Gli egiziani tornano in piazza contro Al Sisi: fame, corruzione e fallimenti internazionali fanno esplodere la piazza

In un Egitto sempre più povero e stretto in una morsa repressiva senza precedenti storici, migliaia di cittadini sono tornati in piazza. Da ormai tre giorni consecutivi, si alternano manifestazioni che chiedono la caduta del governo militare del paese e del presidente Abdel Fattah El-Sisi, secondo gli slogan gridati dai manifestanti. 

Le manifestazioni hanno avuto inizio il 20 settembre in risposta all’appello dell’artista e uomo d’affari Mohamed Ali, attualmente esule in Spagna, in un momento di forte tensione sociale in Egitto a causa della legge sulla demolizione di case nota come “Legge sulla Riconciliazione”. Attraverso questa norma lo Stato pretende che i poveri paghino ingenti somme in cambio di preservare la casa dalla campagna di demolizione, il governo la chiama “riconciliazione”. Nelle settimane precedenti infatti numerosi palazzi sono stati abbattuti, lasciando senza casa decine di migliaia di cittadini appartenenti alle classi più povere, che non hanno potuto pagare quello che viene percepita dai più come un “pizzo” da pagare ad uno Stato mafioso.

Le manifestazioni, che si sono svolte negli ultimi giorni hanno avuto luogo particolarmente in diversi quartieri popolari e villaggi nei governatorati tra cui Giza, Qalyubia, Fayoum e Alessandria fino ad Assuan. Nella Grande Cairo le zone toccate dalle proteste sono state soprattutto Shubra al-Kheima, Qalyubia, al-Warraq e Al-Ayyat a Giza, dove folle di manifestanti di ogni età hanno protestato contro le recenti decisioni del presidente, invitando la gente a unirsi a loro, nonostante la mobilitazione e l’inasprimento della sicurezza imposto dalle forze di sicurezza.

Al Sisi è diventato il simbolo dell’oppressione: dal Libano all’Algeria, dal Sudan alla Tunisia, le piazze scandiscono slogan contro il tiranno d’Egitto

Sui social network, l’hashtag #mesh_ayzinak (#non_tivogliamo) ha spopolato e si è ritrovato come hashtag più ritwittato in Egitto, dopo che Al Sisi aveva arrogantemente dichiarato, ancora una volta, che non sarebbe rimasto al potere se la gente voleva che se ne andasse. Mentre le forze di sicurezza egiziane hanno isolato le piazze principali del Cairo e delle principali città, in attesa dei manifestanti, i manifestanti hanno sorpreso tutti partendo dalla periferia più povera delle città e dal cuore dei villaggi di molti governatorati. 

Sullo sfondo del malcontento popolare che sta segnando il più forte calo di popolarità del Presidente Abdelfattah al Sissi da quando salì al potere grazie ad un colpo di Stato militare nel Luglio del 2013, ci sono sette anni di fallimenti interni, tra i quali spiccano le cattive condizioni di vita, la svalutazione della lira egiziana, i prezzi elevati, l’altissima disoccupazione, la mancanza di libertà e la spietata repressione, così come l’enorme problema con l’Etiopia per la diga “Al Nahda” (che rischia di privare l’Egitto dell’acqua necessaria per la sua crescente popolazione), la perdita delle isole egiziane di Tiran e Sanafir a favore dell’Arabia Saudita in cambio dei prestiti ultra-miliardari con cui Al Sissi ha indebitato l’Egitto. 

Una coalizione di forze politiche e personalità egiziane ha affermato che il movimento sorto con queste nuove proteste è il preludio di un movimento più ampio e di una grande rivolta che travolgerà l’Egitto. Il gruppo ha aggiunto in un comunicato che “il movimento non si fermerà fino alla liberazione dell’Egitto dai suoi stupratori, che hanno tradito il paese, insultato l’establishment militare e coinvolto il paese in accordi corrotti”.  Nel comunicato, il gruppo delle forze politiche ha affermato il proprio sostegno al movimento popolare contro l’ingiustizia e contro la legge sulla demolizione delle case.

Tra le forze più importanti firmatarie del comunicato ci sono le forze dal background islamico dei Fratelli Musulmani, dell’Alleanza nazionale per il sostegno alla legittimità (Al tahaluf al watani li-da’am al shara’iyah), dei Parlamentari Egiziani all’estero, dell’Hizb al Islah (Partito della Riforma), dell’Hizb al Fadila (Partito della Virtù), dell’Hizb al Islami (Partito Islamico) e il partito laico Hizb Ghad al Thawra (fondato da Ayman Nur, ex-candidato alla Presidenza contro l’ex-Presidente Hosni Mubarak e attualmente in esilio all’estero).

Ibrahim Munir, vice guida generale dei Fratelli musulmani e, dopo l’arresto di Mahmud ‘Ezzat, attuale leader della Confraternita, ha elogiato il movimento di cui l’Egitto è stato testimone dal 20 settembre e ha affermato che queste manifestazioni rappresentano un inizio positivo per il popolo egiziano che ha iniziato a rompere la barriera della paura. 

Nonostante l’appoggio delle principali forze organizzate del paese, forze duramente provate da sette anni di durissima repressione, le manifestazioni rispecchiano la rabbia di una popolazione stremata da una situazione economica gravissima e senza precedenti. I manifestanti non appaiono guidati da particolari ideologie o forze politiche, ma dimostrano la spontaneità di un popolo esasperato al punto da non temere nemmeno più la prevedibile ondata di arresti che si è infatti scatenata sin dal primo giorno. Chi protesta sono in particolare giovani e giovanissimi, ma non mancano donne, uomini e anziani, un popolo intero che non sembra più disposto a sopportare oltre.

Nei quartieri popolari e nei villaggi mancano acqua ed elettricità, il diritto alla salute è diventato una chimera, le misure anti-Covid hanno portato ulteriore disagio ad una popolazione che vive perlopiù di economia informale, in un paese che è sempre stato caratterizzato da ampie ingiustizie sociali ma che negli ultimi anni ha visto polverizzarsi le già deboli classi medie e ampliarsi a dismisura le differenze sociali, con una piccola percentuale di ricchi sempre più ricchi e la stragrande maggioranza ulteriormente impoverita.

Ora gli aumenti dei trasporti e dei beni di prima necessità tra cui il pane, le demolizioni di case e di moschee che hanno privato i più poveri anche delle loro pur misere abitazioni e offeso il profondo senso religioso che ha sempre caratterizzato il popolo egiziano – mentre Al Sissi spende miliardi per opere faraoniche considerate inutili e tese solo a favorire chi lo circonda – rischiano di essere la goccia che fa traboccare il vaso e costare ad Al Sissi quel potere raggiunto a prezzo di un golpe sanguinoso e delle sofferenze di milioni di egiziani che hanno visto continuamente peggiorare le proprie condizioni di vita.  

Ultimi aggiornamenti:

Nel momento in cui scriviamo questo articolo, la sera del 23 Settembre, quarto giorno consecutivo di proteste, dopo un pomeriggio di tensioni all’esterno della sede della Sicurezza Nazionale di Assuan, dove le famiglie dei giovanissimi arrestati – tra di loro anche bambini di 10 anni – hanno fatto sit-in chiedendo la liberazione dei propri figli, anche le strade del Cairo sono state invase da un fiume in piena di folla festante e determinata che è riuscita, grazie all’altissimo numero di manifestanti e approfittando della disattenzione della Polizia nelle ore notturne, a puntare su Piazza Tahrir.

E per venerdì 25 settembre si sta già diffondendo la chiamata a manifestazioni in tutto l’Egitto, sotto l’appellativo di “Juma’a al ghadab”, “venerdì della rabbia”, il cui hashtag sta già raggiungendo numeri impressionanti, nonostante l’occhiuta sorveglianza degli apparati di Sicurezza egiziani su tutto il web. Nuovi sviluppi sono in arrivo.