Cosa c’è di vero nel caso Muslim Pro?

Ieri abbiamo dato la notizia secondo la quale Muslim Pro, la più famosa app al mondo per servizi ai fedeli musulmani, venderebbe i dati degli utenti all’esercito USA, abbiamo approfondito la questione. 

X-mode, l’azienda americana che vende dati di geolocalizzazione all’esercito americano è una realtà nata nel 2013 ma che non aveva un buon business plan per sopravvivere. L’unico modo di continuare ad esistere per l’allora Drunk mode (app per localizzare persone in stato di ebbrezza) è vendere i dati sulla posizione.

Ovviamente in America non sono gli unici a fare questo tipo di lavoro al punto che si è creato un mercato con tanti intermediari e un grande giro di affari.

Cosa c’è di vero nella denuncia di Vice su Muslim Pro?

La maggior parte delle questioni riportate nell’analisi di Motherboard, la sezione tecnologica di Vice, sono cose che effettivamente accadono in diverse aziende tecnologiche. La raccolta di dati sensibili per poi rivenderli in formato aggregato ed anonimo avviene principalmente per scopi commerciali ma nessuno penserebbe mai che ciò avviene anche per gli scopi militari.

La faccenda che la rivista online solleva è che le app con il maggior coinvolgimento da cui vengono estratti i dati sono app molto diffuse tra i musulmani come Muslim Pro, Muslim Mingle e Iran Social.

Quella col più grande database è sicuramente Muslim Pro, l’app per sapere gli orari preghiera e per individuare la posizione della Mecca più diffusa tra i musulmani, infatti è stata scaricata almeno 98 milioni di volte nei diversi store per applicazioni mobile.

Cosa risponde Muslims Pro?

Muslim Pro non ha perso tempo ed ha reagito tempestivamente annullando i suoi accordi con X-Mode per dimostrare alla sua utenza che non c’era la volontà di vendere i loro dati sensibili ed ha sottolineato come nella maggior parte dei casi l’utilizzo di Muslim pro non prevede alcuna iscrizione contribuendo così all’anonimato nei dati raccolti.

La cosa che non torna è la dichiarazione che, sono appena venuti a sapere che i dati da loro venduti venissero utilizzati per determinati scopi e che hanno avviato solo successivamente un’investigazione interna a riguardo.

Come funziona la cessione di dati delle app?

La cessione dei dati sta raggiungendo livelli altissimi di scambio, è arrivato addirittura dagli utenti finali senza piattaforme social o di utility che fungono da intermediari, infatti si possono scaricare apps come Wibson od Ocean Protocol e farsi pagare per la cosa.

La compravendita in questo settore è una cosa serissima e si rischiano multe salate se si fanno errori o non si rispettano le leggi in vigore, pensate alle multe UE nei confronti delle Big tech USA o le interrogazioni del congresso americano nei confronti di Facebook, spesso sono coinvolti quindi esperti di legge preparatissimi in tale ambito prima di concludere certi affari, quindi quella dell’app di preghiera N°1 al mondo non può essere stata una svista forse una sottovalutazione.

Sta di fatto che le leggi principalmente proteggono l’associazione dei dati al proprietario ma finché queste sono anonime di solito gli stati non si pongono problemi visto che l’utilizzo è principalmente per scopi commerciali.

La vicenda diventa problematica quando lo scopo come in questo caso è militare o come nel caso di Cambridge Analytica è politico.

Ci sono possibilità di usare questi dati in ambito militare?

Prima di parlare del lato militare sarebbe il caso di sottolineare che diverse leggi americane sui dati non vanno in armonia con tutte le giurisdizioni straniere. Ad esempio nel caso UE ci sono tante cose ancora da sistemare per mettere in accordo il GDPR con le varie leggi che permettono l’accesso ai dati alle varie autorità statunitensi, forze dell’ordine e agenzie di intelligence.

I dati e le informazioni sono probabilmente alcune delle risorse più strategiche in ambito militare, vengono utilizzati da sempre. La differenza oggi è che sono disponibili in quantità mai viste prima, sono raccolti in ambito digitale e devono essere acquisiti in maniera legale da chi li detiene e ottiene il consenso dei proprietari per venderli a terzi.

Una cosa già nota sul binomio Big data e guerra per esempio è l’utilizzo delle info sulla posizione per aiutare i militari a localizzare meglio gli obiettivi dei droni, cosa fatta probabilmente anche dall’esercito americano come riporta Vice o per elaborare più efficienti strategie sul campo di battaglia.

Per le questioni di sicurezza ci possono essere ovviamente permessi molto particolari che però possono essere coperti da una segretezza di Stato.

Quindi? 

In conclusione: Muslim Pro conferma la cessione dei dati ma afferma di non esser stata a conoscenza della destinazione finale dei dati e chiarisce che la maggior parte dei dati sono totalmente anonimi (dati aggregati), l’utilizzo di certi dati come la posizione attraverso altri controlli incrociati di informazioni disponibili può essere impiegato in ambito militare per individuare un bersaglio.