che naviganti parlanti lingue neolatine approdassero in quel continente chiamato America.
19 Stagnani V., Cucina vecchia buoni piatti di Puglia e Lucania, Progedit, Bari, 2004, p. 2.; Sada L., La cucina pugliese, Newton Compton, Roma, 1994, p. 18.
20 Giangregorio L., Cucina pugliese, Panozzo, Rimini, 2006, pp. 6-7.
21 Ivi, p. 26.
22 Ivi, p. 50.
23 Ivi, p. 51.
24 Ivi, p. 53.

25 Sada L., Op. cit., p. 10.
26 Ivi, p. 211.
27 Ivi, p. 212.

Bibliografia

Abulafia D., Il grande mare. Storia del Mediterraneo, Mondadori, Milano, 2010.
Barbero A., Il divano di Istanbul, Sellerio, Palermo, 2015.
Bonoldi L., Bari, Skira, Milano, 2009.
Brandi C., Pellegrino di Puglia, Bompiani, Milano, 2000.
Cardini F., L’Europa e l’Islam “nemici storici”? Una leggenda infondata, «libertàcivili», settembreottobre 2017, pp. 8-16.
Cardini F.,- Montesano M., Storia medievale, Le Monnier, Firenze, 2006.
Giangregorio L., Cucina pugliese, Panozzo, Rimini, 2006.
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Stagnani V., Cucina vecchia buoni piatti di Puglia e Lucania, Progedit, Bari, 2004.