Immuni non funziona, ecco perchè

Quasi 10 milioni di download, circa 75 mila notifiche e più di 9mila tracciatori ma l’app Immuni si sta rivelando comunque poco efficace.

La mobile application sviluppata dalla software house milanese Bending Spoons sembra non raggiungere del tutto l’obiettivo che il governo Conte si era posto.

Un vero investimento a fondo perduto quello per la realizzazione di questa applicazione, visto che fin dall’inizio è stata progettata solo per i telefoni con i software più nuovi e quindi non per tutti.

Oltre ai bug che sono stati segnalati e risolti e le regioni che non collaborano per il caricamento dei dati, il problema principale non sembra essere il funzionamento tecnico quanto l’organizzazione gestionale che sta attorno a questo progetto per raccogliere le segnalazioni e tracciare i contagi.

Al laoro ci sono una decina di migliaia di investigatori che cercano di raccogliere le informazioni per tracciare i contatti fra le persone e di conseguenza contenere la diffusione del virus. Il loro lavoro però era utile fino a quando c’erano dei numeri un po’ più contenuti, adesso non basta più. 

Davanti ad curva epidemiologica in salita che sta raggiungendo qualcosa intorno ai 30-40 mila casi giornalieri, “La percentuale di controllo è ormai così bassa che diventa insignificante. Cambia poco fra il fare e non fare il contact tracing.” afferma il Professor Crisanti in un’intervista al Corriere della Sera.

Nella stessa intervista propone di analizzare i flussi attraverso i dati raccolti dai giganti del web come Google e Facebook invece che concentrarsi sui contatti.

Il colosso californiano ad esempio fornisce già delle API di geolocalizzazione per poter accedere a dati simili, il suo sistema Routes contiene Big Data aggiornati in tempo reale su traffico e presenze di utenti in determinate zone. Quindi perchè non sfruttare questa tecnologia per localizzare ed evitare gli assembramenti?

Si tratta sempre di dati aggregati e quindi non c’è alcun rischio per la privacy delle persone.

Anzi forse avremmo un beneficio collettivo con un buon monitoraggio della situazione e l’esperienza potrebbe tornare utile allo stato per sviluppare software più efficaci ed efficienti.

Per ora dal punto di vista del software, dal server che non risponde dell’INPS al Click Day non ne stiamo centrando neanche una.

Sul tema poi ci sarebbe tanto da dire, visto che abbiamo uno dei sistemi burocratici per la digitalizzazione tra i più farraginosi al mondo. Un ministero dell’innovazione, un dipartimento per la trasformazione digitale (fino a poco fa Team per la Trasformazione digitale), una Agenzia per l’Italia in digitale per non parlare di quanti altri uffici ed agenzie esterne che formalmente operano nello stesso settore.

E collegando ciò al discorso di efficienza di cui parlava Crisanti abbiamo un vero problema nella gestione delle risorse, in effetti oltre a sprecare il lavoro di quei tanti tracciatori nel tentativo di contenere i numeri del virus, sprechiamo anche tanti soldi per la digitalizzazione ma non vediamo risultati molto soddisfacenti al pubblico.

Infatti questo grande apparato digitale consuma qualcosa intorno ai 6 miliardi di euro annui, ma rimaniamo lo stesso in questo tema un fanalino di coda a livello europeo, secondo gli studi del Digital Economic and Society index (DESI) arriviamo tra gli ultimi, occupano la posizione 24 sui 28 paesi dell’unione seguiti solamente da economie molto più piccole della nostra.

Ora tornando al tema emergenziale, una delle problematiche che non ha permesso una buona gestione della pandemia in Italia è probabilmente la mancanza di buone infrastrutture tecnologiche e la ferita si è allargata con l’aumento notevole del divario digitale nella nostra società ma quest’ultimo possiamo dire che si è provato a risolverlo temporaneamente con qualche Bonus.