Se i valori della Francia si riducono a Charlie Hebdo parliamo di una società fallita

EMMANUEL MACRON

Un attentato ha luogo, all’inizio c’è la cronaca, poi la retorica di cordoglio e risentimento, seguita da un breve scontro ideologico, però man mano l’attenzione si sposta fatalmente dall’atto al singolo. Ogni attentato in fondo si trasforma in giallo. Chi è l’attentatore? Da dov’è partito e da dove è passato? Chi erano i suoi amici e i membri della famiglia?

Il giallo va allora in onda su stampa, televisione ed universo digitale. Appaiono oggetti misteriosi, spostamenti incongruenti e l’immancabile foto segnaletica dal fascino lombrosiano, che ci attrae morbosamente. Se ogni atto ha una potenza simbolica, il singolo può spingere al massimo ad un’attenzione psicologica e nel frattempo perdiamo ancora una volta la possibilità di riflettere su un evento di cronaca che ci riflette. 

Giocare a comprendere il colpevole significa far finta di capire il male, riducendolo ad una blanda classificazione, che serve a riportare ordine nella realtà, depurandola dal caos e da tutte le sue implicazioni. Così l’atto finisce dietro le quinte: un credente musulmano, fanatico e disperato, uccide altri credenti nel tempio cattolico di Dio, ma soprattutto nella patria del laicismo, la Francia che difende la propria libertà d’espressione dietro la trincea delle vignette.

Libertà difesa dal suo più alto rappresentante, che da tempo rivendica la libertà di satira, così finiscono per contrapporsi da una parte un giornale fatto di vignette e dall’altra un testo sacro; da una parte c’è chi sfoglia un giornale sperando di trarne una risata e dall’altra chi si misura coi vincoli di una parola sacra. Uno scontro surreale che evidenzia chiaramente chi sia destinato ad avere la meglio nel lungo termine.

Al di là di qualunque implicazione metafisica, si tratta di una semplice constatazione antropologica. Quale mano ha più forza: quella che impugna una copia di Charlie Hebdo o quella che stringe il Corano? 

Evadiamo un possibile futuro e nel frattempo trasformiamo un attentato, simbolo di conflitto, in un thriller psicologico ambientato al tempo dei barconi, che per miracolo finiscono col coinvolgere anche l’Italia, non tanto come antica patria di cattolicesimo ma quanto recente terra di passaggio dei migranti. Sulle nostre sponde l’evento diventa il solito pretesto per uno scontro politico, che sembra ideologico, ma ha la consueta consistenza di una pubblicità elettorale. L’atto però resta lì, sempre più dimenticato e porta con sé anche lo sfondo sociologico.

Come mai proprio la Francia degli ultimi anni è diventata il principale teatro del terrorismo?

Certo, lo abbiamo già detto, è l’autentica patria del laicismo e quindi della secolarizzazione, e poi c’è lo sfondo geopolitico dove si stagliano le sagome di Erdogan e dei paesi mediorientali e africani, dove la Francia continua ad esercitare la sua influenza politica ed economica (si ricordi a tal proposito la presenza fortemente simbolica di Macron in Libano poche ore dopo la devastazione del porto).

Ma c’è altro che purtroppo contribuisce a rendere questo paese un terreno fertile per la violenza. Da decenni le città francesi sono costruite a forma di spirale, i cui cerchi più lontani dal centro disegnano i profili delle banlieue (quelle ritratte nel film “L’odio”, per intenderci). Una spirale che ha scelto sin dall’inizio il modello dell’assimilazione per integrare gli stranieri: vi concediamo diritti, libertà, perfino sussidi e aiuti allo studio, in cambio dovete diventare francesi. Si tratta di un modello che in buona parte ha fallito.

Se si eccettuano i trionfi multiculturali della nazionale di calcio e degli sportivi in generale, la maggior parte degli stranieri resta alienato dal corpo sociale della loro terra di accoglienza, confinata nella sua periferia urbana e culturale. La spirale dell’assimilazione raramente li include. Infatti la loro lingua e la loro carta d’identità sono francesi, ma non lo è la loro personalità. 

In un tale contesto è difficile immaginare che il sacro conviva serenamente, non con il profano (col quale sarebbe complementare) ma col dissacrante, che è il suo perfetto opposto. È davvero strano che emergano tensioni tra chi ha fede nei diritti dell’uomo e chi crede nella legge divina? 

Intanto è un dato di fatto che l’Islam sarà sempre più forte sia per ragione demografiche che identitarie rispetto ad altre religioni e culture, mentre il laicismo implode sempre più intorno alle sue contraddizioni e il cattolicesimo che, in preda alla sua missione di evangelizzazione, si va trasformando, nella sua ultima versione papesca, in una blanda imitazione del comunismo.

E noi facendo finta di niente, riabbassiamo lo sguardo sulla narrazione della cronaca. L’attentatore avrà lasciato una lettera, un messaggio rivelatore? Era pazzo o è stato drogato e gli hanno fatto il lavaggio del cervello? Meglio assistere ad una sceneggiatura piuttosto che ad un racconto che implica noi stessi.

E se invece di chiederci chi fosse costui, iniziassimo a domandarci: chi siamo noi oggi?