Totò, Peppino e la Computer Music

C’è stata una stagione in cui a Napoli la ricerca nel campo della Computer Music è stata di respiro interazionale grazie al connubio di due menti geniali: Antonio de Santis, musicista scomparso nel 2010, e Giuseppe Di Giugno, scienziato. Per quest’ultimo si è avuto almeno in parte il fenomeno del cervello in fuga, per de Santis invece si può parlare di un sistema che è stato incapace di trarre vantaggio da chi ha scelto di non andare via. 

L’incontro 

Correva l’anno 1972 e l’avvento del digitale stava rivoluzionando la musica elettronica che nel frattempo aveva valicato i confini della musica d’arte e si stava facendo spazio anche nei generi musicali “non colti”, dalla fusion al progressive rock. Nei laboratori dell’Istituto di Fisica Sperimentale dell’Università Federico II di Napoli inizia allora la collaborazione tra il musicista Antonio de Santis ed il fisico Giuseppe Di Giugno.  In una prima fase questa ricerca fu condotta segretamente perché l’ambiente accademico non era affatto recettivo nei confronti dell’innovazione pura. 

Nel 1969 il campo di ricerca di Di Giugno era quello delle particelle elementari ma ascoltando il disco Shitched-On Bach rimase colpito dal suono del sintetizzatore elettronico Modular Moog. Nel 1971 incontrò fortuitamente proprio l’ing. Robert Moog dal quale apprese del metodo di controllo in tensione dei suoi sintetizzatori modulari. De Santis invece nel 1965, fresco di diploma al Conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, aveva ricevuto dall’università Federico II l’incarico per gli “Studi e ricerche sulla musica contemporanea e sperimentale” nel Centro Universitario Musicale ma poi era finito ad insegnare Teoria e Solfeggio presso i conservatori di Reggio Calabria e Salerno fino al 1969. Tornato in pianta stabile a Napoli vi insegnò fino al 1997, anno del suo pensionamento. 

Gli interessi extra curriculari dei due ricercatori hanno facilitato quel connubio tra Arte e Scienza che presuppone un notevole grado di apertura menale. Di Giugno aveva imparato a suonare la chitarra nel salone del suo barbiere ad Enna, de Santis era anche un radioamatore. 

Il contesto 

L’Italia era già stata sede di importanti esperienze anche pionieristiche nell’ambito della musica elettronica, soprattutto con lo Studio di Fonologia della Rai di Milano dove aveva inciso anche John Cage. Per quanto riguarda l’utilizzo del calcolatore il primo risultato tangibile nel bel paese risale al 1967 quando Pietro Grossi fece suonare, incidendo un 45 giri, il computer Olivetti GE 115. La Olivetti era stata la prima azienda al mondo a realizzare un computer interamente a transistor (1959) così come aveva realizzato il primo personal computer (1965), ma la politica italiana aveva da tempo deciso di boicottarla in favore dell’americana IBM che, nonostante godesse in patria delle commesse militari, sembrava arrivare sempre seconda. La storia industriale del nostro paese avrebbe potuto prendere un’altra piega se avessimo sostenuto questa azienda di Ivrea. 

Il suono ottenuto da Pietro Grossi alla Olivetti era “il più brutto del mondo ma per me era il più bello del secolo”. Era un suono semplice, un’onda quadra (la forma d’onda che circola nei computer), ma Grossi aveva la capacità di intuire quello che si prospettava all’orizzonte (sono attestati almeno dal 1973 sue realizzazioni musicali con calcolatori fisicamente dislocati a distanza, mentre Internet arrivò in Italia solo nel 1986). Anche Pietro Grossi a partire dal 1969 si trovò a lavorare su computer IBM e più in generale, se l’Europa era stata la sede delle prime importanti esperienze di musica elettronica, gli States furono la culla della Computer Music. 

Nessuno forse avrebbe pensato a Napoli come diretta “concorrente” degli Stati Uniti, anche perché il Conservatorio della città ha istituito solo nel 2001 la cattedra di Musica Elettronica, non prima di aver attivato pochi anni prima quella di mandolino! Eppure dal 1972 Di Giugno e de Santis iniziarono a produrre da subito risultati interessanti dando vita al Gruppo AcEl (Acustica Elettronica), attivo ancora oggi ed allora afferente al dipartimento di Fisica Sperimentale dell’Università Federico II. Già nel 1973 le loro ricerche suscitarono un diffuso interesse e tra il 1974 ed il 1975 si recarono a Napoli Luciano Berio, capostipite insieme a Bruno Maderna della musica elettronica in Italia, e Max Mathews, padre dell’informatica musicale. Tutti e due erano impegnati a dar vita all’esperienza dell’IRCAM di Parigi, guidata da Pierre Boulez, nella quale coinvolsero anche Giuseppe di Giugno, ma nella quale Antonio de Santis non confluì.

L’oro di Napoli

Quello che Di Giugno portò in dote a Parigi nel 1975 fu il Sistema 4A appena realizzato a Napoli e che di fatto abilitava il tempo reale nella computer music. Già nei primissimi anni ’50 qualche computer produceva suoni in tempo reale, così come la prima esperienza di Pietro Grossi nel 1967 faceva seguito all’utilizzo dei suoni emessi dal computer che alla Olivetti venivano utilizzati per monitorare il funzionamento delle macchine (attività che va fatta ovviamente in tempo reale) ma si trattava di capacità espressive “primitive”. Far arrivare la tecnologia digitale al livello “musicabile” raggiunto dalla tecnologia analogia era la frontiera dell’epoca.

I software per la composizione assistita realizzati da Max Mathews avevano raggiunto un significativo livello di sviluppo col suo MUSIC IV (1964, per computer IMB) e MUSIC V (1965, per computer General Electrics). I risultati dell’elaborazione però andavo a finire su nastro e potevano essere ascoltati solo in un secondo momento. La realizzazione dei suoni mediante sintesi software era troppo onerosa per le architetture informatiche dell’epoca e richiedevano un tempo computazionale superiore alla durata della composizione. L’innovazione introdotta da Di Giugno consistette nel realizzare su un hardware digitale esterno la parte di sintesi dei suoni, lasciando al calcolatore (un PDP 11/40) il controllo software mediante un programma, appositamente scritto in Fortran, che si chiamava Pepmus. Rispetto ai sintetizzatori analogici a controllo digitale che avevano pochissimi oscillatori, il Sistema 4A aveva 256 “oscillatori virtuali”. Rispetto alla sintesi software dei programmi di Max Mathews il sistema 4A, unitamente al programma Pepmus, suonava in real-time. Praticamente una bomba, appena realizzata a Napoli ma poi presentata a… Parigi! 

Giuseppe Di Giugno

Prima di cambiare la storia della computer music Di Giungo era stato un importante ricercatore nel campo della fisica delle particelle elementari a Frascati dove, nel 1961, contribuì alla realizzazione dell’Anello di Accumulazione AdA per elettroni e positroni e dove, nel 1969, fu realizzato l’Anello di Accumulazione ADONE. Nel mezzo Di Giugno fu impegnato in diverse attività di ricerca, anche al CERN di Ginevra, e fu docente di Fisica della Materia a Napoli dove insegnò dal 1963 al 1975. La sua sensibilità musicale lo condusse poi ad avere una seconda vita scientifica, ma questa volta fuori dal contesto accademico italiano. 

La prima composizione su una macchina di Di Giugno fu Antony, realizzata a Parigi da David Wessel nel 1977 sul sistema 4A. Il lavoro di Wessel fu rimarchevole perché riuscì a trasformare le limitazioni di questa prima architettura di Di Giungo nelle caratteristiche più interessanti dell’opera. Tutti i più grandi compositori lavorarono con le macchine di Di Giugno che videro la luce nei 13 anni trascorsi all’IRCAM (la 4B, la 4C, la 4i, ed infine la 4X). Tra questi: Pierre Boulez, Luciano Berio, Luigi Nono (per Prometeo), Karlheinz Stockhausen (che vi realizzò parte di Samstag aus Licht) e John Cage. In altri paesi sarebbe bastato molto meno per costruire intorno a Di Giugno qualcosa di importante (come ha fatto la Francia con l’IRCAM di Parigi affidato a Pierre Boulez).  

Alla fine degli anni ’80, ultimata l’esperienza parigina, a Di Giugno viene affidata la direzione dell’Istituto IRIS, fondato dall’ing. Paolo Bontempi del gruppo Bontempi-Farfisa con lo scopo di competere con le fabbriche giapponesi nel campo della produzione degli strumenti musicali elettronici. All’IRIS (definitivamente chiuso nel 2001) Di Giugno realizzò il sistema MARS sul quale hanno composto, tra gli altri, Luciano Berio, Salvatore Sciarrino e Silvia Lanzarone.

La ricerca di Di Giugno non si è mai arrestata e prosegue ancora oggi nella sua abitazione che si trova nel frosinate dove, tra l’altro, suona il trombone nella banda musicale locale. 

Antonio de Santis

A sei anni dalla sua scomparsa, avventa nel 2010, il Conservatorio di Napoli ha dedicato ad Antonio de Santis il dipartimento di Musica Elettronica ma c’è da dire che egli lasciò l’insegnamento, lavoro sempre svolto con passione, quando con l’arrivo nel 1995 di Roberto De Simone alla direzione del Conservatorio fu istituita la cattedra di mandolino ma non quella di Musica Elettronica. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso per lui ormai colmo da anni. Si consideri che a Firenze l’insegnamento della Musica Elettronica era stato introdotto nel 1970, e qualche anno dopo anche a Roma e Padova. 

Sono innumerevoli le testimonianze di suoi ex allievi i quali raccontano di questo maestro fuori del comune che in conservatorio insegnava diligentemente Teoria, Solfeggio e Dettato Musicale (ma anche Armonia, Contrappunto, Composizione e Canto Corale), per poi proseguire l’insegnamento presso la propria abitazione con gli studenti più meritevoli che beneficiavano anche del suo bagaglio di conoscenze innovative. 

Nel 1977, su invito di Pierre Boulez, de Santis trascorre un periodo di ricerca presso l’IRCAM di Parigi dove si stava affinando l’utilizzo della macchina 4A per composizioni non più solo sperimentali ed a detta di Di Giugno “Antonio, oltre ad essere un bravo musicista, era un prodigio a manipolare i filtri analogici, infatti riusciva ad ottenere dei risultati sonori unici”. Tornò nuovamente all’IRCAM, dove non accettò di lavorare, nel 1982 su invito di Di Giugno. Il sodalizio tra “Totò e Peppino” si interruppe poi a metà degli anni ’80. 

Anche la ricerca di de Santis proseguì senza fine, “privatamente” e in assolo. Dopo l’esperienza nel Gruppo AcEl era diventato autonomo nella progettazione e realizzazione di macchine su misura per le sue esigenze. A cavallo tra gli anni ’70 ed ’80 realizzò i sistemi Gnomo I e Gnomo II che presentò in diverse conferenze anche internazionali e su riviste specializzate. Nei primi anni 2000 partecipò al progetto Multimodal Monitoring of Web Servers dell’Università di Salerno nell’ambito del quale realizzò il prototipo WebMelody, una sonificazione per il monitoring in real-time delle performance dei web server. La sua ultima apparizione pubblica risale al 2006.

Rileggendo dopo 40 anni alcuni suoi scritti si ritrova un approccio nello sviluppo delle tecnologie informatiche che anticipa, o va di pari passo, con l’evoluzione delle metodologie confluite poi nel paradigma dello Sviluppo Software Agile (il cui manifesto è del 2001 e che in Italia si è diffuso solo negli ultimi anni). Aveva “la convinzione che il laboratorio personale sia tra le poche alternative valide che oggi si offrono al musicista e che sia la strada più sicura attraverso la quale il musicista nuovo possa pervenire alla definizione e all’acquisizione di nuovi moduli espressivi”. Temeva (profeticamente) che “il tutto possa ridursi a un cattivo esercizio, come quello di infilare il gettone nel jeke-box. Vorrei che il computer non diventasse questo, ma qualcosa con cui colloquiare intelligentemente”. 

Sarebbe stato bello se avesse potuto diffondere questi suoi insegnamenti come docente di Musica Elettronica nel Conservatorio di Napoli, ma irradiava comunque anche dalla sua abitazione in provincia di Salerno. 

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