Perchè la protesta di Napoli può contagiare l’Italia

Per una lunga sera Napoli si ribella al volto da tiranno provinciale di De Luca, alla minaccia di nuove chiusure o semplicemente all’anacronistica bruttezza dell’ultimo arrivato tra i vocaboli di guerre lontane: il coprifuoco. Una manifestazione imprevedibile, dalla natura viscerale ed illogica, che forse rappresenta un primo tentativo di rigurgito spontaneo nei confronti delle politiche figlie dell’emergenza.

  

Fino a questo momento siamo stati abituati a due forme di protesta: ideologica o di categoria. Quest’ultime sono state più volte espresse con garbato ordine e fredda civiltà dai rappresentanti delle categorie più colpite dalla crisi economica: commercianti, ristoratori, addetti alla cultura, etc…Dall’altra parte il variegato fronte negazionista, trincerato dietro ai no (max, vax…).

Entrambe le tipologie di manifestazione sono vane e perciò direttamente fagocitate dal sistema che le ha prodotte: le prime ritualizzate e prevedibili, le seconde buffonesche e stereotipate, insomma dei piccoli interrogativi assorbiti dalla democrazia dei numeri. A Napoli non è andata in scena una manifestazione ma un movimento disordinato e imprevedibile, perciò potenzialmente contagioso e destabilizzante per una democrazia chiamata ad un’improvvisa fermezza, che si mostra invece debole e ferma.

Se la drastica risposta all’emergenza iniziale era stata accettata con spaesato silenzio, dopo mesi ci si attendeva infatti coerenza ed organizzazione. Invece manca ancora una decisione univoca e risoluta di fronte al bivio: accettare la convivenza col virus, scalfendo il democratico diritto alla Salute, oppure lottare contro la diffusione del virus sacrificando buona parte degli altri diritti? La gerarchia della scelta spaventa il cerchio immobile della democrazia, la sua figura orizzontale, che nel suo vuoto congenito si è da sempre alimentata di numeri e diritti, tutti ammassati sotto allo stesso soffitto formale, senza trovare un senso da abitare.

Oggi finiamo col restare sospesi nel mezzo, a inseguire il pendolo dei numeri, che oscillano tra l’evoluzione del PIL e la compassione dei contagi. Dal continuo oscillare derivano un insieme di piccole decisioni quotidiane, nutrite di Decreti, Ordinanze e Leggi, che non rappresentano una direzione. Ma forse è la democrazia stessa ad esser per natura priva di direzione, confinata a sopravvivere nel suo embrione, che si reitera senza mai indicare.

Nel frattempo da quel luogo, origine e simbolo della pandemia, la Cina che può esser considerata tutto fuorché una democrazia, arrivano numeri di contagi congelati mentre tornano a far notizia le cifre di un PIL in crescita e la futuribile ideazione di una moneta digitale.  

È in questo scenario che la protesta napoletana si è manifestata come una coerente risposta “senza senso” a una democrazia senza meta. Al cospetto di quel corteo disordinato e a tratti violento, molti hanno pensato: che cosa davvero insensata! Scendere in strada senza “negare” l’esistenza del virus ma protestare lo stesso: sono solo degli incoscienti! E poi la gente non agita cartelli o rivendica diritti, cadendo perfino nella violenza: i soliti barbari incivili!

Infatti ogni volta che al sud qualcosa sfugge alle maglie della logica c’è la mano invisibile della camorra. Una specie di rivisitazione della logica del complotto, contro la quale si è giustamente scagliato perfino Saviano, normalmente incline a vedere il profilo della camorra anche nella propria ombra.   

Nel complesso si tratta di semplificazioni buone ad evadere un’unica, semplice evidenza: nelle strade di Napoli scorreva un’energia disperata e rabbiosa, per definizione irrazionale, perciò inaccettabile e pericolosa, perché capace di diventare un piccolo evento simbolico, il germe di un contagio di proteste. Chissà allora che non sia proprio Napoli, che in primavera aveva mostrato solo il suo volto rinunciatario e mascherato, a scagliare il primo sasso anarchico nel torpore dello stagno pandemico. E a farlo proprio nel momento in apparenza più insensato, quando in città i numeri o le curve statistiche del contagio si aggravano e dovrebbero spegnere qualsiasi protesta. 

Questa è stata l’unica forma di manifestazione possibile all’interno di un regime governativo privo di forma. E questo dimostra che c’è ancora vita, che altro non è che contraddizione, nulla a che vedere col numero, logica della morte.